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l'Ospite

Una filosofia politica dal basso

Uno dei grandi paradossi della nostra epoca è il seguente: più la scienza appare come il solo ambito dell’attività umana in cui si possa parlare con sicurezza di progresso, meno sembra capace di ispirare a un vasto pubblico un sentimento di adesione spontanea. Siamo immersi nei problemi del XXI secolo, come se il XX, malgrado le sue due guerre mondiali, fosse stato aggirato.

È una sensazione senza alcun fondamento storico, ma che corrisponde a quello che ci può ispirare lo spettacolo dei cambiamenti in costante accelerazione e lo sgretolamento dei paradigmi che in teoria dovrebbero spiegarlo. La fine delle grandi narrazioni di cui ha parlato Lyotard può apparirci come una regressione intellettuale, per esempio uno svelamento dei rapporti di forza tra nazioni, senza un’autentica posta in gioco intellettuale e ideologica. Il tenore dei messaggi che fanno più proseliti nel mondo oggi è esplicitamente religioso.

Questa constatazione del mondo com’è oggi, con le sue tecnologie di comunicazione indifferenti al tenore dei messaggi, lo spettacolo di una commedia politica che traveste o dissimula gli interessi finanziari dei più ricchi, i calcoli freddi dei pensatori di un certo islam che aspirano a sottomettere il pianeta, tutto questo potrebbe incoraggiare la visione di un mondo allo stremo, destinato alla violenza o all’alienazione. Se prestiamo attenzione al fatto che la storia non è mai stata un lungo fiume tranquillo, i violenti sussulti a cui assistiamo oggi possano essere interpretati come un parto, più che come un’agonia.

A tal fine occorre una filosofia politica che non sia costruita intorno al problema dell’autorità e quindi della legge e dell’interdizione ma parta dal basso, da una posizione decentrata, deangolata, segue la vita reale nelle sue piccolezze, nelle sue apparentemente irrilevanti casualità. È un’analisi che vuol portare alla luce ciò che si nasconde sotto la superficie dei fenomeni, che esamina non il potere sovrano che promana dall’alto e si esercita verso il basso ma i micropoteri che sono diffusi e in atto a livello del quotidiano, gli effetti che il potere genera nella società, nelle forme della cultura e del sapere. Fra sapere e potere il nesso è profondo e strettissimo: l’analisi dal basso mostra che non c’è verità che non sia coinvolta in un rapporto di forza, che sapere e scienza sono non solo strumento ed effetto ma esse stesse forme di dominio, microsistemi di potere.

Respinte le interpretazioni più diffuse del potere, che lo collocano in luoghi riconosciuti, nello stato, nella legge, nel dominio di classe, il potere non occupa un luogo unico privilegiato, né dipende da un unico soggetto identificabile una volta per tutte. L’analisi dal basso fa così vedere che la società non nasce dal contratto ma dalla guerra, dallo scontro, dall’assoggettamento. Gli apparati della produzione, le famiglie, i gruppi ristretti, le istituzioni sono attraversati da rapporti di forza perché tutte le relazioni, ad ogni livello, sono relazioni di potere. L’uomo, essere sociale, è esso stesso prodotto delle infinite relazioni di potere. Il potere ha il suo punto di appoggio nel corpo. Prima del XVIII secolo il potere sovrano del monarca, simboleggiato dalla spada, si esercitava come diritto di vita e di morte. Dal XVII secolo i meccanismi del potere si sono trasformati: il diritto sovrano di appropriarsi dei beni, del lavoro, della vita dei sudditi, non è più la forma principale del potere, che s’impegna, invece, a gestire la vita. Adesso vi sono dei corpi e delle popolazioni. Il potere è diventato materialista, ha smesso di essere giuridico.

Il nocciolo del potere è il biopotere, il potere che si esercita positivamente sulla vita, nel senso che la gestisce, la potenzia, la plasma riuscendo a regolarla e a controllarla in modo sempre più capillare e preciso. Suo oggetto è il corpo dell’individuo e il corpo-specie della popolazione. L’effetto storico è una società normalizzata, in cui i corpi sono plasmati, gli individui irregimentati nella scuola, nella caserma, nell’ospedale, nella fabbrica.

Questa riflessione ha un esito infausto perché il dominio sul corpo è mortifero: conduce all’autodistruzione. E ciò è in contraddizione con la sopravvivenza della specie. Pertanto bisogna attingere una “dimensione altra” che non circoscriva l’umanità in un circolo vizioso. Tra tutte le potenzialità bisogna considerare il valore-amore con tutte le possibili conseguenze. Una teologia moderna, la quale, seguendo l’Illuminismo, prenda sul serio la priorità della ragion pratica, non può fare a meno d’una critica contemporanea e d’una grande sensibilità per i processi sociologici e storici. La teologia, pertanto, va intesa come un’ermeneutica teologica critica in un contesto sociale.

Proprio l’orientamento escatologico di base della teologia e il tentativo di trasmettere un'universalità teologica storica e non solo antropologica, ottengono un’attenzione socio-politica per le proprie condizioni di realizzazione. In base a questa prospettiva vanno sottolineati due aspetti: da una parte occorre mettere in rilievo la struttura di fondo memorico-narrativa dei contenuti cristiani della fede con la funzione del racconto e della storia, che orienta verso l’azione; dall’altra, bisogna far ricorso al racconto della passione di Gesù e alla storia della sofferenza del genere umano come istanza normativa e pratica per la teologia e l’etica storica.

Così la teologia non esplica soltanto una funzione autonoma d’intermediazione tra la teoria e la pratica, ma prolunga la storia dell’oppressione e dell’autoritarismo politico-sociale nella dimensione della sofferenza e della colpa dell’uomo. In tal modo pone anche nuovi accenti per un’intermediazione tra politica e morale.

L’aspetto politico di questa teologia non sta quindi soltanto in un’opzione teorica verso la libertà, ma anche nell’interpretazione della carità cristiana intesa come protezione efficiente nella lotta politica dell’individuo contro l’oppressione straniera e la violenza alla libertà. Nel suo Discorso ai movimenti popolari, (5.11.16) papa Francesco ha citato Martin Luther King che dice: “Quando ti elevi a livello dell’amore, della sua grande bellezza e potere, l’unica cosa che cerchi di sconfiggere sono i sistemi maligni. Da qualche parte qualcuno deve avere un po’ di buon senso e quella è la persona forte, capace di spezzare la catena dell’odio, la catena del male”. Questo significa che i movimenti popolari per spezzare la catena dell’odio andranno incontro allo spargimento di sangue, ma saranno i cristiani a essere martirizzati, come sta avvenendo in quasi tutto il mondo. Ma non è possibile chiedere il martirio a chi si cimenterà in una politica orientata verso i poveri, per l’eguaglianza e la libertà. Questa politica è cosa diversa dalla fede e sono molti i poveri che non hanno fede. Hanno però bisogni urgenti e vitali e bisogna sostenerli nella loro speranza. È quanto ha vissuto Etty Hillesum, la giovane ebrea morta ad Auschwitz nel 1943: «Ad ogni nuovo crimine dovremo opporre un nuovo pezzettino di amore che avremo conquistato in noi stessi».           

Commenti

  • 17/01/2017 piadelia@hotmail.it

    Le affermazioni relative al potere contenute nell'esposizione di Marra, mi hanno sorpreso perchè hanno una drammatica conseguenza: il potere che si esercita sulla vita e' lo stesso che spinge intere popolazioni ad uccidersi reciprocamente in nome della loro necessità di vivere.I massacri sembrano essere diventati"vitali". Mai come negli ultimi due secoli si sono registrate guerre tanto sanguinose e genocidi tanto estesi. Esempi della forma nuova assunta dal potere sono il nazismo, il fascismo, il comunismo e le altre dittature del ventesimo secolo fino all'equilibrio del terrore dell'età atomica.Bisogna anche ricordare tutta la violenza orribile dai primi anni del ventunesimo secolo fino ad oggi. Per questo la politica sulla vita produce la morte di massa, l'assicurazione della vita produce un ordine di morte.Tutto ciò perché é venuta meno l'apertura alla trascendenza e il mondo viene circoscritto in un orizzonte esclusivamente umano. Il cielo sembra soverchiare la terra e schiacciare ogni anelito di speranza.Una sola apertura può rendere possibile il superamento di questo paradosso é la novità inedita dell'incarnazione che vince la morte con il miracolo della natività. 

  • 27/12/2016 wanmar@libero.it

    Una riflessione affascinante. Anche perché coglie uno dei noccioli del problema politico di questi tempi: ovvero la necessità di ri-partire dal basso, in una maniera che sia congrua, coerente e progettuale. Quello che sta accadendo in questa conclusione di 2016 è che - dopo aver dato importanza quasi solo alla leadership (in Italia, ma non solo) - si capisce che senza una trama diffusa, un gruppo che lavora per un obiettivo, la leadership stessa finisce per consumarsi e soccombere.

  • 26/12/2016 carissimavaleria@gmail.com

    Cosa resta del pensiero politico occidentale dopo gli attentati dell'ISIS? Riuscirà la società europea a superare il senso di angoscia derivante dalla perdita del proprio senso di superiorità?

    Se agli uomini del Novecento è stato possibile superare due guerre mondiali, i campi di concentramento, i gulag staliniani e il muro di Berlino, forse sarà ancora possibile agli eredi di Carlo Magno trovare una possibilità di riscatto.

    La società europea dovrà cercare in sé stessa gli anticorpi e, soprattutto, nuove vie per stabilire nuovi contratti sociali che tengano conto dei nuovi assetti sociali affinché democrazia e uguaglianza non siano più considerati parole prive di significato ma realtà con un senso preciso nella struttura sociale.

  • 24/12/2016 salernochiara@libero.it

    Amara e lucida quest'analisi della politica, del potere e delle relazioni interpersonali... Vi ho trovato echi di hobbesiana memoria, imperativi categorici kantiani e scenari di deserto e solitudine.

    Fatta eccezione per lo spiraglio di luce che irrompe alla fine, capovolgendo il piano della realtà: l'amore è la risposta. Oggi, come 2000 anni fa.

  • 23/12/2016 granesedonenzo@tiscali.it

    23/12/2016 Nel leggere l'articolo del prof. Barra ho avuto l'intuizione di riflettere sul ruolo che il credente può avere in politica.

    Senza negare i progressi che l’umanità ha compiuto grazie al sistema democratico, vi è la consapevolezza che tendenze culturali minacciano di compromettere i traguardi raggiunti. Qui nasce il problema del cristiano in politica. Egli, chiamato a partecipare attivamente alla vita politica, si deve confrontare con altre persone che hanno differenti opinioni politiche, culturali, morali e religiose ugualmente legittime.

    Dinanzi a questa realtà politica e sociale, in cui si determina l’intreccio fra democrazia e relativismo etico, occorre una più convinta testimonianza pubblica della propria fede. Per questo il politico cristiano deve essere uomo di fede profonda e di preghiera, che si mette al servizio dei fratelli per attuare il bene comune ai diversi livelli; uomo che non si rinchiude nello spirito angusto e opportunistico di partito; uomo che esercita il potere per servire, senza mai cadere nell’idolatria del potere; uomo umile, che sa consultare e ascoltare gli altri; uomo che, di fronte alla difficoltà ha fiducia nella forza di Dio; uomo che, forte della propria testimonianza di vita, cerca d'incarnare nella società i valori evangelici di rispetto, di fraternità, di progresso umano, di giustizia, di dedizione e di speciale attenzione ai poveri.

    In questo contesto, dando uno sguardo più da vicino alla società italiana, occorre considerare che si è realizzata una forma neocapitalista di Stato, molto secolarizzata e contrassegnata da esiti distorti, quali l’accentuazione dello squilibrio tra Nord e Sud, l’affermazione della violenza, il degrado urbanistico, lo scempio ambientale, l’immoralità politica ed amministrativa, il decadimento dei valori familiari.

    A fronte di queste situazioni il ruolo pubblico del credente è certamente rilevante. Dal momento che la società postindustriale consuma energie che non è in grado di riprodurre ed espone la democrazia a processi di degrado, a logiche neocorporative e antisolidaristiche, a eclissi dei valori etici, è compito dei credenti ricostruire la riserva dei valori umani, testimoniando dedizione, spirito di servizio e di solidarietà, impegnandosi nell’ esercizio della politica.

    Per tutto ciò sono necessarie coscienze forti e adulte e una mentalità che non isoli i cristiani, ma li ponga consapevolmente al centro dei processi storici: cultura, mentalità della condivisione sono più che mai richieste per un impegno civile e politico in una società secolarizzata. L’esercizio della politica deve essere sostenuto da un’approfondita competenza e da un rigoroso impegno etico. Il credente è chiamato a relazionarsi con l’istituzione politica non per cristianizzarla, ma perché essa svolga il ruolo per il quale è stata concepita.

    Il cristiano ha il compito di umanizzare le istituzioni promuovendo il Regno di Dio, pur trovandosi ad agire in un pluralismo politico che lo porterà a fare delle scelte in base ai valori d’ispirazione cristiana. Per questo motivo occorre porre più attenzione alla formazione della coscienza del credente impegnato in politica, tenendo presente alcune urgenze: un’economia solidale, un’etica della pace e una democrazia associativa.

    Il punto di riferimento sarà il ruolo primario della persona umana. Non c’è dubbio che la salvaguardia della dignità umana assume una grandissima importanza, perché trascende ogni differenza di lingua, di cultura, di ideologia, di politica e di sistema economico. Il modello di qualsiasi vita non può svilupparsi se non viene salvaguardata la persona. Spesso l’uomo è esposto alle più umilianti e aberranti forme di strumentalizzazione, considerato come un mezzo in vista di qualsiasi obiettivo e non il fine o il fondamento della vita sociale. Enzo Granese

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