d
Il Regno delle Donne

Sul patriarcato: ancora!?

L’ultimo intervento del ministro dell’istruzione Valditara alla presentazione, alla Camera dei deputati, della Fondazione intitolata a Giulia Cecchettin ha portato nuovamente in prima pagina la questione del rapporto tra patriarcato e violenza di genere, aggiungendovi il fantasma dell’immigrazione. Leggiamo piuttosto con attenzione la storia e la cronaca e – dramma moltiplicato – consideriamo che lo stupro è la manifestazione più grave della violenza di genere, specie all’interno dei nuclei di convivenza, non l’unica. 

 

L’ultimo intervento del ministro dell'istruzione Valditara alla presentazione, alla Camera dei deputati, della Fondazione intitolata a Giulia Cecchettin ha portato nuovamente in prima pagina la questione del rapporto tra patriarcato e violenza di genere. «La visione ideologica – ha detto il ministro - vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato […]. Ma certamente il patriarcato come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha sostituito alla famiglia fondata sulla gerarchia la famiglia fondata sulla eguaglianza».

Secondo il ministro il patriarcato sarebbe finito e la violenza maschile sarebbe «il frutto di una grave immaturità narcisista del maschio che non sa sopportare i no». E ha poi aggiunto: «Occorre anche non far finta di non vedere che l'incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale». 

Un fatto storico, non ideologico

Di fronte a queste affermazioni si impongono alcune considerazioni. Innanzitutto, la connessione tra il patriarcato e la violenza di genere non deriva da una visione ideologica, ma è un fatto storico. È la storia che mostra come a monte della violenza sulle donne ci sia il patriarcato. Siamo, infatti, eredi di una lunga e radicata cultura della relazione coniugale in cui il diritto del maschio sulla femmina – incluso quello sessuale - era ritenuto sacrosanto e fondato sulla superiorità di lui e nella quale al marito spettava, sempre  in ragione della sua superiorità, l’esercizio della violenza correzionale nei confronti della moglie: «Prendi il bastone e battila molto bene», si intitola un paragrafo di un libro la cui lettura mi pare altamente consigliabile a tutti (Marco Cavina, Nozze di sangue. Storia della violenza coniugale, Laterza 2014 [edizione digitale]). Le donne di oggi sono, dunque, le discendenti di un popolo quasi muto e disarmato di “malmaritate”.  E i maschi “narcisisti” di oggi cos’altro sarebbero se non eredi di uomini dispotici che non vogliono mollare il predominio? Non sa il ministro che non basta un nuovo diritto di famiglia, non bastano secoli per spazzare via questo lascito, tutt’altro che residuale, come invece lui sostiene? Non ritiene che conoscere un po’ di storia ci aiuterebbe a capire che l’ideologia non c’entra proprio nulla? Anzi, non è invece ideologico l’atteggiamento di chi evoca continuamente lo stigma della sinistra sui fatti e sulle idee e considera, solo quella, una posizione ideologicamente viziata? Evocare il fantasma del “passatismo” è quanto meno incauto perché il passato persiste, ancora e vivo e vegeto, fra noi.

Colpevolizzare gli immigrati

Quanto all’incremento delle violenze di genere attribuito agli immigrati, si vadano a guardare le cifre e le si leggano in maniera non strumentale: secondo la Direzione centrale della Polizia criminale le violenze sessuali commesse dagli stranieri nel 2023 sono state il 28% del totale, il dato è stabile da alcuni anni e non è possibile estrapolare il dato relativo ai clandestini. Piuttosto chiediamoci come mai – sono dati ISTAT del 2014 – solo il 4,4% delle cittadine italiane stuprate da connazionali abbia denunciato la violenza mentre la percentuale salga al 24,7% nel caso in cui l’aggressore era straniero?

Si tenga comunque presente che è riduzionistico individuare nello stupro la forma principale della violenza di genere. Sempre la storia ce lo mostra, lo stupro non è che una delle forme della violenza di genere.  E tutte le forme di violenza di genere sono espressioni del dominio maschile, dunque del potere degli uomini sulle donne: in altri termini, del patriarcato.

Ma evidentemente il patriarcato, secondo Valditara, non c’entra nulla con la morte di Giulia Cecchettin e delle innumerevoli altre che l’hanno preceduta, seguita. E che, purtroppo, la seguiranno, a maggior ragione se continuiamo a mettere la testa sotto la sabbia e a stornare il problema, proiettando sull’altro - lo straniero “diverso” da noi - “il nemico”, senza affrontare a tutti i livelli, anche educativi e religiosi oltre che politici il nucleo profondo del problema. 

 

 

Commenti

  • 28/11/2024 elisa.majori@gmail.com

    Sicuramente come altri hanno già detto siamo il frutto di una storia che nei secoli ha visto la famiglia con a capo il maschio prima padre (padrone) e poi marito (padrone/schiavista). Anche la chiesa si è uniformata a questa immagine (spesso facendo ricorso malamente a quanto dice Paolo in 1Cor 11:2-16). Ci portiamo dietro secoli di ingiustizie contro le donne da parte della società. Liberarsi da questo DNA malato non è facile perché comunque è prima di tutto l’esito dell’incapacità di stare in relazione (si può pensare che il modello patriarcale abbia dominato per velare gli occhi dell’umanità alla relazione con tutto ciò che le compete). Ripartire da cosa significhi stare in relazione, saper interagire, riconoscere se stessi e gli altri in un dialogo che faccia comprendere che si esiste quando si è riconosciuti e accettati. Si è così presi dal problema e poco si nota quanto esso sia solo la punta di un iceberg alla cui base c’è il non saper stare in relazione. Io andrei al fondo ripartirei dalle basi perché prendere in mano “solo” il problema alla ribalta non garantisce di tenere d’occhio tutte le reali implicazioni.

  • 26/11/2024 Vera Mocella

    Non si può comprendere, né decifrare il presente, senza la conoscenza della storia. Brava la professoressa Carfora, che fa una analisi rigorosa di quello che sta accadendo intorno a noi, tra la cecità (voluta?) dei molti.

  • 26/11/2024 Raffaele Savigni

    L'uso del termine "patriarcato" (generico e non scientifico) è uno strumento di lotta ideologica e non aiuta a capire la storia e l'evoluzione delle società. Io faccio lo storico e posso dire che dall'XI secolo all'Ottocento abbiamo avuto la famiglia "agnatizia", caratterizzata dalla trasmissione del potere e dei beni in linea maschile. Oggi non esiste più. Lo storico del diritto Marco Cavina ha scritto "Il padre spodestato" e gli psicologi parlano di "crisi del padre". Correlare i femminicidi a un presunto "patriarcato" è del tutto fuorviante. Si vede che l'autrice dell'articolo non è una storica. Oggi si può parlare di "maschilismo", non di patriarcato. Naturalmente concordo sulla critica al ministro per quanto concerne il riferimento fuorviante all'immigrazione.

  • 26/11/2024 Federica Spinozzi

    Ritengo che un ruolo fondamentale lungo questo lento e accidentato cammino di superamento del patriarcato, possa averlo la scuola, luogo di formazione e di incontro delle diversità. Per far ciò è necessario formare i docenti, creare percorsi didattici obbligatori di educazione all'affettivita e al reciproco rispetto. Sarebbe anche opportuno rendere la scuola, nelle varie componenti, luogo di diversità di genere, liberandola dalla eccessiva presenza femminile, per trasformarla in contesto di confronto e di scambio.

  • 25/11/2024 Sergio Tanzarella

    Sempre puntuale e acuta la professoressa Anna Carfora. Nel baccano mediatico e nel trionfo di stereotipi del ministro dell'istruzione, che un tempo fu Pubblica, ecco una parola di chiarezza e di invito a tornare a studiare la storia. Disciplina ostica per il ministro e per la corte degli alti funzionari del suo ministero.

Lascia un commento

{{resultMessage}}