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Attualità
Attualità, 14/2016, 15/07/2016, pag. 433

Curia romana - La riforma di papa Francesco

Marcello Semeraro

Il disegno complessivo lo si coglierà compiutamente solo alla fine. Nel riformare la Curia romana, papa Francesco segue il metodo di procedere per parti, quasi ad experimentum, e per assestamenti. Gradualmente. Senza incertezze. Un metodo opposto a quello più ovvio e tradizionale: un quadro giuridico ed ecclesiologico generale e poi le scelte concrete sui vari dicasteri. Tre anni di lavoro, 16 sessioni, la prossima a dicembre. Il Consiglio dei 9 cardinali creato dal papa per assisterlo nel governo della Chiesa universale non si è solo occupato di riforma della Curia, ma certamente questo è stato un capitolo prioritario. La riforma della Curia romana non equivale alla riforma della Chiesa, ma ne è storicamente un capitolo importante. Dopo le prime attuazioni e giunti a un punto avanzato del lavoro, proponiamo qui un primo, autorevole bilancio. Mons. Marcello Semeraro, segretario del Consiglio dei cardinali, traccia un quadro preciso e interno del cammino compiuto, della ratio che l’ha guidato, del disegno ecclesiologico che lo ispira.

Una delle parole che bene si adattano alla realtà della Curia romana è proprio quella di «riforma». Non lo dico tanto in riferimento all’adagio, ricorrente anche tra canonisti e storici, di una Curia semper reformanda. D’altra parte, se la stessa Chiesa «in quanto istituzione umana e terrena» (qua humanum terrenumque institutum) «ha sempre bisogno» di una «continua riforma» (perennem reformationem […] perpetuo indiget; Unitatis redintegratio, n. 6; EV 1/520), non si potrà dire lo stesso di questo organismo che il CIC al can. 360 intende quale strumento di servizio al papa, evidentemente, nell’esercizio del suo ministero petrino?

Che la Curia romana sia in stato di permanente «riforma», lo dice la sua stessa storia, almeno per quanto concerne gli ultimi cento anni. Quella, infatti, annunciata il 13 aprile 2013 col comunicato della Segreteria di stato, contestualmente alla costituzione di «un gruppo di cardinali per consigliarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della costituzione apostolica Pastor bonus sulla curia romana», giunge come quarta a cominciare da quella attuata da san Pio X con la costituzione Sapienti consilio del 1908.

Questa riforma si rendeva certo urgente nella prospettiva del nuovo ordinamento canonico, già in preparazione; più ancora, tuttavia, si mostrava necessaria già per la fine del potere temporale. La seguì quella realizzata dal beato Paolo VI con la Regiminis Ecclesiae universae (1967), seguita alla celebrazione del concilio Vaticano II.1 Lo stesso papa aveva previsto un riesame del testo alla luce di una prima sperimentazione. Nel 1988 giunse la costituzione Pastor bonus di san Giovanni Paolo II, che nell’impianto generale seguiva lo schema montiniano, ma inserisce una diversa classificazione dei diversi organismi e delle loro competenze in sintonia col CIC 1983.2

Semper reformanda

All’interno di questi passaggi fondamentali, tuttavia, si registrano altri importanti interventi. Benedetto XV, ad esempio, creò e inserì tra le congregazioni romane quella per i seminari (fino a quel momento sezione all’interno della Congregazione concistoriale) e le Università degli studi (1915) e l’altra per le Chiese orientali (1917: in precedenza era costituita come sezione nella Sacra congregatio de Propaganda fide).

Giovanni Paolo II fece dei cambiamenti nell’organizzazione curiale anche successivamente alla Pastor bonus e, dopo di lui, significativi interventi li fece pure Benedetto XVI: si pensi all’istituzione del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione (2010), al trasferimento delle competenze sui seminari dalla Congregazione per l’educazione cattolica a quella per il clero e della competenza sulla catechesi da quest’ultima al Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione (2013). A ciò si aggiungeranno gli altri interventi di semplificazione, messi a punto nel corso degli anni e alcuni attivi sino a oggi, con l’unificazione di più dicasteri sotto un’unica presidenza.

Come può vedersi da questi semplici dati, la struttura della Curia romana non appare affatto immobile e ingessata, ma molto somigliante a un edificio in periodica ristrutturazione. Le ragioni possono essere le più varie. Una recente pubblicazione richiama per il passato l’esistenza di sollecitazioni provenienti sia da pressioni politiche, sia da rilievi critici interni.3 Per quest’ultimo versante, ci si riferisce a un memorandum pubblicato con uno pseudonimo, ma con buone probabilità attribuito al card. Van Rossum,4 dove si trovano istanze spesso tornanti, sia prima sia dopo il Vaticano II: «Una leadership carismatica, un programma d’azione, rivalutazione dell’ufficio episcopale, più rappresentanza e più governo collegiale, il dialogo e la comunicazione bidirezionale in una organizzazione moderna ed efficiente e meno italiani».5

È, dunque, legittimo tornare anche adesso a domandarsi: in quale senso si parla di «riforma» della Curia romana? A me pare non sia superfluo domandarselo; sembra, anzi, importante, per comprendere il significato dell’attuale lavoro voluto e avviato da Francesco. E poiché ho già citato il decreto conciliare sull’ecumenismo non ritengo inutile sottolineare un principio generale che ricavo ancora da esso: «Ogni rinnovamento della Chiesa consiste essenzialmente nell’accresciuta fedeltà alla sua vocazione» (n. 6; EV 1/520).

Cammino di Chiesa

È un cammino che riguarda anzitutto la Chiesa, di cui il Vaticano II ha sottolineato l’indole peregrinante (tema ormai passato nella liturgia: «Ecclesiam tuam, peregrinantem in terra» recitiamo nella Preghiera eucaristica III) e tutto ciò che è nella Chiesa. La tradizione patristica ha spesso paragonato la Chiesa a una nave ed essa non è dissimile da una nave (la «navicella di Pietro» simbolo del primato romano e l’«arca» simbolo della Chiesa sacramentum salutis),6 che si muove sulle onde ma al cui interno tutto rimane stabile e fisso. Al contrario, poiché «fino a che non vi saranno i cieli nuovi e la terra nuova, abitati dalla giustizia, la Chiesa pellegrinante continua a portare iscritta nei sacramenti e nelle istituzioni del tempo presente la figura fugace di questo mondo; e vive tra le creature che gemono nei dolori del parto e aspettano la manifestazione dei figli di Dio» (Lumen gentium n. 48; EV 1/417).

Non solo nel comunicato del 13 aprile, ma anche nel chirografo del 30 settembre col quale istituiva il Consiglio di cardinali Francesco ha fatto ricorso non alla parola «riforma» ma a quella di «revisione». C’è chi potrebbe dare al termine un senso alquanto limitato. «Un cinquantennio di “revisioni”, cioè di mancate riforme», è stato scritto.7 In ogni caso, Francesco (e prima di lui già il beato Paolo VI)8 ha parlato anche di «riforma della Curia» e lo ha fatto nel saluto ai cardinali riuniti in Concistoro il 12 febbraio 2015. Ma quale potrebbe essere il significato di questo termine?

Nella lingua latina al verbo reformare il Forcellini riconosce due significati fondamentali: uno è quello di tornare a una forma primitiva,9 l’altro senso è quello di rendere migliore.10 Questi due fondamentali significati ha dimostrato di conoscerli bene Y. Congar in una sua notissima opera dedicata, appunto, alla «riforma» nella Chiesa.11 Al riguardo, facendo un riferimento a M.D. Chenu, egli proponeva tre tipi di riforme: anzitutto quella dettata dagli abusi, che è la riforma morale e questo si realizza nell’ordine della vita della Chiesa, ma non in quello della sua fondamentale struttura (e delle sue strutture).

Un secondo tipo di riforma è quella che vuole intervenire proprio sui principi strutturali della Chiesa, ossia dei dogmi, dei sacramenti e della sua struttura gerarchica. Ed è quel tipo cui giunsero i riformatori del XVI secolo e, in primo luogo, Lutero, i quali «hanno spinto la loro volontà di riforma fino alla “struttura” stessa della Chiesa».

Il terzo tipo di riforma riguarda le strutture storiche e sociologiche ed è quello che stava maggiormente a cuore di Congar. Scriveva infatti: «Ah! Se si potesse rinnovare il volto umano della Chiesa e fare in modo ch’essa appaia meglio come Chiesa di Cristo! In poche parole, si ritengono necessari dei mutamenti in certe forme della vita e anche nelle “strutture” della Chiesa».12 Le strutture sono dunque da «riformare» perché siano non già ostacolo, ma veicolo per la comunicazione del messaggio cristiano.

Non dissimile è l’intenzione dichiarata da Francesco. Inaugurando i lavori del Concistoro del 12 febbraio 2015 spiegò subito che «la riforma non è fine a sé stessa, ma un mezzo per dare una forte testimonianza cristiana; per favorire una più efficace evangelizzazione; per promuovere un più fecondo spirito ecumenico; per incoraggiare un dialogo più costruttivo con tutti». A me pare, dunque, che nel nostro caso il termine «riforma», vada inteso nel senso di un riordino, di un miglioramento e di modifiche, nonché di adattamenti alle res novae; certo, anche con una riscrittura dei criteri ecclesiologici (su cui dirò dopo), ma non come una «metamorfosi» della Curia.

La riforma nel pensiero di papa Francesco

In ogni caso, non si potrà intendere questa «riforma» come il ripristino di un’ideale situazione iniziale, che nel caso della Curia romana sarebbe davvero arduo individuare! Potrà essere un riferimento ciò che Paolo VI, riprendendo le sue stesse parole all’apertura della seconda sessione del concilio ecumenico Vaticano II il 29 settembre 1963, scrisse nel prologo della costituzione apostolica Regimini Ecclesiae universae: «La via, attraverso la quale deve procedere il desiderato rinnovamento della nostra Curia romana, riteniamo non debba essere diversa da quella che è riconosciuta come propria del rinnovamento medesimo delle istituzioni ecclesiastiche (…): “(non) un sovvertimento della vita presente della Chiesa, ovvero una rottura con la sua tradizione, in ciò che essa ha di essenziale e di venerabile, ma piuttosto un omaggio a tale tradizione, nell’atto stesso che la vuole spogliare d’ogni caduca e difettosa manifestazione per renderla genuina e feconda”» (EV 2/1537).

Viene spontaneo, a questo punto, andare al discorso di Francesco alla Curia romana del 22 dicembre 2014, quando la paragonò al corpo umano e come ogni realtà umana esposto anch’esso «alle malattie, al malfunzionamento, all’infermità» (Regno-doc. 1,2015,8). Si ricorderà che in quella circostanza il papa elencò alcune probabili malattie curiali, e pure che nel successivo 2015, dopo avere rilevato che quelle malattie possono colpire «ogni cristiano, ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia e movimento ecclesiale», aggiunse un «“catalogo delle virtù necessarie” per chi presta servizio in Curia e per tutti coloro che vogliono rendere feconda la loro consacrazione o il loro servizio alla Chiesa». Quanto, infine, alla riforma della Curia romana, Francesco disse che «andrà avanti con determinazione, lucidità e risolutezza, perché Ecclesia semper reformanda» (Regno-doc. 38,2015,1).13

Questa espressione è nota. Quando la si ascolta, spontaneamente si pensa a Lutero. Di una Ecclesia reformanda, però, si è parlato già prima di lui.14 Francesco ha fatto ricorso alla medesima espressione in contesti certo diversi. Così celebrando il 9 novembre 2013 in Santa Marta la messa per la dedicazione della basilica Lateranense, dice che dal Vangelo della purificazione del Tempio (cf Gv 2, 13-22) dobbiamo trarre «l’icona della riforma della Chiesa: Ecclesia semper reformanda, la Chiesa ha sempre bisogno di rinnovarsi perché i suoi membri sono peccatori e hanno bisogno di conversione».

L’identità della Curia

Il tema lo riprese, con riferimenti espliciti e impliciti alla riforma della Curia romana, nelle risposte alle domande dei giornalisti durante il viaggio di rientro dalla Terra Santa il 26 maggio 2014: «Ci saranno incongruenze, ancora ci saranno sempre, perché siamo umani, e la riforma deve essere continua. I Padri della Chiesa dicevano: Ecclesia semper reformanda. Dobbiamo stare attenti per riformare ogni giorno la Chiesa, perché siamo peccatori, siamo deboli e ci saranno i problemi. L’amministrazione che questa Segreteria dell’economia porta avanti, aiuterà tanto a evitare gli scandali, i problemi…».

Non che Francesco si sentisse un «riformatore»! Rispondendo in un’intervista rilasciata a F. de Bortoli per Il Corriere della sera del 5 marzo 2014, dice: «Io nel marzo scorso non avevo alcun progetto di cambiamento della Chiesa. Non mi aspettavo questo trasferimento di diocesi, diciamo così». E tuttavia il tema della “riforma”t compare in quel programma di ministero petrino che è l’esortazione Evangelii gaudium.

Ne tratta soprattutto ai nn. 26-27 in prospettiva di scelta missionaria, ispirandosi ai temi esposti dal beato Paolo VI nell’enciclica Ecclesiam suam e al magistero conciliare e commentando: «Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza “fedeltà della Chiesa alla propria vocazione”, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo» (EV 29/2133). Poco più avanti congiunge la riforma delle strutture alla conversione pastorale.

Alla luce di questi pochi, ma interessanti richiami si potrà convenire sul fatto che Francesco pensa non anzitutto a una riforma delle strutture ecclesiastiche, ma piuttosto e in primo luogo a una riforma che tocchi la vita dei cristiani e sappia mutarla (in questo senso anche la parola conversione).

«Papa Francesco coglie il prefisso ri-formare non solo come processo sempre da riprendersi, non solo come recupero di ciò che si è perso ma, in senso “responsoriale”, come risposta, come responsabilità nei confronti della vocazione del Signore. Se la riforma ecclesiale ha come criterio la carità evangelica ed è tale da impegnare tutti i membri, allora può anche essere riforma delle istituzioni. Di conseguenza, secondo Bergoglio, la riforma riguarda anche il papato come forma di esercizio del ministero petrino: ministero voluto da Cristo stesso, essenziale alla vita della Chiesa cattolica, certo. Ma la forma e lo stile del suo esercizio non solo possono ma devono essere riformate, affinché la Chiesa sia sempre più conforme alla volontà del suo Signore».15

Ho già richiamato il discorso di Francesco al Concistoro del 12 febbraio 2015. Qui egli disse pure: «La riforma, auspicata vivamente dalla maggioranza dei cardinali nell’ambito delle congregazioni generali prima del Conclave, dovrà perfezionare ancora di più l’identità (corsivo mio; nda) della stessa Curia romana, ossia quella di coadiuvare il successore di Pietro nell’esercizio del suo supremo ufficio pastorale per il bene e il servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari. Esercizio col quale si rafforzano l’unità di fede e la comunione del popolo di Dio e si promuove la missione propria della Chiesa nel mondo».

Ora, qual è questa identità? Ho ricordato in principio il can. 360 del CIC che così recita: «La Curia romana, mediante la quale il sommo pontefice è solito trattare le questioni della Chiesa universale, e che in suo nome e con la sua autorità adempie alla propria funzione per il bene e a servizio delle Chiese, è composta dalla Segreteria di stato o papale, dal Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa, dalle congregazioni, dai tribunali, e da altri organismi; la loro costituzione e competenza vengono definite da una legge peculiare» (EV 8). Della Curia troviamo qui indicate la funzione e la composizione.

A servizio del papa

Il primo testo ufficiale che, però, ce ne dà una «definizione» è la costituzione apostolica Pastor bonus (28 giugno 1988), che attualmente ne regola il funzionamento. Qui la Curia romana è indicata come «l’insieme dei dicasteri e degli organismi che coadiuvano il romano pontefice nell’esercizio del suo supremo ufficio pastorale per il bene e il servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari, esercizio col quale si rafforzano l’unità di fede e la comunione del Popolo di Dio e si promuove la missione propria della Chiesa nel mondo» (art. 1; EV 11/833).16 Prima ancora, nell’Introduzione la costituzione dice esplicitamente che «la Curia romana è sorta per un solo fine: rendere sempre più efficace l’esercizio dell’ufficio universale di pastore della Chiesa, che lo stesso Cristo ha affidato a Pietro ed ai suoi successori, e che di volta in volta è cresciuto a dimensioni sempre più vaste» (EV 11/796).

Dall’insieme di questi testi ciò che anzitutto appare è il carattere strumentale della Curia romana, in quanto organismo posto al servizio del romano pontefice. Così, ad esempio, in un suo recente manuale P. Valdrini, prosegue: «Il can. 360 CIC 1983 è l’unico canone nel CIC a descrivere la Curia romana; esso statuisce che la Curia deve adempiere la propria funzione in nome del Romano pontefice e per la sua autorità, mentre la legge particolare precisa il modo in cui deve operare praticamente». Conclude: «La Curia romana, per esercitare la sua funzione ha una potestà ordinaria connessa all’ufficio che è vicaria».17

Non diversamente rispondeva il card. F. Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi, a una domanda circa la riforma della Curia: «La Curia romana è, evidentemente, un organismo complesso, sempre bisognoso di essere monitorato e, se è il caso, corretto o aggiornato. La Curia non è, né può essere, una struttura di potere in contrapposizione al papa, perché in questa ipotesi non avrebbe alcun senso. La Curia è, invece, solo una struttura di servizio in aiuto al papa e alla sua attività di servizio alla Chiesa universale, alle diocesi, ai pastori e ai fedeli. La Curia romana non è autonoma, non ha attività proprie, ma è relativa al papa, alle attività del papa, aiuta il papa a compierle.

Poiché, tuttavia, i campi di azione sono tanti e alquanto diversi, la Pastor bonus, promulgata il 28 giugno 1988, ha ordinato la Curia in vari dicasteri e ha assegnato a ciascuno una competenza specifica, cioè una attività del papa da compiere in suo aiuto. Per questo motivo la Curia deve essere idonea, deve essere qualificata nelle persone e nelle strutture che la compongono. E questa è l’indole fondamentale della Curia se vuole effettivamente aiutare il romano pontefice a compiere in modo ottimale le sue molteplici attività al servizio della Chiesa universale. Ora è chiaro che bisogna adattare questa complessa struttura a quelle che sono le sempre nuove esigenze della Chiesa e del mondo di oggi. Mi preme sottolineare, tra le tante cose che si potrebbero dire a riguardo, la necessità della formazione permanente, soprattutto di natura spirituale, di tutti gli operatori della Curia, laici, presbiteri e vescovi».18

I nuovi dicasteri

Queste espressioni sono sufficientemente chiare al fine di inquadrare l’attuale lavoro per la riforma della Curia avviato da Francesco. Esse, peraltro, sono pronunciate già in tale clima.

Cito ancora dal discorso di Francesco al Concistoro 2015. In quella circostanza il papa disse che la meta da raggiungere nella riforma della Curia «è sempre quella di favorire maggiore armonia nel lavoro dei vari dicasteri e uffici, al fine di realizzare una più efficace collaborazione in quell’assoluta trasparenza che edifica l’autentica sinodalità e la collegialità».

Aggiunse: «Certamente raggiungere una tale meta non è facile: richiede tempo, determinazione e soprattutto la collaborazione di tutti. Ma per realizzare questo dobbiamo innanzitutto affidarci allo Spirito Santo, che è la vera guida della Chiesa, implorando nella preghiera il dono dell’autentico discernimento».

Per rendere, allora, più comprensibile questo processo di riforma, le sue ragioni e il suoi scopi, penso sia utile riprendere qualcosa dalle tre lettere apostoliche in forma di motu proprio con cui di recente Francesco è intervenuto sino a oggi per la istituzione di altrettanti dicasteri della Curia romana.

1. Nel motu proprio L’attuale contesto comunicativo con cui istituisce la Segreteria per la comunicazione (27 giugno 2015), Francesco s’introduce subito con l’osservare che «l’attuale contesto comunicativo, caratterizzato dalla presenza e dallo sviluppo dei media digitali, dai fattori della convergenza e dell’interattività, richiede un ripensamento del sistema informativo della Santa Sede e impegna a una riorganizzazione che, valorizzando quanto nella storia si è sviluppato all’interno dell’assetto della comunicazione della sede apostolica, proceda decisamente verso una integrazione e gestione unitaria».

Il nuovo dicastero, allora, è subito descritto non solo come «riorganizzazione», ma anche come «ripensamento» in prospettiva di «comunicazione» (Regno-doc. 27,2015,6). Nel nostro caso, comunicazione è da intendersi come evangelizzazione e conversione pastorale. Al riguardo, si potrà confrontare questa premessa col successivo messaggio di Francesco per la 50a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, sul tema Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo (24 gennaio 2016).

2. Nel motu proprio Sedula mater del 15 agosto 2016 con cui istituisce il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita il papa richiama anzitutto la finalità pastorale generale del ministero petrino («ci adoperiamo prontamente a disporre ogni cosa perché le ricchezze di Cristo Gesù si riversino appropriatamente e con profusione tra i fedeli»), indicando subito dopo e proprio in tale contesto il processo di riforma della Curia romana: «A tal fine, provvediamo sollecitamente a che i dicasteri della Curia romana siano conformati alle situazioni del nostro tempo e si adattino alle necessità della Chiesa universale».

3. Nello stesso senso, ma più dettagliatamente si esprime il motu proprio Humanam progressionem del 17 agosto 2016 con cui ha costituito il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Vi leggiamo: poiché tale sviluppo «si attua mediante la cura per i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato», nella sua opera in favore dell’affermazione di tali valori il successore di Pietro «adatta continuamente gli organismi che collaborano con lui, affinché possano meglio venire incontro alle esigenze degli uomini e delle donne che essi sono chiamati a servire».

Il Consiglio dei cardinali

Nel principio generale il papa torna a spiegare che gli organismi della Curia romana hanno come loro unica ed esclusiva finalità la collaborazione con lui.

Il significato della ri-forma della Curia, dunque, è duplice: anzitutto renderla con-forme «alle situazioni del nostro tempo» e ciò per «meglio venire incontro alle esigenze degli uomini e delle donne che essi sono chiamati a servire»; al tempo stesso si tratta di rendere la Curia romana più conforme al suo scopo, che è di collaborare al ministero proprio del successore di Pietro (cum ipso consociatam operam).

Per allargare il nostro sguardo nel considerare la riforma promossa e guidata da Francesco, potremo utilmente riferirci anzitutto a quel programma di ministero petrino che è l’esortazione apostolica Evangelii gaudium. Il papa ne tratta soprattutto ai nn. 26-27 in prospettiva di scelta missionaria. Qui, ispirandosi ai temi esposti da Paolo VI nell’esortazione Evangelii nuntiandi e, prima ancora, al magistero conciliare, commenta: «Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza “fedeltà della Chiesa alla propria vocazione”, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo» (EV 29/2132).

Poco più avanti, Francesco congiunge la riforma delle strutture alla conversione pastorale, come poi spiegò inaugurando i lavori del Concistoro del 12 febbraio 2015, dedicato al progetto di riforma della Curia. Non sono gli unici testi, perché sulla pastoralità della Curia romana (che fu pure uno dei criteri-guida nella riforma di Paolo VI) Francesco è tornato a insistere nell’omelia del 22 febbraio 2016 quando, celebrandosi la memoria liturgica della Cattedra di san Pietro si celebrò pure, nella Basilica vaticana il «giubileo della Curia Romana».

In quell’occasione il papa fece ricorso all’espressione comunità di servizio e, dopo avere richiamato l’immagine del pastore (cf. Ez 34,16), aggiunse: «fa bene anche a noi, chiamati a essere pastori nella Chiesa, lasciare che il volto di Dio buon pastore ci illumini, ci purifichi, ci trasformi e ci restituisca pienamente rinnovati alla nostra missione. Che anche nei nostri ambienti di lavoro possiamo sentire, coltivare e praticare un forte senso pastorale, anzitutto verso le persone che incontriamo tutti i giorni. Che nessuno si senta trascurato o maltrattato, ma ognuno possa sperimentare, prima di tutto qui, la cura premurosa del buon Pastore».

La costituzione da parte di papa Francesco del «Consiglio di cardinali», fu annunciata il 13 aprile 2013 con un comunicato della Segreteria di stato, dove spiegava pure che ciò era stato fatto «riprendendo un suggerimento emerso nel corso delle congregazioni generali precedenti il Conclave» (Regno-doc. 8,2013,207).

Lo stesso Consiglio fu costituito ufficialmente col chirografo di Francesco datato 28 settembre 2013. Anche qui il papa ricordava: «Tra i suggerimenti emersi nel corso delle Congregazioni generali di cardinali precedenti al Conclave, figurava la convenienza di istituire un ristretto gruppo di membri dell’episcopato, provenienti dalle diverse parti del mondo, che il santo padre potesse consultare, singolarmente o in forma collettiva, su questioni particolari».

Il papa aggiungeva d’avere avuto modo di riflettere su questo argomento. Indicava, pertanto, gli scopi del Consiglio come segue: «aiutarmi nel governo della Chiesa universale» e «studiare un progetto di revisione della costituzione apostolica Pastor bonus sulla Curia romana». Quanto, infine, alla composizione, il papa spiegava di volerlo configurare «nel modo che risulterà più adeguato» per essere «un’ulteriore espressione della comunione episcopale e dell’ausilio al munus petrinum che l’episcopato sparso per il mondo può offrire» (Regno-doc. 19,2013,604).

Non contro ma con la Curia

Al di là dei nomi dei cardinali membri del Consiglio, importante è notare che nell’attuale composizione compaiono cinque cardinali vescovi diocesani, responsabili di Chiese in India, Europa, Africa, America del Nord e del Sud; due cardinali vescovi emeriti, di cui uno attualmente capo dicastero; due cardinali già nunzi apostolici, dei quali uno è ora Segretario di stato e l’altro presidente del Governatorato. Si tratta, perciò, della compresenza di varie competenze ed esperienze di ministero episcopale.

La Curia romana vi è rappresentata dal cardinale Segretario di stato, ma anche altre persone sono state invitate, in questi tre anni, a dialogare coi membri del Consiglio. Si tratta, difatti, di una «riforma» che va realizzandosi non contro ma con la Curia romana. Sono da segnalare, pertanto, oltre alla consultazione e alla audizione di membri della Segreteria di stato e degli altri dicasteri della Curia avvenute nel corso del tempo, anche la riunione dei capi dicastero della Curia del 10 settembre 2013 e l’altra del 24 novembre 2014. Nell’autunno 2014 si è pure proceduto a una consultazione scritta di tutti i capi dicastero su alcuni temi specifici.

Seguendo la cronologia, si dirà che fin dalle prime settimane dall’annuncio della sua costituzione, fu avviata la raccolta del materiale in vista del lavoro che sarebbe iniziato nell’autunno successivo. In particolare, nell’estate 2013 il card. G. Bertello, su incarico del papa avviò una consultazione riservata ai capi dicastero e altre personalità non solo della Curia romana al fine ottenere pareri scritti riguardo a un progetto di riforma della Curia romana.

A esse furono aggiunte tutte le altre proposte fatte pervenire al segretario del Consiglio tramite il santo padre, o anche direttamente: tutto, per oltre un centinaio di proposte di vario genere e ampiezza. I sigg. cardinali membri del Consiglio, a loro volta, hanno anche loro richiesto, o ricevuto proposte dagli episcopati delle aree di loro riferimento. Il tutto ha contribuito sia all’impostazione, sia allo svolgimento dei lavori e il materiale (documenti, dossier e verbali delle riunioni) è in qualsiasi momento disponibile per la consultazione da ogni membro del Consiglio in un apposito archivio, messo a punto mediante un sistema interno di comunicazione.

Le sessioni di lavoro del Consiglio sono state fino a oggi 16 (in media, 1 ogni due mesi), così scandite nel tempo: I: 1-3 ottobre 2013; II: 3-5 dicembre 2013; III: 17-19 febbraio 2014; IV: 28-30 aprile 2014; V: 1-4 luglio 2014; VI: 15-17 settembre 2014; VII: 9-11 dicembre 2014; VIII. Sessione: 9-10 febbraio 2015; IX: 13-15 marzo 2015; X: 8-10 giugno 2015; XI: 14-16 settembre 2015; XII: 10-12 dicembre 2015; XIII: 8-9 febbraio 2016; XIV: 11-13 aprile 2016; XV: 6-8 giugno 2016; XVI: 12-14 settembre 2016.

La Sessione XVII è fissata per i giorni 12-13-14 dicembre 2016.

Il ritmo del lavoro vede impegnati i membri del Consiglio al mattino e al pomeriggio, a oggi per un totale di 93 riunioni, normalmente dalle ore 9 alle ore 12,30 al mattino e dalle ore 16,00 alle ore 19,00 al pomeriggio. A queste riunioni è sempre presente il santo padre, fatta eccezione al mattino dei mercoledì in cui egli è impegnato nelle consuete udienze generali.

All’attenzione del Consiglio di cardinali, istituito primariamente per consigliare il papa nel governo della Chiesa universale sono stati posti ovviamente anche altri temi relativi a tale aspetto e sui quali il Francesco ha voluto domandare al Consiglio un parere e un contributo di riflessione.

Verso una nuova Pastor bonus

Per quanto, però, riguarda lo studio di riforma della Curia, il metodo di lavoro scelto è stato quello di procedere con lo studio successivo dei punti relativi alla Segreteria di stato, alle congregazioni della Curia romana e ai pontifici consigli, procedendo a più riprese per ciascuno: prima, attraverso una visione generale e poi, di seguito, in forma più approfondita e analitica. Ci sono, ovviamente, altri capitoli della Curia (ad esempio i tribunali ecc.).

Su alcuni temi, poi, si è tornati a riflettere in più sessioni. Quando la riflessione appariva sufficientemente matura si formalizzavano per il santo padre alcune proposte specifiche. Questo metodo di lavoro andrà avanti. A ogni modo, i comunicati pubblicati dalla Sala stampa di volta in volta permettono di ottenere un’idea generale di quanto compiuto sino a oggi.

Solo per una esemplificazione, ricorderei che nel briefing del 3 dicembre 2013 p. Federico Lombardi sj spiegava ai giornalisti che l’orientamento del Consiglio non era «di apportare semplici ritocchi o modifiche marginali alla Pastor bonus, ma di lavorare per preparare una costituzione con novità consistenti, insomma una nuova costituzione». Quanto al metodo di lavoro, aggiungeva: «Nel lavoro del Consiglio, come è normale, vi è una certa distribuzione di compiti nel riferire sui diversi temi, a seconda della competenza ed esperienza dei diversi membri del Consiglio stesso. Ma tutti partecipano alle consultazioni in piena condivisione della responsabilità comune. Il metodo di lavoro con cui si è iniziato questa mattina comporta di passare in rassegna i diversi dicasteri della Curia».

Nella medesima sede, il 3 ottobre 2013 (dunque nelle prime riunioni del Consiglio) lo stesso direttore della Sala stampa aveva dato la seguente informazione: «Si è trattato anche dei rapporti fra i capi dicastero e il papa e del coordinamento fra i vari dicasteri e uffici. In questo contesto si è trattato anche dell’ipotesi della nuova figura di un moderator Curiae e delle sue possibili funzioni» (Regno-doc. 19,2013,604). L’istanza di istituire quella figura, dal CIC prevista per gli aspetti amministrativi nelle curie diocesane e introdotta per corrispondere a esigenze particolari di coordinamento, fu variamente accolta e lo stesso Consiglio di cardinali, dopo avere approfondito a più riprese l’argomento, propose al papa di farla cadere.

Rimane, tuttavia, l’auspicio di un maggiore e più efficace coordinamento all’interno dei vari dicasteri. A esso si è accompagnato sin dal principio il proposito di promuovere una maggiore ed efficace collaborazione fra i diversi dicasteri, da promuovere con l’ausilio di diverse strutture, tra cui il ricorso a più frequenti incontri interdicasteriali e altre iniziative simili.

Le prime attuazioni

Fra i criteri-guida, di conseguenza, c’è anche l’evidenza di una razionalizzazione degli organismi della Curia anche tenuto conto del principio che tutti dicasteri sono giuridicamente pari tra di loro (cf. Regimini Ecclesiae universae art. 1 §2; Pastor bonus art. 2 §2). Attualmente la distinzione presente in Pastor bonus tra congregazioni e pontifici consigli è operata sulla base dell’esercizio, o meno di una potestà. Inutile, però, aggirare l’impressione che da essa deriva (non solo nell’opinione pubblica) di dicasteri di primo e second’ordine!

Anche di ciò si terrà conto nell’organizzazione generale ed è per questo che nelle più recenti attuazioni si è fatto ricorso alla terminologia più generale di «dicastero», che nell’uso ecclesiastico è già usato come sinonimo e onnicomprensivo (cf. Pastor bonus artt. 1 e 2 § 1 e 2).19

Tra i consigli pervenuti sono stati insistenti e diffusi quelli di giungere a una semplificazione e a uno snellimento della Curia: accorpamento, o fusione di dicasteri secondo materie di competenza e semplificazione interna dei singoli dicasteri; eventuali soppressioni di uffici che non risultano più rispondenti alle necessità contingenti; inserimento e, eventualmente, riduzione di commissioni, accademie, comitati ecc. nei dicasteri. Si chiedeva pure di riordinare le competenze specifiche dei diversi dicasteri, spostandole, se necessario, da un dicastero a un altro.

L’organizzazione e la struttura dei due più recenti dicasteri i cui statuti sono stati approvati dal papa e fatti pubblicare mostrano come si è cercato di corrispondere a tali istanze. Faccio due esempi al riguardo.

Quanto al Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, il punto di partenza è stata la considerazione della comune dignità che è alla base dei diversi stati di vita, delle vocazioni e dei ministeri all’interno dell’unico popolo di Dio. Questo ha indotto a considerare e valorizzare con sempre più matura consapevolezza lo status e il ruolo dei fedeli laici nella Chiesa. A questa promozione e sviluppo hanno dato un contributo decisivo il concilio Vaticano II e il Sinodo dei vescovi del 1987, dedicato appunto alla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo.

A tale consapevolezza della dignità e peculiarità dell’essere e dell’operare dei laici nella Chiesa, e della varietà delle vocazioni al loro interno, si è pensato giusto dovesse corrispondere un risvolto anche istituzionale nell’assetto del governo della Chiesa corrispondente all’attenzione e alla considerazione che, anche sul piano istituzionale, è riservata ai vescovi, ai presbiteri e alle persone di vita consacrata. Si è pensato pure che all’ambito del laicato sia particolarmente appropriato il bene della famiglia, basata sul matrimonio e sia, di conseguenza, congiunto il bene della vita.

Da qui la proposta di conservare unite queste istanze anche nell’assetto organizzativo e funzionale della Chiesa e della sua pastorale. In breve, alla base c’è la presa d’atto di una relazione d’implicazione della vita nella famiglia e della famiglia nel laicato, che rende molto plausibile la loro connessione istituzionale.

Con gradualità, senza incertezze

Qualcosa di analogo è avvenuto per l’attuale Dicastero per lo sviluppo umano integrale. Le sue ragioni sono le stesse della dottrina sociale della Chiesa e delle sue istanze evangelizzatrici, da riconoscere, attualizzare, incentivare, coordinare. Essa assume a statuto valoriale e linea direttrice tale dottrina, adoperandosi affinché «i grandi principi sociali non rimangano mere indicazioni generali che non interpellano nessuno». Ma ne «ricava le conseguenze pratiche, perché possano efficacemente incidere anche nelle complesse situazioni odierne».20

Scegliendo per titolo «Sviluppo umano integrale» il papa ha voluto indicare l’orizzonte entro cui il dicastero è chiamato a operare, costituito dai tre grandi documenti che oggi esprimono la dottrina sociale della Chiesa e sono richiamati dalle tre parole: la Populorum progressio di Paolo VI per l’insegnamento sullo sviluppo;21 la Caritas in veritate di Benedetto per il tema della dimensione umana integrale;22 l’enciclica Laudato si’ per il profilo solidale e di ecologia integrale.23

Inoltre, in questo dicastero c’è al momento pure l’assunzione in prima persona da parte del papa della guida della sezione relativa ai migranti e ai profughi. È una scelta che sottolinea un’attenzione specifica a un’emergenza mondiale di stringente attualità e costituisce un richiamo per tutti, credenti e non! Penso pure che quell’ad tempus possa leggersi come speranza e auspicio che tale emergenza non tardi a essere presto risolta.

In ogni caso, la scelta di guidare personalmente un settore della Curia romana non è un’invenzione di Francesco. È accaduto già (e pure in un passato non lontano) per le attuali Congregazioni per la dottrina della fede (allora S. Ufficio), per le Chiese orientali, delle Cause dei santi, per i Vescovi (allora Concistoriale).

L’istituzione, ancora, dei due nuovi dicasteri non è un fatto isolato. Chi tiene conto di altre importanti scelte (come quelle operate coi motu proprio Fidelis dispensator et prudens del 24 febbraio 2014 che istituisce la Segreteria per l’economia e l’altro del 27 giugno dell’anno 2015 che riguarda la Segreteria per la comunicazione) comprende bene che la riforma della Curia romana non è qualcosa di là a divenire, ma è già in atto. Con gradualità, ma senza incertezze. La Segreteria per la comunicazione, ad esempio, segna un passo davvero molto importante. Ha da poco compiuto un anno di vita e il prefetto, mons. Dario Viganò, lo ha raccontato tempo fa a Radio Vaticana.24

C’è d’altra parte, prima di giungere a un assetto globale e compiuto, la volontà di procedere mediante sperimentazioni e assestamenti. Ad esempio, nel motu proprio su I beni temporali del 4 luglio 2016 dove si legge testualmente: «Il tempo da allora trascorso e l’esperienza d’attuazione pratica degli statuti hanno evidenziato la necessità d’intervenire ulteriormente in vista di una loro corretta interpretazione e concreta applicazione, alla luce delle competenze fondamentali già stabilite nella lettera Fidelis dispensator et prudens. In particolare, si è manifestata la necessità di delineare meglio i rispettivi ambiti di attività tra la Segreteria per l’economia e l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica, il loro modo di procedere e il reciproco coordinamento».

In questa linea, i testi approvati sono – come potrà vedersi – tutti ad experimentum, ma senza l’indicazione di una scadenza (per esempio: ad triennium, quinquennium ecc.) e questo onde procedere serenamente e con celerità a correzioni e miglioramenti, appena ciò si rendesse evidente, necessario, o anche opportuno.

Profilo teologico generale: le idee di fondo

Penso di potere essere, sull’argomento, molto breve. Lo farò con tre richiami. Il primo al discorso di Francesco del 17 ottobre 2015, celebrativo per il 50o d’istituzione del Synodus episcoporum; il secondo all’esortazione apostolica Evangelii gaudium; il terzo al motu proprio Humanam progressionem del 31 agosto scorso scorso.

Nel discorso del 17 ottobre 2015 Francesco ha parlato della «sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa» (Regno-doc. 37,2015,14). Si dirà che la Curia non è menzionata direttamente; alcuni principi enunciati, però, chiedono sicuramente di essere tenuti in conto. Certamente dove il papa tratta del secondo livello della sinodalità (quello delle province e delle regioni ecclesiastiche, dei concili particolari e in modo speciale delle conferenze episcopali)!

Qui Francesco enuncia un’importante indicazione: «Dobbiamo riflettere per realizzare ancor più, attraverso questi organismi, le istanze intermedie della collegialità, magari integrando e aggiornando alcuni aspetti dell’antico ordinamento ecclesiastico. L’auspicio del Concilio che tali organismi possano contribuire ad accrescere lo spirito della collegialità episcopale non si è ancora pienamente realizzato. Siamo a metà cammino, a parte del cammino. In una Chiesa sinodale, come ho già affermato, “non è opportuno che il papa sostituisca gli episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare decentralizzazione”» (Regno-doc. 37,2015,15).

Alla parola decentralizzazione si potrebbe associare la sussidiarietà, che indica un altro principio ispiratore della riforma della Curia romana. Un’allusione a questo principio si trova nel motu proprio Humanam progressionem, prima citato: «Il successore dell’apostolo Pietro, nella sua opera in favore dell’affermazione di tali valori, adatta continuamente gli organismi che collaborano con Lui, affinché possano meglio venire incontro alle esigenze degli uomini e delle donne che essi sono chiamati a servire».

Anche l’art. 3 §3 dello statuto del nuovo Dicastero per lo sviluppo umano integrale vi fa riferimento quando dispone: «Il Dicastero si adopera perché nelle Chiese locali sia offerta un’efficace e appropriata assistenza materiale e spirituale – se necessario anche mediante opportune strutture pastorali – agli ammalati, ai profughi, agli esuli, ai migranti, agli apolidi, ai circensi, ai nomadi e agli itineranti».

Considerando, poi, l’esortazione Evangelii gaudium si vedrà che al n. 27 Francesco enuncia un principio generale, che non può non essere valido (aggiungerei esemplare)25 anche per la Curia romana. Si legge: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia» (EV 29/2133).

Ai valori già sottolineati per la Curia romana dalle precedenti riforme: in particolare il criterio della pastoralità come principio guida dei procedimenti di attuazione e strutturazione degli organismi curiali sottolineato da Paolo VI, e il criterio della communio come principio-base dove confluiscono non solo il mistero della Chiesa, ma anche la sua struttura gerarchica richiamato da Giovanni Paolo II, Francesco unisce come forza unificante il criterio della sinodalità e come forza dinamica quello della conversione missionaria.

Il tutto con il giusto discernimento e una forte speranza, poiché «ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza “fedeltà della Chiesa alla propria vocazione”, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo» (Evangelii gaudium, n. 26; EV 29/2132).

 

Marcello Semeraro*

* Mons. Semeraro, vescovo di Albano è segretario del Consiglio dei cardinali.

1 Si vedano in particolare i nn. 9-10 del decreto Christus Dominus. Cf. E. Innocenti, La Santa Sede nella ecclesiologia del Vaticano II, IPAG, Rovigo 1977. Più recenti, L.M. Neves, «Paul VI et la réforme de la Curie,» in Istituto Paolo VI, Notiziario 5(1984) 8, maggio, 51-66; E. Maurice, «Paul VI et la Curie romaine», in E. Rosanna (a cura di), «Il Concilio e Paolo VI. A Cinquant’anni dal Vaticano II. Colloquio Internazionale di studio. Concesio (Brescia), 27, 28 e 29 settembre 2013», Istituto Paolo VI – Studium, Brescia 2016, 26-46 e la discussione successiva, cf. 59.

2 Per una visione sintetica di queste riforme, cf. I.I. Arrieta, voce «Curia romana» in Diccionario general de derecho canónico (DGDC), II, 862-871; P.V. Pinto (a cura di), Commento alla Pastor bonus e alle Norme sussidiarie della Curia romana, LEV, Città del Vaticano 2003, 9-13; P. Valdrini, Comunità, persone, governo. Lezioni sui libri I e II del CIC 1983, Lateran University Press, Città del Vaticano 2013, 140-145; N. Tanner, «La riforma della Curia romana nella storia», in Concilium 49(2013) 5, 29-41; M. Faggioli, «Riforma della Curia al Vaticano II e dopo il Vaticano II», in Concilium 49(2013), 5, 42-52; Id., «Per una riforma del governo centrale di una Chiesa collegiale e sinodale, a cinquant’anni dal Vaticano II», in A. Spadaro, C.M. Galli (a cura di), La riforma e le riforme nella Chiesa, Queriniana, Brescia 2016, 335-338. L’opera generale più consistente e completa è N. Del Re, La Curia Romana. Lineamenti storico-giuridici, LEV, Città del Vaticano 41998.

3 «La riforma può essere dettata da esigenze esterne alla Chiesa, come da altre interne. Ad esempio, dalla pressione politica degli stati nel 1914 viene messa “in guardia la Santa Sede dalle conseguenze di un’ulteriore italianizzazione della Curia romana”. La questione della italianità della Curia era considerata quale punto dolente allo stesso tempo sia dal potere laico, che da interessi ecclesiastici, che troviamo espressi, nel 1931, in una proposta di riforma, da parte di un anonimo autore, “Paulus Bernardus a S. Catharina”, probabilmente il cardinale Van Rossum. In tale documento viene affrontata la problematica della riforma e razionalizzazione del governo centrale della Chiesa, legata all’esigenza di adattare la Chiesa alle sfide della società moderna»: in R. Regoli, «Tra riforma della Curia e governo universale della Chiesa», ne Il ministero dello storico. Omaggio a P. Marcel Chappin, sj «suavis laborum memoria». Chiesa, papato e Curia romana tra storia e teologia, G&B Press, Roma 2016, 15.

4 Nel volume appena citato, cf. il saggio di H. De Valk, che alle pp. 183-205 riporta la «proposta» risalente al 1931, attribuita a W.M. Van Rossum.

5 Regoli, «Tra riforma della Curia e governo», 15s.

6 Cf. le molte pagine dedicate alla simbologia navale (Antenna crucis) nelle sue diverse modulazioni in H. Rahner, L’ecclesiologia dei padri. Simboli della Chiesa, Paoline, Roma 1971, 397-966.

7 Faggioli, «Riforma della curia», 52.

8 Cf. M. Semeraro, «Governo coerente e pastorale. Paolo VI e la Curia romana», in L’Osservatore romano, 11.8.2016, 7.

9 Così, riguardo alla ninfa Teti, Ovidio, Metamorfosi XI. Traduzione di V. Sermonti, Rizzoli Milano 2014, 253s: «Nec te decipiat centum mentita figuras, / sed preme quidquid erit, dum quod fuit ante rerformet» («E se si traveste in cento figure, non ti confondere;/ tu stringi ma stringi, finché non riprende la forma di prima»).

10 Così Seneca, Lettere a Lucilio VI, 58: «Quid istis quae modo tractavimus remotius a reformatione morum? Quomodo meliorem me facere ideae Platonicas possunt?», («Cosa di ciò che abbiamo discusso è più lontano dalla riforma dei costumi? Come potrebbero rendermi migliore le idee platoniche?»).

11 Cf. Y. Congar, Vera e falsa riforma nella Chiesa, Jaca Book, Milano 21972. Per i riferimenti, cf. le pagine 49-51; 271-275.

12 Congar precisa cosa si dovrà intendere per «strutture»: non in ogni caso il dogma, i sacramenti e la struttura gerarchica della Chiesa (p. 49 nota 50), ma spiega pure quanto talvolta non sia davvero facile distinguere le «strutture» storiche dalla «struttura» della Chiesa «essendo esse la forma concreta – in molti casi, relativa – nella quale un elemento della struttura si realizza storicamente» (274).

13 Cf. A Spadaro, «La riforma della Chiesa secondo Francesco. Le radici ignaziane», in Spadaro, Galli, La riforma e le riforme nella Chiesa, 19-36. Cf. anche quanto scrive A. Melloni, «Senatus communionis», in Concilium 49(2013) 5, 58 circa la necessità di riflettere sulla polisemia del termine riforma: «Perché in senso stretto solo ciò che fa parte della forma Ecclesiae è passibile di quella reformatio che è essenziale alla vita cristiana una volta che la forma che è deputata a contenerla abbia perso la propria fisionomia. Le altre sono piuttosto correzioni: emendationes che possono essere chiamate riforma solo sapendo che esse sono efficaci a condizione che da sopra la reformatio Ecclesiae ne disciplini i passi e che questi a loro volta siano illuminati dalla lucerna sul moggio». Riguardo al significato del latino reformare si potrebbe aggiungere san Tommaso d’Aquino, il quale in Summa theologiae I, q. 45 a. 1 ad 1 rimanda a una riforma in melius, ossia a un’operazione di riforma finalizzata ad un miglioramento.

14 Cf. J. W. O’Malley, «La riforma nella vita della Chiesa. Il Concilio di Trento e il Vaticano II»; A. Riccardi, «Lezioni dalle riforme del XX secolo»; G. Pani, «Ecclesia sempre reformanda dal XIV al XVI secolo»; A. Maffeis, Ecclesia semper reformanda: le lezioni della storia e il significato ecumenico», in Spadaro, Galli, La riforma e le riforme nella Chiesa, 85-107. 108-124. 125-140. 141-155.

15 E. Bianchi, «Francesco, la Chiesa rinasce dentro di noi», in Avvenire, 23.8.2014, 19 («Agorà»).

16 P.V. Pinto, attuale decano della Rota, così commenta l’art. della Pastor bonus: «Viene quindi messo in luce il suo carattere strumentale, di servizio al romano pontefice, nell’esercizio del suo ministero petrino, in quanto lo “coadiuvano”», in Commento alla Pastor bonus, 23.

17 Valdrini, Comunità, persone, governo, 143.

18 Intervista rilasciata a N. Gori, pubblicata in L’Osservatore romano, 25.7.2014.

19 Qualcuno potrebbe osservare che il termine non è d’uso esclusivamente ecclesiastico, come, invece, quello tradizionale di «congregazione». Invero, quest’ultimo cominciò a essere usato con la riforma sistina, quando ai «concistori», che erano d’aiuto al papa nel governo della Chiesa universale, per motivi dovuti all’accresciuto numero di cause da trattare si aggiunsero delle «congregazioni» o «collegi», anch’essi di vario tipo, ossia stabili, o temporanei. Il dato storico è ricordato anche da Pastor bonus, Introduzione, n. 4; EV 2/797ss. In principio, perciò, il termine indicava altre riunioni rispetto ai concistori. Cf. L. Sabbarese, voce «Congregaciones de la Curia romana», in DGDC, II, 560s; Del Re, La Curia romana, 28s. La prima Congregazione permanente della Curia romana riorganizzata da Sisto V fu quella pro Sancta Inquisitione. Col riordinamento del 1988 sia le congregazioni, sia i due tribunali apostolici della Penitenzieria e della Rota romana hanno perduto l’antico attributo di «sacra», sicché appare meglio il loro carattere «amministrativo», che è esattamente quello indicato dal termine «dicastero», di origine greca.

20 Cf. Francesco, esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 182; EV 29/2288.

21 Humanam progressionem, dice il titolo latino del motu proprio del 17 agosto 2016.

22 Cf. nn. 4, 9, 11 («tutta la Chiesa, in tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo»), 17s. 29s. 34. 44. 51. 55. 62. 67. e 77.

23 Cf. nn. 13 («La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale»), 18. 109. 112, 157. 185.

24 La sua narrazione, molto istruttiva sul processo di riforma potrà leggersi in http://it.radiovaticana.va: «Viganò: vi racconto il primo anno del dicastero per la comunicazione», 27.6.2016.

25 Di esemplarità della Curia parlò Paolo VI nel discorso del 21 settembre 1963. Dopo avere descritto la Curia come «organo d’immediata aderenza e di assoluta obbedienza, del quale il romano pontefice si serve per esplicare la sua universale missione»; dopo averne elencato le peculiarità e avere anche ricordato che la Curia stessa è collocata «all’avanguardia di quella perenne riforma, di cui la Chiesa stessa, in quanto istituzione umana e terrena, ha perpetuo bisogno», Montini ne richiamò il compito di esemplarità. Disse: «La Curia romana, ancora una volta, sentirà così, in modo più forte, la sua vocazione all’esemplarità, in faccia alla Chiesa intera e al mondo profano. È questa l’esortazione che noi osiamo paternamente rivolgervi».

Tipo Studio del mese
Tema Santa Sede Francesco
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