Myers e "La signora Christopher"
Il consiglio di lettura è arrivato da Bruce Marshall che ha dedicato A ogni uomo un soldo (Regno-att. 16,2025,470) a Elizabeth Myers «scrittrice di valore e donna di coraggio». E allora ecco, della Myers, il romanzo La signora Christopher (Elliot 2017, traduzione di Marcella Bonsanti).
Straordinario. Si tratta di una storia sbalorditiva che però si sente verosimile per la sapienza con cui viene raccontata, e per la bellezza della scrittura che ci avvolge come un incantesimo, e anche per la verità delle riflessioni che la accompagnano. La vicenda parte dal colpo di pistola, secco, non programmato ma non casuale, con cui l’intelligente, colta, mite signora Christopher, di solida fede cristiana e di grande serena moralità, uccide il signor Sine, uno strozzino odioso che prova piacere a tormentare, oltre che a spennare, le sue vittime.
Sono in quattro nel salotto del signor Sine la sera dell’inatteso omicidio. Curiosamente lo strozzino li ha convocati insieme, con l’unico scopo di avere un pubblico terrorizzato ad assistere alle sue vessazioni. La signora Christoper aveva la piccola pistola con sé per sola autodifesa, ma la usa e uccide, a freddo, un solo colpo. I quattro si trovano improvvisamente liberi.
Un nuovo principio si spalanca davanti a loro: «Non può farci più nulla adesso, se non ci facciamo più nulla da soli!» (21). Lo dice Edmund, uno dei quattro e lo ripeterà, malinconico ricordo, qualche tempo dopo anche Veronica, a sua volta della trista compagnia che comprende anche Gil, medico di poco conto che pratica aborti clandestini.
Poi il romanzo segue le vicende di ciascuno di loro. La signora Christopher esce per prima dalla casa dello strozzino, dopo aver dato nome e cognome ai compagni di sventura, nel caso improbabile che qualcuno di loro fosse stato ingiustamente accusato. Fuori la attende la luce di «una luna sfaccendata» (24). Elizabeth Meyer scrive divinamente e gioca con sapienza il contrasto fra la natura, sempre motivo di riflessione e portatrice di bellezza, e il terribile tormento interiore dei personaggi.
In realtà la signora Christopher è una persona lucidissima, abituata all’autoanalisi, saldamente ancorata nella fede cristiana e acquisisce subito e accetta la sua nuova condizione: «Commettere un delitto è di una facilità che dà il capogiro; e una volta portatolo a compimento, non ce ne si libera più» (27). Non c’è un’altra identità a cui aggrapparsi, si è quella di prima ma si è un’assassina e per questo lei, con determinazione, decide di costituirsi, semplicemente, ben consapevole di finire impiccata.
Suo figlio Hugh è un commissario di Scotland Yard e lei va a casa sua. Qui scopriamo che la signora Christopher pagava lo strozzino non per sé ma per la giovane nipote Elizabeth, moglie di un eminente politico, che da giovane si era data alla droga. Una volta finiti i soldi per pagare il silenzio di Sine, Elizabeth aveva chiesto aiuto alla zia. Hugh non ne vuol sapere di denunciare la madre e la vorrebbe aiutare nella fuga, ma la madre è fermissima nell’accettare le conseguenze del suo «aver perso la testa sotto l’impulso della compassione» (45) verso le tre vittime vessate e umiliate dallo strozzino.
La discussione che segue è pura teologia. La signora Christopher parla d’amore verso il prossimo, amore che lei ha dimenticato con il suo gesto perché non lo ha allargato anche al malvagio Sine: «Caddi nell’errore di credere che la violenza fosse una soluzione» (47). Ma almeno ai tre ora di nuovo liberi verrà una nuova vita, questo la consola. Hugh contesta parola per parola la fiducia nella natura umana che la madre professa e le propone di aspettare un mese a costituirsi e intanto mettere alla prova i tre offrendo una ricompensa di 500 sterline a chi darà informazioni utili a trovare l’assassino di Sine.
Il resto del romanzo segue le vicende dei tre sventurati. Ciascuno dei quali è sì libero dal ricatto ma non libero dalla propria natura, da ciò che lo ha portato al ricatto. Sono tre storie di buoni propositi (essere grati alla donna che li ha liberati), di velleità (diventare migliori senza cambiare niente della vita di prima), di miseria, perché sono tutti variamente poveri, e certo, alla fine, di tradimento perché uno dopo l’altro si presentano al commissariato da Hugh a ritirare le 500 sterline.
La tesi di Hugh sulla malvagità del genere umano sembra vincere su quella della madre secondo cui l’amore è comunque sempre l’unica strada ma il dialogo finale fra i due, in carcere, non allontana la signora Christopher dalla sua fede: «Ora ho un’idea, seppur debole, di che significhi esser Dio, venir traditi e ritraditi ancora da coloro che si giudicano leali, pur restando capaci di perdonare e, meglio ancora di amare» (246). E sulla base di questi e simili ragionamenti la giuria prenderà la sua decisione, salomonica.
Un romanzo splendido, un’autrice piena di sorprese, che ci regala una fra le più belle immagini della morte trovate nei libri: «Credo che la morte verrà da me come veniva l’oceano quand’ero bambina. C’era la strada provinciale d’apparenza comune, con ai margini le palizzate di legno che le conferivano un’aria distinta, c’erano le finestre con le tendine trinate e i vasi di fiori, c’erano i negozi di giocattoli con secchielli, palette, bandierine vivaci e mulini a vento di celluloide ronzanti alla brezza, e poi, a una svolta, oltre la passeggiata lastricata, sabbiosa, lo splendore di luce riverberata dal mare aperto era come un passaggio da cose ben conosciute a un elettrizzante aldilà» (31).