Tempo del lievito, tempo del pane
Quando la parola delle donne predispone il pane per la Chiesa: si potrebbe immaginare così l’apporto delle donne al Cammino sinodale delle Chiesa italiana.
«Lievito di pace e di speranza». Il Documento di sintesi che raccoglie i quattro anni di dialogo e discernimento del Cammino sinodale della Chiesa italiana riprende nel suo titolo una parabola evangelica che ha al centro l’agire di una donna. Un’immagine che richiama il gesto di porre un principio vitale (il lievito) in un contesto adeguato (una giusta dose di farina), per attivare una dinamica trasformativa e generativa, che darà frutto e cibo necessario.
È un agire che predilige il nascondere un poco in una massa apparentemente inerte, un agire quindi fiducioso nella forza del lievito, che si unisce poi all’attendere con fiducia il tempo necessario per la lievitazione, la maturazione del processo innescato in un modo così semplice, valutando i segni che dicono «è il tempo giusto per la cottura», affinché si apra nel momento opportuno un’ulteriore fase necessaria per la preparazione del pane.
È un’arte che le donne conoscono e praticano da millenni.
Il titolo del Documento vuole rimandare alla scelta di uno stile di presenza e d’azione ecclesiale e offrire una chiave sintetica d’interpretazione delle tre parti del testo, ma il fatto che la parabola richiamata abbia una protagonista femminile ci può aiutare a riconoscere l’apporto delle donne al Cammino sinodale italiano e a valutare il modo in cui è stata affrontato l’interrogativo sulla soggettualità femminile nel corso dei lavori sinodali. La presa di parola delle donne in sinodo è stata, in fondo, come un lievito che ha fatto fermentare la massa: da una ovvia e sottintesa (e perciò non immediatamente riconoscibile) presenza delle donne ai lavori dei tavoli sinodali (sono state la maggioranza dei 450.000 partecipanti) a una prima (e ancora parziale) parola su una «Chiesa di uomini e donne» che riconosca la leadership femminile, nel Documento di sintesi.
All’inizio della Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, nella quale i vescovi enucleeranno le priorità e gli orientamenti per il futuro delle Chiese in Italia dopo il Sinodo, può essere utile e opportuno ripercorrere le diverse tappe di questo progressiva maturazione.
Saranno solo voci maschili a pronunciare le parole di questo discernimento, ma esso avverrà a partire dai passi fatti e dalle parole elaborate (e votate) da un popolo di fratelli e sorelle, uomini e donne credenti, compartecipi e corresponsabili di un’unica missione. Non possiamo non interrogarci se e come il tema della soggettualità delle donne nella Chiesa italiana di oggi verrà valutato, pensato, espresso in questo contesto.
Prendere parola in questa Chiesa: un lievito con potenzialità di vita e di trasformazione
Il Documento preparatorio del Sinodo sulla sinodalità (2021-2024), intorno a cui si è impostato anche il primo anno del Cammino sinodale della Chiesa italiana, non prevedeva alcuna domanda dedicata specificamente al tema delle donne nella Chiesa, ma, com’è avvenuto in tutte le Chiese locali del mondo, anche in Italia la presenza maggioritaria delle donne nei gruppi sinodali ha messo immediatamente in primo piano la questione.
La «fase narrativa», sviluppata con il metodo della «conversazione nello Spirito» e poi nei «Cantieri di Betania», è stata un tempo di presa di parola autorevole da parte delle donne.
I Lineamenti, all’inizio della seconda fase «sapienziale», attestano questo passaggio: sia nel linguaggio, con il richiamo esplicito a «uomini e donne» in tutto il documento, che nella trattazione dedica tre paragrafi a «la presenza, il servizio e i ruoli di responsabilità delle donne». Il testo dei Lineamenti è una rilettura lucida della realtà: la presenza delle donne, con i loro doni e competenze; le resistenze e le discriminazioni ancora presenti; la questione da affrontare cioè i ruoli d’autorità e la leadership delle donne; la corresponsabilità quale prospettiva da assumere; la finalità ricercata, «l’adeguato sviluppo di una Chiesa giusta e autenticamente evangelica» (n. 53).
Il n. 64 dei Lineamenti traccia con chiarezza gli orientamenti operativi da perseguire: «Incrementare la presenza delle donne a ruoli di responsabilità pastorale nelle Diocesi e nelle parrocchie: favorendone l’accesso ai ministeri istituiti e la loro nomina a guida di uffici diocesani, garantendone la presenza nelle équipe di guida sinodale delle comunità parrocchiali e degli Organismi di partecipazione, e il servizio come referenti o animatrici di piccole comunità».
Lo Strumento di lavoro, elaborato dal Comitato sinodale e poi rimodulato nel corso della I assemblea e della successiva fase «profetica», vedeva una delle 17 schede (la n. 15 nella III parte) dedicata proprio alla «Responsabilità ecclesiale e pastorale delle donne». Dal tema (più generico) e dal dato d’ovvia evidenza della «presenza» e «partecipazione» delle donne alla vita della Chiesa dei Lineamenti, nel dialogo e nel confronto, anche con il contributo di donne teologhe e di esperte di altre discipline scientifiche presenti nel Comitato sinodale e nella Presidenza, si è messo a fuoco lo snodo-chiave: quello della responsabilità delle donne nei contesti di guida e orientamento delle comunità e nei processi di formazione, discernimento, decisione, laddove il volto di Chiesa viene definito e plasmato.
La parola «leadership» non è più presente in questo secondo documento, ma sono più chiare le indicazioni di tipo operativo e i passaggi da compiere per decostruire una cultura ecclesiale ancora androcentrica e patriarcale e ripensare i modelli di relazione, di autorità, di servizio pastorale. Anche la richiesta di studiare il tema dell’ordinazione diaconale delle donne si trova ora chiaramente riaccolta.
Una lenta (ma inesorabile) lievitazione della pasta
Dopo la II assemblea, nella quale la voce di tante donne si è alzata – con competenza, determinazione, parresia – per chiedere l’elaborazione di un documento più adeguato, trasparente, rispettoso del ricco cammino sinodale, il Documento di sintesi presenta uno specifico passaggio (il n. 71) con un titolo e una prospettiva rinnovati «Una Chiesa di donne e uomini insieme».
Per vivere un’effettiva ed efficace «corresponsabilità nella missione e nella guida della comunità» (il tema della III parte del documento) è essenziale affrontare con decisione alcuni passi possibili e necessari che investono la questione del riconoscimento della presenza delle donne, la parità di genere, la loro assunzione in ruoli di autorità. Perché «riconoscere alle donne compiti di effettiva ed autonoma responsabilità ecclesiale aiuterà a superare anche a livello culturale e sociale l’idea dell’autorità nella Chiesa univocamente “maschile”, se non addirittura “maschilista”».
A quanto indicato nel n. 71 si aggiungono molte altre richieste per una presenza delle donne negli organismi di partecipazione, nelle équipe ministeriali d’animazione parrocchiale e diocesana, nei ministeri istituiti ecc.
Ma resistenze non dichiarate, indiscusse visioni stereotipate, paure di un cambiamento che viene avvertito come profondo e troppo dislocante, sono ancora ben presenti: la proposta di un progetto di ricerca sul diaconato delle donne, da affidare a esperti di facoltà ed associazioni teologiche (cf. n. 71c), è stata la proposta che ha visto il maggior numero di voti contrari (188, 23% di voti; a favore in ogni caso il 77% dei votanti); così pure la proposta di un «tavolo di studio permanente sulla presenza e l’apporto delle donne nella Chiesa, al fine di formulare proposte operative per incentivarne la corresponsabilità ecclesiale» ha visto il 19% di voti contrari.
Ma la proposta che le Chiese locali promuovano un’effettiva parità di genere nelle possibilità d’accesso a ruoli di guida e di responsabilità pastorale e il coinvolgimento di donne nei percorsi di formazione del clero e dei laici ha visto il 91% dei voti favorevoli.
E non basta prendere in considerazione le solo proposte votate, come ha fatto la stampa anche cattolica: il fondamento è offerto all’inizio del n. 71 nell’orizzonte del Documento finale del Sinodo sulla sinodalità, n. 60, e prospetta chiari criteri e principi di interpretazione delle relazioni tra uomini e donne e precise indicazioni sulla autorità di parola e di ruolo delle donne nella Chiesa.
Il Documento di sintesi è pensato per una conversione missionaria e sinodale «comunitaria, personale, strutturale» (n. 13): questo non può avvenire senza che vengano garantiti adeguati spazi di soggettualità di parola e d’autorità delle donne nella Chiesa. Sarà necessario anche in questo, come continua lo stesso n. 13, «un rinnovamento condiviso delle categorie di pensiero, da cui nascono precisi stili di vita, scelte comuni, concrete pratiche coraggiose e strutture rinnovate. Una conversione che non può lasciare le cose come stanno, né può accontentarsi di una semplice amministrazione, che ha piuttosto il coraggio di trasformare consuetudini e strutture alla luce della missione evangelizzatrice». Anche di questo le priorità e gli orientamenti individuati dai vescovi italiani dovranno trattare.
Papa Leone nella omelia di conclusione del Giubileo delle équipe sinodali, durante il quale si è celebrata la III assemblea del Cammino sinodale italiano, ha richiamato tutti «a costruire una Chiesa tutta sinodale, tutta ministeriale, tutta attratta da Cristo e perciò protesa al servizio del mondo» (omelia, 26.10.2025).
Tutto questo comporta di camminare con coraggio sulla via della corresponsabilità, ministri ordinati e laici, uomini e donne, insieme; pensare una Chiesa sinodale richiede di pensare i temi delicati del potere e dell’esercizio dell’autorità, legata al ministero ordinato o ad altre forme ministeriali ecclesiali. Nessuna riforma sinodale e missionaria della Chiesa potrà darsi senza il riconoscimento della leadership delle donne.
Il lievito è già posto nella farina; la pasta, seppur lentamente, è già lievitata; aspettiamo con fiducia, ma anche con un po’ d’impazienza, che si riconosca che è giunto il tempo di cuocere e d’assaporare il pane che è stato – insieme – preparato.