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Quaresima: benedetta imperfezione!

Conversione, coerenza, impegno: sono alcune delle parole che all’inizio del tempo di Quaresima la tradizione cristiana pronuncia per caratterizzare il cammino del credente verso la Pasqua.

Il ritorno a Dio Padre da parte del peccatore è connotato dall’impegno e dall’ascesi per accedere a una vita di perfezione santa e gradita a Dio.

Ma lo schema di perfezione umana e cristiana basato sulla volontà e l’ascesi segue un tracciato esattamente opposto a quello proposto da Gesù nel Vangelo.

Il mito della perfezione

Per secoli una certa spiritualità cristiana ha insegnato che al cospetto di Dio bisogna presentarsi puri e perfetti, irreprensibili e senza macchia, pena la non accoglienza da parte sua.

Questo ha spinto molti credenti a fare della propria vita cristiana un elenco lunghissimo di sforzi e d’impegni per raggiungere uno stato di perfezione che fosse accettabile davanti Dio. I limiti e le fragilità della vita umana dovevano essere superati e tolti di mezzo per meritarsi l’amore di Dio, con il sottile rischio di scivolare nell’orgoglio spirituale, di sentirsi a posto ed arrivati.

Abbiamo fatto del cristianesimo la religione del perfezionismo morale – confondendolo con la santità – come se fosse la sola condizione per ottenere l’amore di Dio e i suoi doni. Tutto ciò nasconde sottilmente l’idea che ci portiamo dentro tutti: che dovremmo essere in un altro modo! Anche davanti a Dio, che ci ha creato!

È l’immagine dell’uomo che vuole vivere off-limits, superare le proprie imperfezioni e presentarsi agli altri e a Dio perfetto, non macchiato da fragilità e debolezze e vivere attraverso quelle prestazioni che gli altri si aspettano da lui. In tutto questo, l’uomo trova la garanzia della propria accettazione.

Perfetti o più umani?

Negare il limite, però, porta a una vita inautentica e disumana. Noi siamo le nostre imperfezioni; il nostro limite, la nostra incompletezza, ci costituiscono come uomini e come donne; noi esistiamo solo in quanto imperfetti e limitati nel tempo, nello spazio, nell’amore.

La cifra della nostra umanità è proprio la sua imperfezione, e riconciliarsi con essa significa avvicinarsi alla nostra verità più profonda, tornare al centro del nostro vivere cristiano. Alla luce del messaggio evangelico, scopriamo che tutto ciò che in noi è segnato dal limite è l’unica nostra ricchezza, perché lì è possibile fare esperienza della nostra salvezza.

Non vi è nulla dentro di noi che meriti di essere gettato via; la nostra umanità fragile e imperfetta, la nostra vita con i suoi errori e i suoi sbagli non è materiale di scarto, ma il luogo in cui Dio si rivela e porta avanti la sua storia di salvezza.

In questa prospettiva la santità assume un significato radicalmente diverso: non è l’impegno e lo sforzo di far sparire tutte le debolezze e le incoerenze che ci portiamo dentro: vorrebbe dire rinnegare noi stessi e disumanizzarci. La santità, invece, è quando in tutto il mondo umbratile che ci portiamo dentro sperimentiamo la presenza di Dio che viene a farci visita e a manifestarci il suo amore.

Il problema non è il «perché» delle mie debolezze e fragilità, ma «come» esperire la salvezza in tutto questo!

Quaresima, tempo di verità

Il rischio di fare della Quaresima il tempo delle nostre performance migliori per arrivare a guadagnarci (o, peggio, a pretendere) il dono della salvezza di Cristo è reale.

Ma l’unico dono che Dio vuole donarci è un iper-dono, vale a dire la sua misericordia, il suo amore, che oltrepassa le nostre prestazioni umane. In una parola, Dio vuole donarci se stesso, che è Amore.

E tutto questo potrà realizzarsi quando l’uomo aprirà una breccia in questa idea di perfezione di sé, e darà «diritto di cittadinanza» alle sue imperfezioni e fragilità, riconoscendosi peccatore, misero, bisognoso di amore.

La prospettiva, allora, cambia: non più impegno a sconfiggere le nostre imperfezioni e miserie, ma iniziare a vivere nella verità di sé stessi. La conversione, la metanoia evangelica sarà allora avere un pensiero «altro»: non pensare più che la purezza e la perfezione dei nostri atti siano la salvezza, ma proprio il contrario.

La salvezza e la santità, invece, è renderci conto della nostra verità, cioè che siamo fragili, limitati, peccatori, e allo stesso tempo oggetto dell’amore incondizionato di Dio che viene a visitarci e a incontrarci.

 

Lorenzo Raniero, religioso francescano, è docente allo Studio teologico interprovinciale S. Bernardino di Verona e dal 2002 è docente invitato all’Istituto di studi ecumenici S. Bernardino a Venezia.

Commenti

  • 14/03/2019 Rina Borghese

    Carissimo padre Lorenzo, ho letto la sua riflessione, molto bella e vera, ma non riesco a ritrovarmi: è vero che non siamo perfetti, dinversamente saremmo Dio, Lui solo infatti è l'essere perfettissimo, ma il nostro essere cristiani significa riconoscere proprio il non essere perfetti, ma allo stesso tendere alla perfezione riconoscendoci peccatori, fragili, ma volenterosi di cambiare le nostre imperfezioni e essere santi, il che è difficile, ma non impossibile.

    È vero anche che la misericordia di Dio è più grande dei nostri peccati, ma come disse papa Francesco nell'anno della misericordia, non bisogna approfittare della misericordia di Dio, ossia credere nella sua misericordia accostandoci al Sacramento della riconciliazione, ma cercando di cambiare sforzandoci di togliere dalla nostra vita tutte quelle imperfezioni che ci fanno allontanare da Dio: questa secondo me è conversione.

    Le chiedo scusa se ho osato commentare la sua riflessione, ma io è questo che sto cercando di fare ogni giorno nella mia vita, il che non è facile, anzi tutt'altro. Grazie per la sua pazienza e per aver dedicato del tempo ad ascoltarmi. La saluto fraternamente in Cristo.

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