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Prendere, accogliere, ricevere

Santissima Trinità

Pr 8,22-31; Sal 8; Rm 5,1-5; Gv 16,12-15

Lo Spirito è il sigillo della crescita nella fede, nella speranza e nella carità. Le tre virtù definite teologali sono il modo dato alla creatura umana per partecipare alla vita di Dio. Nessuno perciò riesce a viverle in pienezza: la distanza non è mai colmabile, c’è sempre un oltre.

Paolo afferma che se non si avesse l’amore (agape) non si sarebbe nulla (cf. 1Cor 13,2); ma chi può davvero dichiarare di avere in pienezza l’amore, la realtà più grande di tutte (cf. 1Cor 13,13)? Per rispondere a questa domanda – che in effetti suona retorica – è dato evocare, sia pure in modo non preciso, un passo del Vangelo letto in questa domenica dedicata alla Trinità: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete ancora in grado di portarne il peso» (Gv 16,12). La pienezza ci eccede sempre.

«Portarne il peso» (verbo bastazo). Siamo di fronte all’unico passo di Giovanni in cui l’espressione è impiegata in un senso apertamente metaforico (cf. Gv 10,31; 12,6; 19,17; 20,15). Servendosene di nuovo in modo impreciso si sarebbe tentati di dire che il peso qui evoca la fatica sperimentata da generazioni e generazioni di credenti nei confronti di formulazioni dogmatiche altamente teoriche riferite al Dio uno e trino. Esse si sono rivelate un peso troppo grande nella misura in cui, nella loro rigidità, non riescono a comunicare ai credenti la vita di Dio. «Comunicare», forse proprio questo è il verbo decisivo. Soltanto riferendosi alla relazione e alla comunicazione la fede nella Trinità diviene parte delle nostre vite.

«Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che ha udito e annuncerà cose future» (Gv 16,13). Per procedere un’altra volta liberamente, si potrebbe affermare che lo Spirito dirà cose future perché annuncerà quanto ha udito. Il Credo proclama che lo Spirito ha parlato per mezzo dei profeti. La sua opera è di comunicare e di rivelare, nella sua qualità di manifestazione della vita divina rivolta verso gli esseri umani. Lo Spirito guida verso la verità tutta intera perché a sua volta ode. Ci aiuta e sostiene perché in ciò noi siamo simili a lui.

Già poco dopo la metà del primo secolo, Paolo affermava di trasmettere quanto lui stesso aveva ricevuto (cf. 1Cor 15,3) e dichiarava che la fede nasce dall’ascolto (cf. Rm 10,17). All’interno del «peso troppo grande» della dogmatica in cui lo Spirito Santo, seconda persona della Trinità, procede dal Padre e dal Figlio (per l’Occidente, mentre l’Oriente cristiano non accoglie il «Filioque»), parlare di una similitudine basata sull’ascolto si colloca sul piano di una semplice e forse inaccettabile metafora; se invece si pensa al processo di comunicazione in Dio e da Dio, l’immagine diviene guida effettiva verso la verità tutta intera. Se per rivelare divinamente la verità non è dato di parlare in prima persona, tanto meno ci è concesso di cercare da soli la verità della fede.

«Egli mi glorificherà, perché prenderà (lambano) quel che è mio e ve lo annuncerà» (Gv 16,14). Lambano oltre a «prendere» significa anche «accogliere» e «ricevere». Il «prendere», posto all’inizio della comunicazione, deve completarsi nell’accoglimento, mentre quest’ultimo è reso a propria volta possibile dall’aver ricevuto lo Spirito suggello della pasqua di Gesù. Infatti il Figlio, rivolto al Padre, dice: «Le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte (verbo lambano) e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato» (Gv 17,8). È nuovamente il Figlio che, rivolto agli apostoli, il giorno stesso della risurrezione, dopo avere soffiato su di loro, dice: «Ricevete (verbo lambano) lo Spirito Santo» (Gv 20,22). «Prendere», «accogliere», «ricevere»: il Dio uno e trino è il Dio della relazione e della comunicazione.

 

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