A
Attualità
Attualità, 20/2022, 15/11/2022, pag. 654

Il miracolo di padre Malachia

Mariapia Veladiano

C’è stato un tempo in cui gli scrittori scrivevano romanzi di successo e dentro ci si poteva trovare un mare di competenza teologica, seria, proposta in modo assolutamente godibile a tutti, colti e incolti, come si diceva una volta, in trame interessanti, popolari senza essere mai superficiali.

Un miracolo. Esattamente come quello di cui parla Il miracolo di padre Malachia (Bruce Marshall, Longanesi, Milano 1966), bizzarro e spettacolare, intorno al quale ruota la storia. Il romanzo è del 1931, i fatti accadono in Scozia dove padre Malachia Murdoch, benedettino di fede limpida e intelligente, viaggia dal suo monastero di Glasgow verso Edimburgo perché è stato richiesto dal reverendo Shamus Collins rettore della chiesa di Santa Margherita affinché insegni il gregoriano ai suoi rozzi fedeli.

In realtà la parrocchia sembra avere anche altri problemi, oltre al non saper intonare adeguatamente i canti. La fede è tiepida, i fedeli sono fedeli della domenica già allora, e in più sono arpionati dalle tentazioni che arrivano da una sala da ballo dal nome antifrastico e offensivo, Il Giardino dell’Eden, che si trova proprio di fronte alla chiesa. È assiduamente frequentato, ci va anche il fratello del vescovo Robert Gillespie, che i preti irriverenti chiamano Più Bobbie, dal simbolo della croce che i vescovi antepongono alla firma.

Ma non basta, c’è anche la chiesa «dell’eresia episcopale scozzese» dove esercita il reverendo Humphrey Hamilton, Master of Arts dell’Università di Cambridge, elegante e manierato, che cerca di attirare i giovani alla fede, accondiscendendo largamente alle mode dei tempi. Il monaco e il reverendo s’incontrano, per caso, discutono brevemente, anche di miracoli, e non s’intendono per niente. Malachia fortissimamente crede. Il dialogo sul miracolo di san Gennaro, che viene portato dal reverendo Hamilton a detrimento della pretesa verità oggettiva e geometrica della fede cattolica, il padre Malachia lo difende con una capriola dialettica incantevole: nella sua infinita saggezza Dio lo fa accadere in Italia, «dove la logica latina interpreta subito queste manifestazioni come fugace sollevarsi del velario, avente lo scopo di fare vedere a tutti che la religione cattolica è vera» (52). E non altrove, nella fredda scettica Scozia, ad esempio.

Ed è così che padre Malachia, non si sa come, per confutare il religioso scetticismo del reverendo, scommette che la sera dopo il Signore in cui lui fermamente crede sposterà la sala da ballo in un qualsiasi posto deciso dal reverendo. Il giorno dopo è esattamente il 10 dicembre, data della traslazione della Casa di Loreto, miracolo in fondo secondario, dice Malachia, rispetto ad altri in cui tutti i credenti credono: l’incarnazione, l’immacolata concezione, la transustanziazione. Per cui il Signore non avrà difficoltà col piccolo miracolo scozzese.

Non c’è niente di ironico in tutta la storia. Malachia è serissimo, non sta tentando Dio. Ma davvero e sinceramente pensa che di fronte a tanta sacra e profana incredulità sia possibile che un bel miracolo inconfutabile porti alla conversione universale. Il miracolo avviene, Il giardino dell’Eden viene trasportato con ballerine, avventori, luci e musiche sul cucuzzolo di Bass Rock, un’isoletta malinconica del Mar del Nord, alla foce del fiume Forth: «Aveva sperato, padre Malachia, che a tutti, ai vicini e ai lontani, il miracolo avrebbe parlato da sé, e che i tiepidi di spirito di tutto il mondo sarebbero stati ricondotti ai piedi di Cristo da questo meraviglioso evento soprannaturale» (123). E invece no.

Gli edimburghesi non cattolici sono sospettosissimi verso i cattolici che conoscono come grandi manipolatori della morale (e c’è tanta buona critica al cattolicesimo formale e politico e opportunista, nel romanzo). Ma anche il vescovo cattolico Robert Gillespie, Più Bobbie, è francamente irritato dal miracolo: «Nihil innovetur nisi quod traditum est», ricorda a un padre Malachia un poco interdetto. E in effetti, «questa faccenda di far svolazzare le sale da ballo non ha nessun precedente nella tradizione e nella sacra leggenda» (133).

Poi ci sono i mancati profitti dei proprietari della sala da ballo, che minacciano di far causa al padre Malachia, tranne poi trarre ancora maggior profitto dal fatto che una sala da ballo ora tanto famosa, in un posto dove proprio non ce ne sono e non ce ne saranno per un bel po’, potrebbe essere un buonissimo affare, soprattutto se si agisce mentre «il miracolo è ancora caldo» (221). Insomma, il miracolo non sortisce l’effetto sperato di portare immantinentemente anime a quel «granaio eterno che chiamiamo Cielo» (70).

Ci è simpatico padre Malachia, è costruito per essere simpatico, perché è onesto, crede in Dio davvero, non millanta per motivi di potere o seduzione. Anche se è infine un conservatore: «Io penso che questi “tempi di evoluzione”... siano invece di terribile involuzione e che parlare di un allineamento della religione al pensiero moderno sia tanto assennato quanto parlare di un allineamento dell’impressionismo con l’idraulica» (46).

È bravo Bruce Marshall, non solo quando parla di religione, dogmi, senso comune della fede, miracoli, ma anche quando descrive la ritualità di quei rapporti malinconicamente asimmetrici per età e soprattutto per intenzioni e fini che nascono nelle sale da ballo, così si chiamavano all’epoca, oggi chissà. O quando ci sventaglia davanti una serie drammatica e sempreverde di luoghi comuni e stereotipi del nostro povero cristianesimo. O quando ci isola un pensiero improvviso di padre Malachia e questo suona straniante, a sapere che era un secolo fa: «Ah se i paesi del mondo avessero imparato a pensare in termini di grazia divina, anziché in termini di carbon fossile» (41).

Il romanzo di Bruce Marshall continua a essere tradotto (in italiano ne troviamo più edizioni in Jaca Book anche in tempi recenti) perché è francamente bello e divertente. 

Un miracolo della buona letteratura.

 

Tipo Segnalazioni
Tema Cultura e società
Area
Nazioni

Leggi anche

Attualità, 2024-6

Il girasole

Mariapia Veladiano
A Simon Wiesenthal siamo grati per il Centro ebraico di documentazione sulle persecuzioni che gli ebrei subirono in Germania ed Europa prima e durante la Seconda guerra mondiale. Lui era ebreo di Bučač in Galizia, a sud di Leopoli. Perseguitato prima dai russi e poi dai tedeschi. Internato in 13 campi di prigionia e concentramento, liberato nel 1945 da quello di Mauthausen. Grazie a lui un numero...
Attualità, 2024-4

La firma. Una famiglia veneta fra due secoli

Mariapia Veladiano

È un romanzo in cui si casca come in un pozzo. Non ci si può fermare. E non a causa delle (moltissime) cose che accadono, ma perché ci si trova con una vivacità e una limpidezza straordinarie dentro agli avvenimenti formidabili che hanno determinato la storia italiana del Novecento.

Attualità, 2024-2

L’ora nona

Mariapia Veladiano
Il filo rosso di queste «Riletture» è la domanda sulla vita e su Dio. I romanzi sono più attrezzati dei trattati in queste cose, perché com’è ovvio partono sempre dalla vita, e ci rimangono dentro, e non hanno la pretesa di dare una risposta. Peggio ancora, la risposta. Mentre ai trattati, soprattutto teologici, è richiesto di chiudere in qualche...