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Abitare diversamente | Lo studio (da campo)

Se tutti noi nelle nostre abitazioni possediamo una porta d’ingresso, una cucina e almeno un bagno, non tutti abbiamo un locale chiamato «studio». I fortunati hanno lì uno spazio di silenzio, di riflessione, un archivio di documenti e libri… insomma: un contenitore del proprio sapere e riflettere. Spesso precluso agli altri familiari. Il locale si chiama «studio»: qualcuno ci studia, qualcuno ci lavora. Forse sarebbe più appropriato, in ambo i casi, chiamarlo «pensatoio».

Però, in questo nostro abitare diversamente di questi mesi, dalle nostre reciproche e quotidiane incursioni nelle case altrui per videochiamate personali o di lavoro/scuola, ho notato che molti hanno allestito – in un angolo della cucina, o del salotto, o anche in corridoio e nei posti più svariati – degli spazi che potremmo chiamare «studi (pensatoi) da campo».

Dallo «studio da campo»…

Trovo estremamente affascinanti, per questo nostro viaggio nei luoghi dell’abitare, questi che chiamo «studio da campo», sul cui sfondo appaiono spesso: figli piangenti, pentole fumanti, gatti arruffiananti, quadri storti, panni stesi…

Insomma: il nostro pensare – che mette in circolo sensibilità e sintesi – che fu prima e che sarà, è molto più simile a questo attuale «studio da campo», disturbato da rumori di sottofondo, da incursioni di priorità inaspettate, da sbalzi umorali… Nemmeno negli «studi tradizionali» il nostro pensare fu, è, sarà mai «asettico».

Nemmeno il pensare etico è asettico. Perché nel pensare etico giocano un ruolo fondamentale le nostre esperienze. O, se preferite un termine più tradizionale, le nostre circostanze. Non solo etiche, evidentemente: ma anche storiche, culturali, psicologiche, spirituali… e, permettetemi, anche di «genere».

E questi «studi da campo» mi portano a due importanti considerazioni:

  • il pensare etico è sempre un pensare autobiografico, personale e collettivo, individuale e sociale, nel contempo; pertanto segnato da una radicale fragilità e altrettanto radicale forza; tremendum et fascinans mysterium, anche questo;
  • così inteso il pensare etico non è prerogativa, esclusività di un gruppo di persone, di «privilegiati», ma compito di ciascuno, hic et nunc. È sete comune. [

E allora mi chiedo: quale ruolo importante può avere l’etica narrativa in questo momento? Quale rinnovata alleanza tra coloro che occupano coloro che occupano «studi da campo» e gli «studi tradizionali», i cosiddetti «addetti ai lavori»? 

[Per inciso: interessante notare come la riflessione teologico-morale sia diventata sempre più caleidoscopica a partire dal XX secolo: non più reclusa solo all’ambito accademico – altri ambiti hanno un importante ruolo, ad esempio le Associazioni – e non più elaborata da soli sacerdoti o religiosi, praticamente di sola origine europea, ma anche da laici e da donne, di differenti origini geografiche… Studi tradizionali e studi «da campo» anche ad intra…]

… al campo di studio

Mi pare che questi «studi da campo» propongano sì una rinnovata alleanza tra soggetti etici, ma anche una rinnovata sfida e alleanza tra «addetti ai lavori» delle differenti discipline del sapere: perché gli «studi da campo» ci stanno sbattendo in faccia l’umanità nella sua complessità, mostrando, appunto, come le esperienze/circostanze a tutto campo forgiano il nostro pensare etico, esibendo «esperienzo-teche», più che «biblio-teche».

La ricerca teologico-morale non potrà più essere un orticello (e non lo era nemmeno prima, si intenda!), ma un campo di studio coltivato con lo stile della interdisciplinarietà e della trans-disciplinarietà. Una questione di metodo, prima ancora che di contenuti.

Un metodo che ha da imparare da questo nostro «abitare diversamente»: connettendomi, pur rimanendo nel mio «studio» (identità) entro nello «studio» (diversità) degli altri, facendomi provocare, interrogare, talora anche stupire. E quando «spengo la connessione» ho sempre qualche provocazione che mi porta a posare uno sguardo nuovo sul mio «studio» (identità dinamica): vado a riprendere in mano un libro – magari impolverato –, a cercare un appunto forse già cestinato, a disseppellire la cartelletta di un convegno…

Studiositas abbracciante, integrante come virtù morale, atteggiamento esistenziale. Penso sia questo il cammino per trovare, quando si potrà e in seguito, non solo una casa, ma tutta un’intera «città da abitare» (Sal 107,4). Diversamente.

 

 

Gaia De Vecchi è insegnante di religione presso l’Istituto Leone XIII e docente presso l’Università cattolica del Sacro Cuore e l’Istituto superiore di scienze religiose a Milano. Fa parte dell’ATISM e del gruppo di redazione di Moralia. Ha scritto Il peccato è originale?, Cittadella, Assisi 2018.

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