o
l'Ospite

Caos e preghiera

Siamo in una fase della vita nostra e di quella del mondo intero, che sconvolge gran parte del pianeta. Ci domandiamo quale sia la ragione della caduta in pezzi di questo mondo. C'è un dio vendicatore che lancia fulmini sulle sue creature e sul male che possono aver fatto? Oppure siamo noi tutti, ciascuno per la sua parte, a determinare il caos? Questa è la parola giusta: il caos, il marasma, il disordine.

Finirà? Che cosa dobbiamo fare per attenuare questo generale sconvolgimento?

Oppure il mondo è sempre stato così, e la vita esiste e perdura sostenuta dalla speranza che tuttavia è vana perché non raggiunge mai un risultato definitivo, ma parziale e precario? «Mi affido», è la risposta che dà Flannery O’Connor nel Diario di preghiera, Bompiani, Milano 2016, con prefazione di Mariapia Veladiano.

E il suo rapporto con Dio è delineato dall’affermazione: «Che io non sia altro fuorché lo strumento della Tua storia – proprio come la macchina da scrivere lo è per me» (p. 25). Anima appassionata in dialogo costante con i grandi Freud, Proust, Lawrence, Rousseau, si sforza spasmodicamente di analizzare l'interiorità del suo spirito con un equilibrio sofferto tra le mozioni religiose e le angustie degli psicologi.

Nulla la trattiene dall'avere splendide elevazioni mistiche sempre nutrite di unsottile umorismo: «Mi piacerebbe essere santa in modo intelligente» (p. 32). Delle tre virtù teologali parla in modo convincente sia come richiesta di grazia, sia come consapevolezza di non possederle. Per la fede si rende conto che può essere pregna di viltà e chiede a Dio di esserne liberata . Della speranza dice: «La mia mente è in una piccola scatola ..... dentro altre scatole e altre» (p. 31), e chiede a Dio di far risplendere un po' di luce. Della carità afferma di essere meschina quando dice troppe cose ingenerose sulle persone e chiede aiuto a Dio per «compiere la Tua Parola o Signore» (p. 33).

La scrittrice ha sperimentato Dio stesso e non parole umane dette su di Lui. Ha sperimentato la sua libertà che non devia, che gli è propria e che può essere intesa solo partendo da Lui e non come punto di incrocio di realtà finite e dei calcoli fatti sopra di esse. Dio in persona, anche se il faccia a faccia, «la vicinanza che intendo viene dopo la morte, forse. È quello per cui stiamo lottando e se la trovassi sono morta» (pp. 27-28).

Allora, infatti, pur continuando a vivere biologicamente, ha sperimentato la morte come speranza radicale, che porta soltanto in sé la propria validità, oppure disperazione («sono troppo pigra per disperarmi», p. 31), e in quello istante Dio stesso si offerto a lei. Tale esperienza è una grazia invocata ripetutamente dalla O’Connor.

Da ciò si evince, secondo la scrittrice, che a tutti è possibile incontrare Diodirettamente in questo tempo, quel Dio incomprensibile, mistero della tenebra, che si trasforma in luce a patto che ci si lasci inghiottire incondizionatamente da Essa.

La creatura insignificante diventa infinitamente importante, indicibilmente rilevante e bella, perché arricchita personalmente da Dio con il dono di se stesso. Concludiamo con le parole della prefazione di Mariapia Veladiano: «La felicità possibile, quella che si vive qui in terra, è intravista come un profilo di capriolo nella luce improvvisa del mattino presto, sotto un abete dietro la curva del sentiero» (p. 7).

Commenti

  • 23/11/2016 carissimavaleria@gmail.com

    La vicenda spirituale di Flannery O'Connor ricorda lesperienza intensa e drammatica di Etty Hillesum, la giovane ebrea morta ad Auschwitz nel 1943, autrice di un toccante Diario. Pur in un contesto differente e partendo da un ambiente sociale diverso, in entrambe, Etty e Flannery, cè lo stesso profondo affidamento a Dio, che non si rivela come un meccanico consolatore di cuori tormentati ma una risposta profonda ai dubbi e alle inquietudini umane. Come Flannery che ha sperimentato Diodo con misticismo e intelligenza, affidandosi totalmente a Lui, così Etty ha trovato Dio nel buio del lager.

    La vita spirituale diventa la strada che dall`interiorità conduce al divino, senza smarrirsi nei viottoli delle filosofie orientali o delle mode psicologiche, ma in modo chiaro , eppure profondamente umano e mistico al tempo stesso. "Lunica cosa che possiamo salvare in questi tempi è anche lunica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi, mio Dio... tu non puoi aiutarci ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all`ultimo la tua casa in noi." Ma l'effetto più profondo ed autentico di questa ricerca di Dio in Etty è lo spirito di amore e carità verso tutti che lei dimostra: "a ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzettino di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. E se sopravviveremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra a guerra finita".

  • 02/11/2016 gabriellabutera@virgilio.it

    La ricerca di Dio di Flannery O’Connor, è racchiusa in modo significativo e conclusivo nel “ mi affido”. Ricerca appassionata e tormentata, che sembra racchiudere la Storia della Salvezza, snodandosi tra il “fiat” (Lc. 1, 38) di Maria all’appello di Dio e il compimento di Gesù sulla Croce “ nelle Tue mani affido il mio Spirito”( Lc.23, 45). Tutte le “emozioni” e “mozioni” spirituali della O’Connor ricalcano i dubbi, gli interrogativi, le ansie di Maria, creatura Benedetta fra tutte le altre e la profonda umanità di Gesù di Nazareth nel suo camminare nel mondo, nella Palestina di duemila anni fa. Radicata nella creaturalità, tra le contraddizioni, le cadute e la stanchezza della ricerca, raggiunge le vette della visione mistica, abbandonandosi tra le braccia del Suo Creatore.

  • 10/10/2016 salernochiara@libero.it

    Diretto,chiaro e incisivo il messaggio che viene fuori dalla recensione di Pia D'ELIA per il Diario di preghiera di F. O' Connor. Speranza e coraggio. Queste le due parole chiavi, strumenti di fede e abbandono in Dio. Dio che resta sempre al di la' della nostra comprensione, mistero nelle tenebre, luce e rimedio contro il dolore e il caos dell'esistenza. Lasciarsi avvolgere dall'abbraccio divino che protegge e contiene, solo cosi' noi creature finite, fragili, piccole, ci riempiamo di senso e valore. prof. Chiara Salerno ---

  • NaN/NaN/NaN granesedonenzo@tiscali.it

    E' molto suggestiva l'espressione "ho sperimentato Dio"... Mi lascia pensare che la O'Connor nella sua libertà ha avvertito la vicinanza di Dio. Una vicinanza libera e liberante. Un incontro così importante per Lei che l'ha portata ad esternare questa sua forte esperienza. In questo modo ogni essere umano ha la possibilità di poter sperimentare la relazionalità con Dio attraverso il dialogo, l'ascolto, la meditazione... ma soprattutto attraverso l'accoglienza dell'Altro che mi rispetta per quello che sono, per quello che so dare e non per quello che so fare... Allora sperimentare Dio porta ad immergersi nel Suo Mistero. La preghiera può insegnare moltissimo a parlare con Dio, ad essere lieti nel raccontarsi. Preghiera come silenzio degli occhi che aiuta a vedere Dio nel mondo che ci circonda.

  • 07/10/2016 marra.b@gesuiti.it

    Preghiera come appello, in definitiva, a Dio e,conseguentemente, vita come vocazione. E' la tesi sostenuta da Pia D'Elia nel presentare il libro della O'Connor. L'esperienza della propria temporalità è la base di quella consapevolezza nella quale e per la quale si esprime il "gettarsi dell'esistente". In realtà la signoria di Dio nella storia che è il Leitmotiv del "Diario" si segnala in una molteplicità di eventi interpretati. Difatti non sono gli accadimenti come tali, ma la loro funzione di "appello" a condurre ad una approfondita conoscenza di Dio e dell'uomo, per cui Dio si fa presente nella promessa e l'uomo stesso partecipa della presenza di Dio. La vita concreta della scrittrice O'Connor è il luogo dove si manifesta in che modo Dio cammini nella storia al fianco di lei.

Lascia un commento

{{resultMessage}}