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Il Regno delle Donne

Sinodo 2018 - Non è più tempo di difendersi

Credenti e/o atei, comunque poco e relativamente. Così molti giovani, come appare dalle ultime inchieste e anche dall’esperienza di molti adulti. Certo, poi, si sente dire: ma i giovani non sono tutti così, ce ne sono tanti che…, ci sono tanti bravi giovani, il volontariato… e via dicendo. I “nostri” giovani. C’è un clericalismo che non dipende semplicemente dall’appartenere al clero; è una forma mentis che ritiene “rilevante” ciò che entra esattamente e senza frizioni nella propria mente; il resto è dolore, se si è buoni, o errore, se si è rigidi. Il mondo, extra moenia, fuori dalle “mie” mura, è tendenzialmente sbagliato.

A non essere clericali ci si trova in mare aperto, con tante domande e sistematicamente perplessi sulle risposte. Il Sinodo che si sta svolgendo ha avuto una preparazione abbastanza diversa dal solito, sembra essere stato inaugurato uno stile migliore; la costituzione apostolica Episcopalis communio ha aggiunto peso e pensiero per molti, il quadro non è scontato. Sinodo dei vescovi rimane.

Una buona partenza

Quali elementi abbiamo? Fino ad ora, a guardare l’Instrumentum laboris, sembra passato il fatto che questi giovani nel mondo non sono tutti uguali, che è impossibile parlarne come un gruppo determinato da un numero (che sarebbe l’età, e l’età nelle diverse parti del mondo non indica sempre le stesse situazioni; non siamo contemporanei, nemmeno nelle età della vita); le culture, le condizioni di vita sono diverse fino al punto da impedire un discorso e un linguaggio comuni. C’è una benedizione nella giovinezza che non sempre è a portata di mano, può perdersi, svanire. Troppo facile agganciarsi subito a Evangelii gaudium n.115: «La grazia suppone la cultura»? Forse in questa complessa non-contemporaneità delle culture c’è un posto per le donne, per la loro differenza e parzialità? Sulle condizioni di esercizio delle loro vite, anche nella Chiesa?

C’è un discorso ampio sulla vocazione, che parte dalla vita, dalla vocazione battesimale; riusciremo a chiudere l’epoca in cui la vocazione era quella religiosa? Impareremo, una volta per tutte, che la vocazione è alla vita e alla vita spesa dietro al Signore Gesù, nell’attesa del Regno? Tutti “consacrati”, perché il tempo è di Dio? E, tra le righe, nel non-detto, possiamo anche rimanere impensieriti dalla grandissima fragilità della vita: siamo come l’erba del campo, non solo di fronte alla morte, ma di fronte alla vita. Su questo le donne, giovani e anziane, hanno molto da raccontare, sempre.

La sequenza riconoscere-interpretare-scegliere sembra felice. Invita a sostenere il/un discernimento. Vocabolo passepartout, ma anche parola-chiave che indica la umana difficoltà a capire, a regolarsi, a scegliere. In fondo all’Instrumentum laboris aleggia la parola accompagnare, parola severa. Dice di strada non ben segnata, di solitudine, di un faticoso orientarsi.

Dunque, fin qui il Sinodo va bene così. Abbastanza bene. Vedremo.

Guardiamoci con i loro occhi

Ma, raccolti questi elementi positivi, come farli funzionare in modo “non clericale”, come chiede papa Francesco nel Discorso alla prima Congregazione generale?

Nell’Instrumentum laboris, al n. 66, c’è un passaggio interessante, che papa Francesco ha ripreso nel discorso fatto a Tallin il 25 settembre scorso, nell’Incontro ecumenico:

«Un numero consistente di giovani, provenienti soprattutto da aree molto secolarizzate, non chiedono nulla alla Chiesa perché non la ritengono un interlocutore significativo per la loro esistenza. Alcuni, anzi, chiedono espressamente di essere lasciati in pace, poiché sentono la sua presenza come fastidiosa e perfino irritante. Tale richiesta non nasce da un disprezzo acritico e impulsivo, ma affonda le sue radici anche in ragioni serie e rispettabili: gli scandali sessuali ed economici, su cui i giovani chiedono alla Chiesa di “rafforzare la sua politica di tolleranza zero contro gli abusi sessuali all’interno delle proprie istituzioni” (RP 11); l’impreparazione dei ministri ordinati che non sanno intercettare adeguatamente la vita e la sensibilità dei giovani; il ruolo passivo assegnato ai giovani all’interno della comunità cristiana; la fatica della Chiesa di rendere ragione delle proprie posizioni dottrinali ed etiche di fronte alla società contemporanea».

Un atteggiamento non clericale sarebbe quello di cominciare a guardare sé stessi, noi gli adulti, i vecchi, le comunità, le parrocchie… a guardarci con gli occhi di questi giovani, di questi difficili. Difficili non per dipendenze da sostanze o da Internet, non per avere dei genitori disgraziati; difficili perché non hanno bisogno di noi e, magari con cortesia, non vorrebbero parlarci.

Non siamo più all’altezza? Abbiamo risposte a domande che loro non hanno? Saremmo obbligati a trovare un altro centro, un altro baricentro. Noi non ci spieghiamo tanto bene. Ma li abbiamo mai ascoltati sul serio, questi giovani difficili e un po’antipatici, senza scuotere la testa, senza giudicarli, tenendo a bada l’antico istinto al proselitismo? Cosa dicono con la loro vita queste donne e questi uomini nel momento in cui sono giovani? E noi, noi chi siamo? Chi è la Chiesa che si pone, per la Chiesa universale, la questione dei giovani? Quali sono i soggetti in campo? Come comincia questa conversazione? Il modo non clericale suggerisce di chiedersi, detto con una metafora: cosa mi sta dicendo su di me quell’adolescente antipatico, sfaticato e spocchioso?

Cominciando da noi

Ci sono poi una batteria di questioni che fanno parte dell’insegnamento comune nella Chiesa, nelle Chiese; discorsi sui quali talvolta si rischia di separarsi senza mai essere stati così d’accordo, uniti, magari soltanto nella fede battesimale. Gender, omosessualità, donne. Sì, le donne comunque. Pensiamo davvero che sia un’esigenza dei giovani?

Pensare di parlare di questi argomenti perche si è “aperti” è “clericale”. Tutti abbiamo bisogno di parlarne, di trovare strade, di aprire percorsi, di non ragionare soltanto in termini di giusto/sbagliato, accettabile/non negoziabile. Abbiamo cominciato a fare così come Chiesa e vorremmo continuare. Frequentiamo il futuro?! Le donne sono abituate.

 

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