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Documenti, 14/2015

Il primo genocidio del XX secolo

Nel centenario del «martirio» degli armeni

Francesco
«Avverto il papa di non ripetere questo errore, e lo condanno». Sono dure le parole scelte dal presidente turco Erdoğan dopo che papa Francesco, durante la celebrazione commemorativa a cent’anni dal «martirio» degli armeni, tenuta in Vaticano lo scorso 12 aprile, aveva ripreso la parola «genocidio» per definire l’evento. «La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come “il primo genocidio del XX secolo”, ha colpito il vostro popolo armeno, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci», le parole di Francesco, che citavano la Dichiarazione comune del 2001 tra Giovanni Paolo II e il patriarca Karekin II (cf. in questo numero a p. 10). Nell'occasione, proclamando dottore della Chiesa san Gregorio di Narek, il papa ha anche esortato alla riconciliazione tra i popoli armeno e turco, e all’impegno per la «piena unità» della Chiesa in Armenia.

Nazione martire, nazione risorta

Lettera enciclica per il centenario del genocidio

Karekin II, catholicos di tutti gli armeni
«Il centenario del genocidio degli armeni è davanti a noi, e le nostre anime risuonano di una potente richiesta di verità e giustizia che non sarà messa a tacere». Con una solenne lettera enciclica, pubblicata lo scorso 28 dicembre, il patriarca supremo e catholicos della Chiesa apostolica armena Karekin II ha ufficialmente aperto le celebrazioni per il centenario del genocidio armeno. Il massacro di circa un milione e mezzo di armeni, avvenuto con la fine dell’Impero ottomano, è stato qualificato «genocidio» dalla Conferenza di Parigi del 1920. Da allora il «Metz Yeghern» («Grande Male») ha ottenuto lo stesso riconoscimento ufficiale da parte di una ventina di stati; la Turchia si è sempre rifiutata di concedere il riconoscimento. «Un secolo fa era difficile credere in un futuro per il popolo armeno. Tuttavia una nuova alba è sorta. Con la grazia del Signore, il nostro popolo è risorto dalla morte», scrive Karekin, che nella lettera annuncia per il prossimo 23 aprile una solenne liturgia «per canonizzare i figli e figlie [dell’Armenia] che hanno accettato il martirio come santi “per la fede e per la patria”» e proclama il 24 aprile «Giornata della memoria per i santi martiri del genocidio».

Dichiarazione comune

Giovanni Paolo II, Karekin II
Dal 25 al 27 settembre 2001 Giovanni Paolo II visitò l’Armenia, terra di un antichissimo popolo cristiano, per tradizione il primo fra tutti i popoli a riconoscere il cristianesimo come religione della nazione. Si trattò allora di «un vero e proprio pellegrinaggio alle sorgenti della fede di quel popolo», che celebrava in quell’anno il 1700° anniversario della sua conversione al cristianesimo. Fu in quel contesto che papa Woytjla e il catholicos di tutti gli armeni Karekin II firmarono una Dichiarazione comune, nella quale compaiono le parole: «Lo sterminio di un milione e mezzo di cristiani armeni, che generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo» (Regno-doc. 17,2001,541), citate da papa Francesco durante la celebrazione in San Pietro per il centenario dell’evento (cf. in questo numero alle pp. 1ss). Nella Dichiarazione si leggeva ancora che «gli innocenti che furono massacrati senza motivo non sono canonizzati, ma molti di loro sono stati certamente confessori e martiri per il nome di Cristo»; questo riconoscimento sarà infine celebrato, il prossimo 23 aprile, da Karekin II con una solenne liturgia «per canonizzare i figli e figlie [dell’Armenia] che hanno accettato il martirio come santi “per la fede e per la patria”» (cf. in questo numero alle pp. 7ss).

A cento anni dal genocidio armeno

Risoluzione del 15 aprile 2015

Parlamento europeo
Si moltiplicano le pressioni internazionali sulla Turchia a pochi giorni dalla commemorazione del centenario del massacro degli armeni. Con una risoluzione votata mercoledì 15 aprile, anche il Parlamento europeo ha incoraggiato la Turchia «a cogliere l’importante opportunità offerta dalla commemorazione del centenario del genocidio armeno per portare avanti gli sforzi volti a venire a patti con il passato, anche con l’apertura degli archivi, e a riconoscere il genocidio armeno, aprendo così la strada a un’autentica riconciliazione tra il popolo turco e il popolo armeno». Nella risoluzione, oltre a rendere omaggio «alla memoria del milione e mezzo di vittime armene innocenti» e alle vittime di tutti i genocidi; oltre a valutare «un passo nella giusta direzione» le dichiarazioni del presidente turco Erdoğan e del primo ministro Davutoğlu «in cui porgono le loro condoglianze e riconoscono le atrocità ai danni degli armeni ottomani»; oltre a invitare le parti a «ispirarsi a esempi di riconciliazione positiva tra le nazioni europee», viene espressamente elogiato il messaggio di papa Francesco agli armeni del 12 aprile (cf. in questo numero a p. 4ss).

Il nazionalismo dell'esclusione

Conferenza delle Commissioni giustizia e pace d'Europa
«Per i cristiani, la nazione non può rappresentare il valore supremo e ogni sentimento di supremazia nazionale è ingiustificabile». Un appello contro i nazionalismi e le esclusioni politiche e sociali risorgenti è stato lanciato, lo scorso 18 febbraio, all’inizio della Quaresima, dalla Conferenza delle 31 Commissioni giustizia e pace d’Europa (Justitia et Pax Europa) in una nota che ha lanciato l’iniziativa annuale congiunta per il 2015. Un fenomeno trasversale che «suscita molte inquietudini», lo definisce la nota, che si è evidenziato nei risultati delle recenti elezioni regionali, nazionali ed europee. L’invito a tutti gli attori della società civile è quello di «manifestare una reazione ferma alla crescita del razzismo e della xenofobia». La legittima rivendicazione dell’autonomia nazionale non può essere perseguita a scapito del «rispetto della dignità umana», che sta al cuore del progetto europeo. Ai responsabili politici si chiede, infatti, di rinnovare l’impegno a favore dell’integrazione europea «attraverso una lettura positiva e una critica costruttiva del processo e resistendo alla tentazione di fare dell’Unione Europea il capro espiatorio di fronte a problemi che hanno origini nazionali».

Riforma della polizia e giustizia razziale

Teologi cattolici degli Stati Uniti
L’8 dicembre 2014 è stata pubblicata una Dichiarazione dei teologi cattolici sulla giustizia razziale, firmata da alcune centinaia di docenti (laici e non) della vastissima rete di scuole e università cattoliche americane. La lista dei nomi vede come primo firmatario ed estensore del documento Tobias Winright (Saint Louis University), teologo moralista specializzato in questioni di giustizia sociale e violenza. Tra i firmatari spicca anche il teologo afroamericano cattolico più influente oggi, Bryan Massingale (Marquette University). Riconosciuti i «flagranti fallimenti di una nazione ancora (...) avvolta e complice in una situazione di ingiustizia razziale», i teologi s’impegnano a esaminare la loro stessa complicità con un sistema sociale ancora vittima del razzismo e a manifestare concreta solidarietà con i movimenti di protesta contro il razzismo; chiedono «un radicale ripensamento delle politiche di polizia», delle linee guida per l’uso della forza letale e una maggiore trasparenza e responsabilità da parte delle forze dell’ordine. Il documento va letto in un contesto dove la popolazione di colore è soggetta alla violenza della polizia in misura molto maggiore del resto degli americani, e dove la polizia è raramente chiamata a rendere conto dell’uso della violenza.