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Il Regno delle Donne

Ventitré uditrici per una Chiesa “maestra in umanità”

Quando l’8 dicembre 1965 si chiuse il concilio Vaticano II, qualcosa era cambiato per le donne nella Chiesa, e qualcosa iniziava a cambiare, nella Chiesa, grazie alle donne. Una riflessione di Marinella Perroni ci traghetta dalle ventitré uditrici di allora alle questioni di oggi.

Dal punto di vista della storia delle donne si può dire che il concilio Vaticano II ha avuto un “prima” e un “dopo”. Lo spartiacque lo hanno segnato, durante la congregazione generale LIII, le parole con le quali l’arcivescovo di Bruxelles, il card. Leo-Joseph Suenens, esprimeva il votum di invitare al Concilio, oltre a uditori maschi, anche l’altra parte dell’umanità.

Quando l’arcivescovo Pietro Fiordelli, prendendo la parola in assemblea disse: «Venerabiles patres, dilecti fratres et sorores», risultò chiaro che qualcosa ormai era cambiato. Era la III sessione del Concilio e, sia pure marginalmente, la breccia era stata aperta: nella tribuna Sant’Andrea, oltre ad altri uditori maschi, era presente anche un manipolo di ventitré sorores, dieci religiose e tredici laiche, rigorosamente tenute alla stretta osservanza dell’interdizione paolina alle donne di Corinto affinché tacessero durante le assemblee liturgiche.

Mute, almeno in assemblea, ma per la prima volta realmente presenti nel momento più alto dell’esercizio della comunione e, quindi, dell’autorità ecclesiale. 

Donne nella Chiesa, fermenti di una rivoluzione profonda

La sproporzione numerica, dato che all’inizio della III sessione erano ancora soltanto 15 a fronte di più di 2500 vescovi, rende bene l’idea di una Chiesa che, alle migliori intenzioni di definirsi secondo quella che è stata felicemente chiamata un’“ecclesiologia di comunione”, opponeva il dato di fatto di una plurisecolare esclusione delle donne da ogni forma di esercizio di autorità.

Era del resto molto diffusa tra i padri conciliari l’incapacità di intercettare almeno alcuni dei segnali che, da tempo ormai, attestavano che dal movimento delle donne aveva preso le mosse una rivoluzione profonda che avrebbe contribuito, lentamente ma inesorabilmente, a mettere in crisi i molti modi in cui l’ideologia patriarcale aveva stabilito assetti sociali fortemente asimmetrici e, sempre, a spese delle donne.

Alcuni dei vescovi presenti al Concilio avevano fatto direttamente esperienza della dedizione, ma anche delle competenze con cui tante credenti si mettevano a servizio delle loro Chiese. E per questo avevano appoggiato con forza la richiesta di Suenens. La maggioranza oscillava invece tra una malcelata indifferenza e un’aperta ostilità. Tutti, d’altra parte, erano figli di una teologia di genere tanto incline all’esaltazione del femminile quanto saldamente ferma nell’esclusione delle donne.

Non poteva certo essere quello sparuto gruppetto costretto al silenzio a ribaltare una situazione che gettava le sue radici in un passato molto lontano e che continuava a produrre i suoi frutti di emarginazione ancora a quasi due millenni di distanza. Come Paolo VI aveva osservato, la loro presenza aveva un carattere unicamente simbolico. Più ancora delle parole, però, i simboli depositano nella storia la forza della loro virtualità. Non nascono infatti mai dal nulla e, più di quanto si creda, alimentano germi di novità.

Quel “simbolo”, del resto, era radicato nelle diverse Chiese nazionali e continentali in cui quasi tutte quelle ventitré donne rivestivano ruoli importanti, alcune nelle loro congregazioni religiose, altre in diverse associazioni laicali. Come d’uso, non c’era di loro alcuna traccia nelle narrazioni ufficiali e, forse, neppure nella consapevolezza di molti vescovi dell’epoca, che continuavano a pensare che la Chiesa fosse nella realtà quello che era stato stabilito dovesse essere per principio, cioè animata e guidata unicamente da uomini. La realtà non era questa già allora né, tanto meno, lo è oggi. Quel “simbolo” diceva chiaramente che il mondo era cambiato e imponeva anche alla Chiesa di cambiare.

La Chiesa protagonista del proprio cammino di riforme

Le parole con cui Margarita Moyano, la più giovane delle uditrici al Concilio, suggellava quell’esperienza straordinaria prendono oggi, a più di cinquant’anni di distanza, il sapore di una profezia: «A Roma le donne vanno sempre alla fine. È importante, però, che alla fine vadano». Anche per restare solo al nostro paese, infatti, dal 1965 a oggi la presenza delle donne nelle Facoltà Teologiche italiane e perfino nelle Pontificie Facoltà romane è stata un fenomeno crescente e, soprattutto, significativo. Nonostante resistenze e ritardi, una corrente sotterranea contribuisce a precisare i lineamenti della Chiesa uscita dal Vaticano II.

In un tempo come il nostro, in cui si fa un gran parlare di riforme, qualcuno sostiene che la Chiesa cattolica non può riformarsi altro che grazie a eventi del tutto straordinari come quello che ha visto come protagonista Lutero e, in questa ottica, anche il Vaticano II non sarebbe che un episodio del tutto insignificante. A cinquecento anni dall’inizio della guerra dei trent’anni, forse sarebbe il caso riflettere un po’ a fondo sull’importanza che le riforme ecclesiali non cadano preda di prìncipi e imperatori e la Chiesa semper reformanda sia l’unica protagonista del proprio cammino di riforme. Mai, però, al di fuori del mondo e della sua storia. 

La Chiesa ha saputo riformare se stessa tutte le volte che è stata in grado di intercettare le grandi mutazioni storiche e di interpretarle alla luce della fede nella rivelazione di Dio. Il femminismo ha fatto da vettore a una di queste grandi mutazioni perché è una vera e propria rivoluzione, strutturale, profonda, che cambia il panorama dell’umano. Una rivoluzione che avanza ormai da più di un secolo senza portare con sé né guerre né fame né lutti.

Fa sorridere che le femministe siano state accusate di violenza solo perché, per cambiare uno status quo oppressivo, hanno levato le loro voci e non hanno mai sparato né con fucili né con cannoni! Saprà la Chiesa, che Paolo VI definì “maestra in umanità”, accettare la rivoluzione femminista che la invita a prendere piena consapevolezza della verità dell’umano?

 

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Commenti

  • 13/12/2017 cavallaripaola1@gmail.com

    Che piacere sentire usare la parola femminismo all’interno dell’orizzonte ecclesiologico, dando ad essa lo spessore che si merita! Altro passo che mi dà soddisfazione: una “teologia di genere (quella della stragrande maggioranza del clero) tanto incline all’esaltazione del femminile quanto saldamente ferma nell’esclusione delle donne” : è un passaggio mentale su cui ancora c’è da insistere, sperando che prima o poi…..

  • 10/12/2017 augdep@alice.it

    Grazie Marinella . Adesso cerco di ricopiare l'articolo e diffonderlo come posso.

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