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Il Regno delle Donne

Festa della mamma | Madri e figlie: “Lady Bird”

Dal recente film di Greta Gerwig alcuni spunti su un rapporto complesso e in divenire, in cui ciascuna può essere fonte di benedizione e liberazione per l’altra.

Come inizia la nostra storia? Con un viaggio: andare da un posto verso un altro e, non meno importante, condividere ciò che ti fa commuovere con chi ti è accanto durante quel tragitto, lungo o breve che sia. Così è la nascita di un bimbo: viaggia nel grembo materno per andare oltre e condivide tutta la sua commozione con la genitrice. Così è l’inizio del film Lady Bird: in una macchina, durante un viaggio, la mamma alla guida e la figlia, emozionate dall’ascolto di un’audiocassetta.

La visione di questo film, uscito nelle sale italiane i primi di marzo, può essere stimolante per ricomprendere alcune questioni essenziali, come la relazione con la madre e il suo rimandare a un’altra dimensione, quella trascendente, di apertura al divino. Inoltre consente di osservare un processo di liberazione per entrambe le protagoniste: come la mamma permette alcune condizioni che aiutano l’adempimento dei progetti della figlia, così la figlia offre alla mamma la possibilità di essere libera dai sensi di colpa, d’inadeguatezza e di onnipotenza.

Verso l'alto e l'oltre...storia di una relazione 

La protagonista è un’adolescente della città di Sacramento, stato della California, che aspira ad entrare in una Università della costa Occidentale. Quando le chiedono di presentarsi lei risponde: «Lady Bird», un nome non dato da altri – com’è l’origine di ogni nome, simbolo del dono della vita – ma che la ragazza dai capelli rosso sfumato ha donato a se stessa.

La mamma di Lady Bird è capace d’amare chiunque, ma crede poco nel suo amore. Troppo intenta a vedere se gli altri stanno bene e cosa può fare per loro. Lo potremmo definire un “difetto” generalmente tipico delle mamme di fronte al quale gli stessi figli spesso non sanno come comportarsi. Amare tanto senza credere che sia mai sufficiente ricambiati, per chi è destinatario, può risultare troppo forte, quasi esasperante.

Di questa mamma dicono, ad un certo momento del film, che è affettuosa ma nello stesso tempo inquietante. Lady Bird risponde che non si può essere entrambe le due cose. A casa sua c’è posto per chiunque, non si fanno distinzioni di casi umani, anche un marito depresso e senza lavoro è preso in cura: è il potere di una madre.

Ma, se per tutti c’è posto, per Lady Bird c’è bisogno di un altro nido. Mamma e figlia, tra di loro, non si sentono riconosciute, sentono che quello che fanno non è mai abbastanza. La mamma è sorda alla corale di grazie che la circonda. Si sente sempre un po’ fuori posto, come seduta sul bordo di una sedia che non occupa mai comodamente.

Forse è proprio questo che le permette di accogliere tutti. Ma Lady Bird sente che c’è un di più, c’è un mondo d’aspirazione che non ha confini, limiti; oltre i binari che separano il quartiere povero in cui lei abita da quello ricco, al quale vorrebbe appartenere, c’è un oltre che ha bisogno di essere perseguito. Non esiste solo il nome che i genitori le hanno dato, esiste un nome che lei si dona è: la normale lotta della crescita dell’adolescente, attuata dalla ferma affermazione della propria individualità. Non si inserisce nella comunità della scuola, perché non si deve omologare agli altri. Ma se vuole raggiungere quell’oltre, allora si può fare il “sacrificio” di un’attività scolastica, di condivisone di tempi e spazi in quella città così stretta, come può sembrare su di lei la presa della mamma.

Andare oltre, volare oltre, perché è il calore della madre, che sospinge Lady Bird verso l’altro, l’alto e l’oltre, in modo quasi inconsapevole ad entrambe.

E l’oltre è presto raggiunto. Da guidati si diventa guidatori. La macchina del viaggio è condotta dalla figlia, finalmente patentata, che per la prima volta vede quel mondo da un’altra prospettiva, il suo mondo di adolescente si rivela diverso con gli occhi di adulta. L’oltre è finalmente abitabile, senza finzioni, perché la nuova città la può accogliere, può studiare in un college della città di New York.

«Tu credi in Dio?» chiede Lady Bird, oramai avviata alla nuova vita; al suo interlocutore l’argomento non gli interessa, ma lei ribadisce: «Cretino, come fai a non interessarti, se neanche il tuo nome decidi da te stesso?». «Mi chiamo Christine». Si presenta così al suo interlocutore perché, in onore dell’Altro e di coloro che da sempre ci ricordano che non siamo solo opera di noi stessi, il suo vero nome è consegnato.

Essere liberi, e benedire la vita

Dopo la visione del film, alcune parole come a continuare l’ultimo discorso di Lady Bird:

Mamma, di quanto ancora ti dovrai sentire in colpa? Non esistono tribunali per te, non te li creare con le tue paure di non essere mai abbastanza, di non aver fatto mai troppo; prima che tu benedica il primo viaggio, il primo volo solitario di tua figlia o di tuo figlio, sarai stata già ringraziata. Al grazie (alla grazia) di una figlia, di un figlio, ogni condanna è sciolta, ogni atto di accusa prosciolto. Siamo liberi, mamma, liberi di benedire le nostre vite. Grazie di aver benedetto la mia vita, che tu possa sentire quanto la tua è benedetta.

...A maggio, nei cieli tiepidi delle nostre città, i “birds” volano alto e spaziano fieri, leggeri, intrepidi abitanti di un mondo che accoglie le loro identità.

Buona festa della mamma!

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