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Attualità
Attualità, 6/2024, 15/03/2024, pag. 137

Italia - Elezioni regionali: serve un progetto

Non basta il potere, non serve un «campo»

Gianfranco Brunelli

Le due elezioni regionali in Sardegna (25 febbraio) e in Abruzzo (10 marzo) hanno dato il via all’anno elettorale.

 

Le due elezioni regionali in Sardegna (25 febbraio) e in Abruzzo (10 marzo) hanno dato il via all’anno elettorale.

In Sardegna, la vittoria con un margine così esile di 1.600 voti di Alessandra Todde (45,3%), candidata del Movimento 5 stelle (M5S) in alleanza con Partito democratico (PD) e sinistra, è apparsa ancora più esile alla luce del fatto che le liste collegate al candidato perdente, il meloniano Paolo Truzzu (45%), hanno ottenuto una percentuale superiore di consensi (48,8%) rispetto a quelle collegate alla Todde (42,6%). L’alleanza tra M5S e PD ha beneficiato in questo caso dell’effetto candidato sbagliato del centro-destra e, in piccola parte, del voto disgiunto.

Più complesso valutare l’effetto sistemico della candidatura di Renato Soru, in posizione centrista, sulle elezioni. Il suo effetto mobilitazione, a favore o contro, ha certamente inciso sia sulla partecipazione al voto, sia sul risultato complessivo. Il suo risultato tuttavia si è fermato all’8,7% (63.021 voti) e segna una sconfitta decisiva, non consentendogli d’entrare in Consiglio regionale, a motivo della legge elettorale sarda.

Fratelli d’Italia subisce una sconfitta, vedendo quasi dimezzata la propria base elettorale (13,6%) rispetto alle elezioni politiche del 2022 (23,6%), in gran parte per effetto del candidato sbagliato e per una forte competizione politica con la Lega salviniana, la quale per altro fa segnare un risultato altrettanto deludente: 3,7%, contro l’11,4% alle precedenti regionali del 2019, nelle quali tuttavia esprimeva il candidato, e l’8,9% alle politiche del 2022.

Diverso è il discorso nell’area di centro-sinistra. Qui non c’è alcun vento di riscossa. L’elettorato 5Stelle rimane volatile e scarsamente radicato per partecipare significativamente al voto in elezioni regionali o amministrative. Il M5S passa dal 23,6% delle politiche al 7,8% delle regionali. Secondo le analisi dell’Istituto Cattaneo, la base dell’elettorato del PD si conferma «costante», incline cioè a partecipare con continuità a tutti gli appuntamenti elettorali. Il PD perde il 4% verso le liste locali ma nel complesso tiene e, con il 13,8%, risulta, seppure di poco, primo partito dell’Isola.

Parziali conferme

Le elezioni in Abruzzo, a risultato rovesciato (vince con un distacco sicuro il centro-destra), danno tuttavia conferme. Qui la coalizione di centro-destra, che sosteneva il presidente uscente, Marco Marsilio, ha ottenuto il 53,5% dei voti, mentre la coalizione di centro-sinistra, che candidava Luciano D’Amico, si è fermata al 45%. Come in Sardegna il centro-sinistra va meglio nelle città principali e il centro-destra in provincia, fatte salve le differenziazioni locali.

Il cosiddetto «campo largo», qui al completo (PD, M5S, sinistre varie, Azione, Italia dei valori, +Europa), soffre – secondo l’analisi del Cattaneo – di «fuoriuscite più consistenti verso l’astensione o di flussi diretti verso la coalizione avversaria. Si tratta di una dinamica quasi inevitabile. Da un lato, è strettamente necessario che la coalizione s’allarghi, per evitare il ripetersi indefinito dell’asimmetria che ha moltiplicato la vittoria in seggi del centro-destra alle elezioni per la Camera del 2022. Dall’altro, l’elettorato di quest’area è attraversato da varie linee di frattura al suo interno: da una reciproca ostilità deliberatamente coltivata dai leader verso i leader e i “simboli” dei partiti oggi potenziali alleati, da una diversità di posizioni su vari temi (di politica interna e internazionali) più profonda rispetto all’elettorato di centro-destra».

Le due componenti più volatili di quest’area elettorale sono rintracciabili, attraverso le analisi dei flussi dell’Istituto Cattaneo, tra gli elet-
tori del M5S e tra gli elettori della componente centrista, ex Terzo polo e +Europa. Nel primo caso prevale, come sempre, la tendenza ad astenersi in occasione di elezioni locali, o a votare in una qualche misura l’altra coalizione: con Marsilio è andato il 10% di chi aveva scelto il M5S nel 2022.

Nel secondo, la tendenza a spostarsi verso il centro-destra, soprattutto quando l’alleanza dell’area di centro-sinistra vede la presenza del M5S. In questo quadro, gli equilibri all’interno del centro-destra rimangono abbastanza stabili. Il PD ottiene un risultato di conferma risalendo al 20,3%. Mentre il M5S si ferma al 7%.

Fratelli d’Italia qui si conferma non solo il primo partito (24,1% + la lista del suo candidato, 5,7%), ma il baricentro della coalizione.

Un ulteriore dato, interessante da leggere sul piano nazionale se le prossime elezioni europee lo confermeranno, è la tenuta di Forza Italia, data per finita dopo la morte del fondatore Silvio Berlusconi. Forza Italia, col 13,4%, continua la sua lenta ripresa, attraendo voto moderato e superando la Lega che perde anche in Abruzzo e si ferma al 7,6%. La Lega di Salvini vede ridotta la sua ambizione nazionale. A livello locale Salvini sconta la progressiva fuoriuscita del ceto politico proveniente da diverse posizioni che nel passato era salito, dopo il 2018, in particolare al Sud e al Centro, sul carro del vincitore, e che ora si ricolloca verso Fratelli d’Italia o verso Forza Italia.

Procede la crisi

Di positivo queste elezioni regionali ci raccontano come la tendenza bipolarizzante, là dove i modelli elettorali lo richiedono o lo consentono, si conferma in Italia. Il tema allora rimane quello delle riforme istituzionali, accanto a quello dell’offerta politica, ciò che determina il modello competitivo e la proposta dei soggetti politici e la loro componibilità. Per il resto le due elezioni danno risposte parziali e confermano le difficoltà della nostra situazione piuttosto che indicare soluzioni.

La coalizione di centro-destra conferma via via la propria leadership, che tuttavia è radicata nella presidenza del Consiglio, cioè nel potere. Dopo Berlusconi, Giorgia Meloni è la leader del centro-destra. Salvini è stato una meteora. Ma l’effetto di potere non descrive fino in fondo e in prospettiva una leadership autentica. Registra l’equilibrio delle forze. L’impressione che Meloni abbia un atteggiamento conservativo, situazione per situazione, più che un modello culturale di tipo conservatore trova conferme nella mancata presa di distanza dal proprio passato e dal passato di quel 4% delle origini, nonché dalle incertezze nelle sue alleanze europee.

Al centro-sinistra non serve un campo, «largo», «giusto», «più largo» che sia, serve un progetto. Il centro-sinistra non ha né un progetto politico, né un leader che lo incarni. Anni di delegittimazione reciproca tra i diversi soggetti e i loro leader di turno di quest’area, e alleanze subitanee senza programma politico, come quella tra PD e M5S in diverse occasioni, alimentando le fratture interne hanno alimentato la non credibilità: né quella della proposta, né quella di una leadership.

La direzione politica di Giuseppe Conte (oramai esclusiva) non è riuscita a modificare le caratteristiche del M5S. Partito d’opinione nazionale, dalla natura pluriforme e scarsamente identitaria, il che consente un radicamento territoriale debole e politicamente parziale, non corrispondente al voto piuttosto qualunquista del proprio potenziale elettorato. Un elemento che spinge il movimento alla solitudine o ad alleanze competitive, che portino in maniera piuttosto esclusiva il proprio segno.

Il PD di Elly Schlein non è nelle condizioni d’essere attualmente il baricentro della coalizione e non riesce ad andare oltre a un’alleanza competitiva col M5S. Dopo il fallimento del Terzo polo, l’intera area di centro del centro-sinistra si trova in crisi di rappresentanza elettorale e di leadership. Una parte dell’elettorato che aveva scelto quest’area è tentato di ritornare verso il mondo berlusconiano.

Alle viste non c’è alcuna prospettiva. Procede la crisi.

 

Gianfranco Brunelli

 

Tipo Articolo
Tema Politica
Area EUROPA
Nazioni

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