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Il Regno delle Donne

Una giustizia sostenibile

Come fare teologia nella crisi, nella guerra, nella sistematica eliminazione di persone, di interi popoli? Echeggia qui – anche nel Convegno delle teologhe europee - la famosa domanda “come fare filosofia dopo Auschiwitz? Purtroppo rinnovata e moltiplicata. Mentre ogni nostro pensiero va alla ricerca della pace, non rinunciamo alla fatica collettiva del pensiero, che ne fa parte.

Dal 20 al 24 agosto si è tenuto a Marburgo il convegno biennale dell’European Society of Women in Theological Research (ESWTR)  network di donne che si occupano di ricerca teologica a livello internazionale. Questo seminario, dal titolo «How to achieve sustainable justice?», ha rappresentato il tentativo di creare una comunità accademica europea (e non solo) in grado di tenere insieme tante soggettività diverse accomunate dalla stessa passione per il bene comune.

Il tema della giustizia sostenibile è stato al centro dei cinque giorni di lavori presso la Philipps-Universität Marburg, piccola città tedesca che ha radunato teologhe, filosofe e bibliste provenienti da tutta Europa e, in piccola parte, dagli Stati Uniti. Abbiamo cercato di capire cosa sia la giustizia sostenibile e perché sia necessario occuparsene in ambito teologico. Per rispondere a questa domanda, si è lasciato particolare spazio al confronto tra le visioni delle diverse religioni.

Un percorso dinamico e interconnesso

Da questa discussione è emerso come la giustizia non sia un ideale statico ma un continuo sforzo morale e di discernimento, che ci obbliga alla fatica dell’indagine e dell’interpretazione della storia. L’osservazione della letteratura rabbinica ha fatto notare, a questo riguardo, come la giustizia possa essere compresa in modo ambivalente, sia in senso di verità assoluta sia nei termini di compassione e giustizia pratica.

Si è più volte sottolineato, inoltre, come un discorso sulla giustizia sostenibile non possa prescindere dall’occuparsi del mondo non-umano, perché il reale è intrinsecamente relazionale. A tal proposito, si è fatto riferimento a uno dei temi centrali del Corano: la creazione della terra da parte di Dio l’Onnipotente. Essa è concepita come luogo in cui l’essere umano è posto affinché vi abiti e vi sia responsabile secondo la volontà divina, al punto che chi causa corruzione sulla terra (fasād) è visto come chi rompe l’alleanza con Dio.

Altro aspetto da non sottovalutare: la giustizia è incarnata. Secondo la prospettiva buddista, essa non si identifica primariamente in un principio di equa distribuzione bensì consiste in un processo di trasformazione interiore che si traduce in pratiche di attiva riduzione della sofferenza, nell’assunzione di responsabilità per le proprie azioni e nella capacità di entrare in risonanza con gli altri esseri senzienti.

Peccato, conversione e salvezza

Infine, si è sottolineato come occorra un nuovo linguaggio teologico in grado di essere all’altezza delle sfide del presente. In ambito cristiano, è emersa l’urgenza di ripensare alcune categorie come quelle di peccato, conversione e salvezza, collocandole nel contesto odierno segnato dalla crisi climatica. Per offrire esempi di vie percorribili, il «peccato climatico» (climate sin) è inteso da Cynthia Moe-Lobeda come ingiustizia sistemica nei confronti dei poveri a causa dell’impatto ambientale prodotto dalla classe ricca e papa Francesco ha interpretato la «conversione ecologica» come presa di coscienza della terra in quanto dono di Dio e dell’interdipendenza di ogni creatura. In questo contesto, la buona notizia del vangelo consiste nel «rinnovamento delle relazioni tra noi e Dio, tra noi e il nostro vicino, e tra noi e il resto della creazione» (Arnfríður Guðmundsdóttir).

La “vicinanza” come punto di vista

Ritengo che il tema del vicino/vicinato ci debba interrogare, soprattutto in questi giorni con maggiore urgenza (gli abstracts si trovano nel sito; le relazioni verranno presto pubblicate). Nella sua presentazione, Marianne Bjelland Kartzow, docente all’università di Oslo, alla domanda sul come attuare la giustizia sostenibile, ha risposto così: la giustizia è un compito nei confronti del vicino. Ma chi è il vicino, chi è la vicina? Sicuramente è una figura concreta, reale, che agisce in un contesto preciso, non stereotipata o idealizzabile e che non garantisce una relazione irenica. Kartzow ha fatto notare come la Bibbia stessa ci presenti una varietà dei personaggi che agiscono come vicini, non riducibile alla figura buon Samaritano. Vicine sono infatti le donne, presumibilmente, che abitano accanto a Elisabetta e, sentendo della nascita di suo figlio, si rallegrano con lei (Lc 1,56-58); vicini sono anche i pastori, gli angeli e, in Matteo, i saggi provenienti dall’Oriente che raggiungono Maria dopo il parto, quando è lontana da casa e dalla sua cerchia; o ancora vicine sono le donne chiamate a condividere la gioia per il ritrovamento della moneta perduta (Lc 15,8-10). Riflettere su questo tema significa scrutare ciò che si muove nel mondo, rischiare le interpretazioni ma rifiutare le astrazioni, come le neutralità complici, senza giocare un gioco delle parti precostituito. Per questo, siamo abitate dalla domanda, antica e nuova ogni volta: chi è il mio vicino, la mia vicina? Senza magari nasconderla nel linguaggio del “mio prossimo”. consumato dall’abitudine religiosa, Per citare ancora Kartzow, il mio vicino «a volte buono, a volte cattivo, a volte un mostro e a volte un angelo. È questo il tuo vicino».

Appuntamento a Avila nel 2027

I Congressi si svolgono ogni due anni: il prossimo si svolgerà a Avila, sempre in agosto. Il tema già programmato è Donne e Profezia. La mistica che trasforma la storia. Confidando che una rinnovata vicinanza possa attraversare e trasformare le vite e le teologie, facendole passare dall’asfissia al respiro del mondo,

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