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l'Ospite

Del velo e della tolleranza

Appunti a margine della recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sul diritto dei codici aziendali di vietare un abbigliamento connotato religiosamente.

Oggi, per vivere responsabilmente nel nostro mondo, dobbiamo saperne di più. Le semplificazioni ideologiche sono tramontate. La cultura, l’informazione e la politica a livello internazionale sono una necessità per abitare la globalizzazione. Ciò non significa divenire esperti, ma seguire il mondo nei suoi percorsi attuali.

La politica internazionale e la geopolitica devono rientrare nella cultura e nell’informazione quotidiana. Oggi una cultura geopolitica è necessaria perché ci aiuta a interpretare le tante notizie che ci raggiungono ogni giorno, a essere meno disorientati, a prendere parte facendoci un’opinione.

Una società più attenta alle vicende del mondo è una garanzia contro le passioni nazionalistiche e le avventure bellicistiche, molto più di quel che si creda. È anche una garanzia nei confronti di decisioni prese da pochi per interessi non dichiarati, che però finiscono per coinvolgere popoli interi. Insomma, bisogna vigilare, anche se spesso – a fronte dei consessi internazionali o delle decisioni dei leader – si ha la sensazione di non contare, o che il proprio paese conti poco.

Il mondo globale, con le sue smisurate dimensioni e le sue radicate connessioni, ha bisogno di persone dalla coscienza globale. Deve risorgere una passione civile per il mondo globale nei suoi vari aspetti. Perché questo mondo non è piatto o tutto uguale, né privo d’interesse: è anzi un insieme di storie e vicende, oggi più che mai annodate tra loro, che costituiscono una storia comune. Non è solo un grande mercato, dominato da forze economiche che non si controllano, né uno scenario dove contano solo pochi poteri.

Siamo parte di questa storia globale, che ha tanti attori, piccoli e grandi. Preminente in una coscienza globale è il diritto della persona alla libertà civile, cioè all’immunità da coercizioni esterne in materia religiosa da parte dei poteri politici, consessi internazionali o leader. E ciò in considerazione delle circostanze peculiari dei singoli popoli e dei cittadini.

Ma occorre guardare la storia presente senza mai dimenticare gli atroci e ricorrenti fatti di cronaca, dalle persecuzioni dei cristiani agli attentati, dalle stragi fondamentaliste alle «pulizie etniche», alla negazione delle identità.

La problematica religiosa è una questione diventata cruciale nel mondo globale che, sulla spinta delle migrazioni di massa, accelera condizioni e contesti di multiculturalità, meticciato, società plurali dove le fedi si moltiplicano, le numerose tradizioni non occidentali si radicano nelle metropoli come nei piccoli centri. Tutto in tempi talmente rapidi e drammatici da non lasciare spazio alla riflessione e alla metabolizzazione dei cambiamenti.

L’Occidente viene messo alla prova nella sua millenaria storia di pensiero e di radici giudaico-cristiane. Emblematico è il caso della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Lussemburgo, 13 marzo 2017), che in risposta a due ricorsi da Belgio e Francia ha stabilito che una regola interna aziendale che proibisca di indossare in modo visibile qualsiasi segno politico, filosofico o religioso non costituisce diretta discriminazione. Le aziende dunque possono vietare ai propri dipendenti di indossare indumenti che siano «segni religiosi», come il velo islamico.

Nella sentenza si rileva però che il divieto «può invece costituire una discriminazione indiretta, qualora venga dimostrato che l’obbligo apparentemente neutro da essa previsto comporta, di fatto, un particolare svantaggio per le persone che aderiscono a una determinata religione o ideologia».

Questa sentenza «darà più margini di manovra ai datori di lavoro per discriminare le donne – e gli uomini – per motivi di fede religiosa», ha affermato John Dalhuisen, direttore di Amnesty International per l’Europa e l’Asia centrale. «In un momento in cui l’identità e l’apparenza sono diventati campi di battaglia politica, le persone hanno bisogno di più protezione contro i pregiudizi, e non meno», ha ammonito. «La Corte ha sostenuto che i datori di lavoro non sono liberi di assecondare i pregiudizi dei loro clienti – sottolinea Dalhuisen –, ma affermando che le politiche aziendali possono vietare i simboli religiosi per assicurare “neutralità”, hanno fatto rientrare dalla porta di servizio gli stessi pregiudizi. È ora che i governi nazionali rafforzino e proteggano i diritti dei loro cittadini».

Amnesty International, insieme con la Rete europea contro il razzismo, aveva già sottoposto alla Corte le proprie osservazioni, secondo le quali entrambe le misure imposte dalla G4S Secure Solutions NV e dalla Micropole SA nei confronti dei loro dipendenti costituiscono discriminazione basata sulla religione o sul credo. Il documento Wearing the headscarf in the workplace. Observations on discrimination based on religion in the Achbita and Bougnaoui cases, dell’ottobre 2016, è online.

L’Europa così esprime il luogo dell’emergenza e la frontiera di un passaggio epocale. Difficile ipotizzare l’esito, certamente si possono (e si devono) stabilire criteri per guidare le trasformazioni. Prioritario è l’orizzonte culturale, con un Occidente che riprenda in mano le proprie origini e il grande patrimonio di idee e religiosità sviluppatisi nei secoli. In questo contesto la problematica non può fare a meno di riflettere sul senso della libertà religiosa in relazione alla tolleranza. È indispensabile affrontare questa tematica, perché si tratta di un punto cruciale dalla cui interpretazione si delinea o un futuro di debolezza e rassegnazione o un nuovo ordine sociale.

Nella sua dichiarazione sulla libertà religiosa, il concilio Vaticano II afferma che ogni persona è dotata di una dignità che deve essere rispettata. Un elemento di questa dignità è la libertà, soprattutto nell’ambito della pratica religiosa. Ognuno è tenuto a cercare la verità, ma è libero di farlo a proprio modo (cf. nn. 2-3). Lo stato e la società civile devono rispettare e proteggere questa libertà. Dal momento che gli esseri umani non sono individui, ma esseri sociali, hanno il diritto di cercare la verità come comunità.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo afferma: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza» e «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione» (artt. 1.18). Notiamo che il diritto umano alla libertà comprende anche la libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Queste sono dimensioni differenti di una stessa libertà. La dichiarazione del Vaticano II sulla libertà religiosa lo chiarisce: «L’uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza, che egli è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività, per raggiungere il suo fine che è Dio. Non lo si deve quindi costringere ad agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in conformità a essa, soprattutto in campo religioso» (Dignitatis humanae, n. 3; EV 1/1049).

La coscienza è dunque un dono universale dato da Dio a tutti gli esseri umani in quanto esseri umani, a prescindere dalla loro religione o cultura. Attraverso la coscienza, gli esseri umani possono discernere la legge di Dio inscritta nel cuore di ciascuno. Questa legge è comune a tutti gli esseri umani, prima di ogni appartenenza religiosa. L’essenza più fondamentale degli esseri umani è la loro coscienza. Lì sono in contatto con Dio. Essi possono appartenere a religioni diverse o rifiutare qualsiasi appartenenza. Non possono però sfuggire a questo senso morale di che cosa sia giusto e che cosa sia sbagliato, che cosa debbano fare e che cosa debbano evitare.

La tolleranza

La coscienza, di fatto, ha una dimensione interreligiosa. Per tolleranza s’intende un atteggiamento disposto a riconoscere legittimità alle idee e ai comportamenti altrui; più specificamente è una dottrina filosofico-politica che ammette la libera manifestazione di tutte le confessioni religiose e delle relative forme di culto.

Storicamente il tema della tolleranza si è sviluppato agli inizi dell’età moderna con le opere di S. Castellion e J. Bodin, ma ebbe alcuni significativi antecedenti: nel mondo antico, con la critica che i sofisti rivolsero al concetto di civiltà e alla tradizionale distinzione tra greci e barbari e con il riconoscimento, da parte della scuola stoica, dell’uguaglianza naturale tra gli uomini, liberi o schiavi; in età cristiana, con il concetto di uguaglianza di tutti gli uomini in quanto figli dello stesso dio creatore.

Al suo successivo ampliamento concorsero vari fattori: la conoscenza diretta di civiltà extraeuropee dovuta alle crociate e soprattutto alle esplorazioni geografiche del Quattrocento e Cinquecento, donde il primo germe dell’interesse per le culture «esotiche» o «selvagge»; l’affermarsi di una cultura «umanistica» piuttosto che «teologica», con la conseguente laicizzazione della politica e della morale; la reazione di rigetto verso le persecuzioni ideologiche perpetrate attraverso la violenza fisica delle inquisizioni, delle torture e dei roghi e l’esigenza di porre fine alle guerre di religione tra cattolici e protestanti che avevano insanguinato l’Europa dopo la Riforma.

Il teorico del moderno principio della tolleranza come dottrina politica è però J. Locke, che negli scritti giovanili sulla tolleranza (1661-62), nel Saggio sulla tolleranza (1689-1705) separa il concetto della sua storica relazione con il campo della fede, riferendolo più generalmente alla sfera soggettiva dell’opinione. Il principio di tolleranza tende a congiungersi con quello della libertà politica (di cui pure costituisce, storicamente, un’anticipazione), perdendo il suo primitivo significato di concessione e acquistando quello nuovo diritto.

Il principio di tolleranza è sancito nella Dichiarazione di indipendenza (1776) e nella successiva Costituzione federale degli Stati Uniti (Bill of Right, 1791). Tale risultato era stato anticipato dagli sviluppi teorici del concetto di tolleranza in Francia (Voltaire, Traité sur la tolerance, 1763). Nella prospettiva liberal-democratica, l’aperto riconoscimento del pluralismo etico e ancor di più la valutazione positiva, in relazione alla definizione della democrazia, dell’aspetto conflittuale che a esso si connette, fa assumere al principio di tolleranza un ruolo centrale e un’importanza decisiva: esso è il garante della coesistenza conflittuale delle minoranze e della maggioranza.

Nella relatività dei valori pertinenti alle opzioni libere dei soggetti, assurge a unico valore universale. Il sistema conflittuale scaturito dalla piena accettazione di una prospettiva pluralistica e relativistica richiede poi di venire disciplinato da regole del gioco che segnano altresì i limiti della tolleranza (per es. nei confronti degli intolleranti).

D’altro canto non si può non tenere conto degli eventi di questi anni, mettendo in luce le critiche indirizzate alla tolleranza (concetto indeterminato, arbitrarietà senza limiti paragonabili al mercato di una società del superfluo, dove tutto è sempre possibile se lo si compra) per affermare che la tolleranza autentica comprende la passione per la verità, non favorisce il relativismo né la remissività.

Su tali presupposti occorre sviluppare le nostre argomentazioni a partire dalla riscoperta del concetto di riconoscimento come relazione reciproca che si fa fenomeno sociale. Nella disamina dei tanti problemi aperti oggi (compreso il «limite della tolleranza»), occorre sottolineare il doppio aspetto della tolleranza – la sua dimensione di virtù e quella di principio dello stato od obbligo giuridico –, ricordando che essa rappresenta il criterio determinante per la realizzazione della dignità dell’uomo.

Quanto più la tolleranza arriva a stringersi ai valori di verità e libertà, tanto più essa non sarà sinonimo di rinuncia alla propria opinione per assecondare una generale assenza di pareri; così pure, all’opposto, l’irrinunciabilità sul tema della verità si sottrarrà alla tentazione di tradursi in un’imposizione della propria posizione.

Un lavoro di convergenza e di stretto dialogo potrà avvicinare mondi e culture distanti, superando i conflitti.

Commenti

  • 13/04/2017 Enzo Granese

    Leggendo l'intervento della Sig. Salerno, mi sovviene alla mente una riflessione sul pregiudizio. Esso lo percepisco come una realtà che ancora tutt'oggi esiste e condiziona le nostre scelte, il nostro pensare e le nostre dinamiche socio-culturali che sorreggono le nostre strutture relazionali. I guai che provoca il pregiudizio sono molto significativi dal punto di vista relazionale. il pregiudizio si può superare quando ci si trova dinanzi ad una personalità completamente sviluppata che sa integrare in sé tutte le componenti umane in una sintesi originale ed irripetibile. La libertà, che Dio ci ha donato come Suoi figli, deve aiutarci a rifuggire quel senso di superiorità che rende sordi e ciechi e non aiuta a trovare la via giusta da seguire per evitare le visioni false, opprimenti del pregiudizio che si fonda su un falso antropologico che, pur non riconosciuto come tale, facilmente si mantiene in piedi perché ormai è diventato un vero e proprio stereotipo. C'è un bisogno urgente di superare le barriere che costruisce il pregiudizio: non se ne può fare a meno se si desidera ricercare la verità senza aver paura di essere fraintesi o per il rischio di decostruire visioni inossidabili, ma rassicuranti pur se, a volte, corrono il pericolo di dover essere corrette. Lontano dal pregiudizio si riesce sicuramente a prediligere una visione che, fondandosi sulla ricchezza della tradizione cristiana, ci aiuta a vedere la bellezza della novità che il Vangelo porta sempre con sé. 12/04/2017 Enzo Granese

  • 11/04/2017 Bruno Marra

    Il riconoscimento dell’altro come presupposto della possibilità dell’incontro esige una visione dell’uomo che superi ogni tipo di barriera: culturale, religiosa, sociale, etnica.

    Questo superamento consente l’approccio a un Dio unico che è il tutto. Un Dio che ha una sua natura della quale tutti gli uomini, sue creature, scoprono sempre nuovi aspetti contrastanti come quelli finora noti. Perché il Creatore è multiforme e tutti gli uomini inventano nuovi aspetti di quella multiformità. Un Creatore le cui creature ne intravedono le sembianze man mano che il tempo passa e cambia gli uomini, li riporta all’antico visto con occhi moderni o al moderno con occhi antichi o nella visione di un mondo nuovo.

    E’ una comprensione ampia della libertà, che costituisce un salto dell’uomo che esce dall’animalesco e vede se stesso consapevolmente. Questo tipo di libertà è divino. E l’impegno di Dio è per un’umanità tanto spesso ferita, maltrattata e dominata dalla mancanza d’amore.

    «Ogni giorno facciamo esperienza di fragilità e debolezza e per questo tutti abbiamo bisogno d’una rinnovata natura che plasmi il desiderio di formarci, di educarci ed essere educati, di aiutare ed essere aiutati e di integrare tutti gli uomini di buona volontà» (Francesco).

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