Studi teologici: si può fare di più
La conoscenza teologica diffusa e condivisa è un elemento fondamentale per crescere come Chiesa. In Italia, però, i futuri presbiteri non studiano insieme a laici e laiche, e questi ultimi a loro volta, se intendono conseguire i gradi superiori, si trovano spesso di fronte a difficoltà economiche e organizzative insormontabili.
L’accordo sul reciproco riconoscimento dei titoli di studio conseguiti nelle Istituzioni della formazione superiore che la Santa Sede e il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca (MIUR) hanno firmato nel febbraio scorso – su cui attendiamo maggiori dettagli con la pubblicazione dei decreti attuativi – giunge a sanare finalmente alcune situazioni, ma apre allo stesso tempo interrogativi e riflessioni.
Il “doppio binario” italiano
A differenza degli altri paesi europei, in Italia esiste un “doppio binario” per gli studi teologici: il percorso di Baccellierato in Teologia e il percorso di Scienze Religiose (entrambi comprendenti 300 cfu e 5 anni di studio complessivi), rivolto ai soli laici e religiosi, per formare insegnanti di religione cattolica nelle scuole oppure operatori pastorali nelle Chiese locali. L’Istituto di Scienze Religiose non rilasciava fino ad oggi un titolo riconosciuto dallo stato italiano, mentre il Baccalaureato in Teologia era riconosciuto – dopo una procedura – come Laurea triennale civile. Il nuovo accordo, lasciando invariata la precedente disposizione per il titolo di Baccellierato, provvederebbe a riconoscere come Laurea Magistrale (quinquennale) il titolo di Laurea Magistrale in Scienze Religiose.
Tale situazione, in attesa di una conferma più precisa che verrà dal testo dell’accordo, contiene già alcuni punti su cui è necessario riflettere per coglierne tutta la portata.
Titoli simili, valore diverso
Chi tra i laici ha iniziato con passione e sacrificio gli studi teologici è stato sostenuto da una serie di motivazioni: la sete di conoscere e approfondire la propria fede o la propria ricerca di fede, la speranza di una formazione per servire la propria Chiesa, la possibilità di insegnare religione nelle scuole, nella catechesi, negli ambiti della formazione, con una competenza qualificata e certificabile.
La prima questione riguarda immediatamente il valore dei titoli: a parità di crediti, di materie fondamentali, di impegno e di anni di studio, due titoli sostanzialmente simili non hanno lo stesso riconoscimento. Diversa è la situazione europea, che riconosce il solo titolo teologico e prevede un’unica facoltà di Teologia che, al pari di quelle universitarie statali, offre un percorso di studi qualificato e aperto a tutti.
In Italia il doppio percorso appare oggi ancora più incomprensibile, se si pensa anche al dispendio di risorse umane ed economiche: gli stessi professori, non raramente, insegnano le medesime materie – con il medesimo numero di ore, i medesimi programmi e libri di testo – nell’Istituto teologico e nell’Istituto, da esso dipendente, di Scienze religiose. I laici e i religiosi si trovano così a studiare in modo parallelo e separato dai futuri presbiteri, senza quella possibilità di scambio reciproco e di formazione comune che contribuisce non poco a migliorare la preparazione e a mitigare il distacco tra gerarchia e popolo di Dio, donando ad entrambi la ricchezza di sentirsi assieme Chiesa di Cristo in cammino.
Per laici e laiche un percorso con molti ostacoli
Il titolo di Teologia, rispetto a quello di Scienze religiose, permette di accedere ai gradi superiori di licenza e dottorato, è vero, ma per i laici e soprattutto per le donne la scelta della Teologia risulta una strada lunga e penalizzante: l'unica prospettiva concreta che consente l'indipendenza economica è quella dell’insegnamento della religione nelle scuole, che darebbe a molte persone non abbienti la possibilità di continuare gli studi, eventualmente, anche se con tempi rallentati e con grandi sacrifici personali. Anche conseguendo i gradi superiori, in ogni caso, ai laici e alle donne rimane più difficoltoso inserirsi nell’insegnamento teologico, più facilmente limitato alle discipline filosofiche o alle scienze umane. Nel Sud Italia, poi, gli Istituti teologici aperti a tutti sono pochi e distanti (e la Calabria, regione in cui vivo e studio, è la realtà più povera del Sud: un solo Istituto dipendente dalla Facoltà Teologica di Napoli); per conseguire i gradi superiori – eccettuate alcune discipline – è necessario spostarsi altrove, con disagi e costi proibitivi, in assenza di borse di studio o aiuti che possano alleviare in tutto o in parte il sacrificio.
Poca teologia: un rischio per la Chiesa
Dal punto di vista ecclesiale, andando più in profondità nella riflessione, stiamo rischiando una cosa anche più grave: nella realtà meridionale, calabrese in particolare, ancora lontana dal Concilio Vaticano II, segnata da un forte individualismo e dal disagio culturale e sociale, da una fede vissuta spesso come devozione e pietà popolare, da una separazione gerarchica profonda tra clero e laici, le poche facoltà di Teologia possono svolgere un compito preziosissimo e quasi unico per la formazione e maturazione dei credenti nella fede e nel sensus ecclesiae, per la conoscenza e lo scambio più paritario tra futuri sacerdoti, religiosi e laici di diverse realtà ecclesiali, spesso distanti tra loro.
Ipotesi per un cambiamento
Sarebbe di grande aiuto, secondo quanto raccomanda la Costituzione apostolica “Veritatis Gaudium”, una migliore organizzazione degli studi teologici con le possibilità che anche le comunicazioni offrono in abbondanza.
Sarebbe positivo, ad esempio, arrivare a un quinquennio di base in Teologia per tutti (inserendo nel percorso materie di indirizzo differenziate), perché tutto il Popolo di Dio abbia gli strumenti necessari al rinnovamento della Chiesa in senso missionario. Si potrebbe attivare la possibilità di insegnamenti a distanza, una rete di collaborazione tra le Facoltà teologiche e gli istituti ecclesiastici per aiutare gli Istituti con meno possibilità e nei territori disagiati, in cui maggiormente l’ignoranza religiosa è un serio fattore di rischio, oltre che di impoverimento e di miseria umana. Aiuterebbero molto anche strumenti di sostegno agli studi teologici, come borse di studio, corsi di spessore aperti a tutti in periodi estivi e riconosciuti dalle Facoltà, momenti di incontro e formazione fruibili via internet, per supplire alla carenza di mezzi di alcune categorie di persone e di alcune zone.
La speranza è che la Santa Sede, al di là di ogni valutazione di pura efficienza e utilità, consideri questi aspetti e tutta l’ampiezza della questione, cogliendo i valori in gioco per il futuro della Chiesa ascoltando la voce di tanti fedeli che desiderano spendersi con competenza e passione per costruire insieme il Regno di Dio.
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* Istituto Teologico Calabro, Catanzaro.