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Moralia Blog

Abitare diversamente | La cucina

Dopo aver varcato la porta di casa e aver fatto subito tappa in bagno, eccoci riuniti in un altro ambiente della casa: la cucina.

Grandi pagine e riflessioni sono state scritte circa la cucina: dai suoi simbolismi (il fuoco ad esempio), al suo essere luogo di intreccio tra natura e cultura, al significato religioso del cibo… e anche ai suoi appelli etici. Pure in queste pagine di Moralia abbiamo ricordato, in passato, alcune istanze etiche legate al cibo: dalla sua distribuzione, alla sostenibilità, al digiuno

Ma in questo nostro percorso legato a un «abitare diversamente» vorrei vivere la cucina come luogo di trasformazione.

Regno della trasformazione

La cucina, nelle nostre abitazioni, è il regno della trasformazione: il freddo può diventare caldo e viceversa, quello è duro può diventare tenero, il crudo cotto, l’insipido saporito…

Trasformiamo – il più delle volte – dei gesti semplici quali il preparare da mangiare in arte di attenzione e amore: «Quando si cucina si cucina per qualcuno, altrimenti si sta solo preparando da mangiare», recita uno dei tanti magneti che campeggiano sul mio frigorifero. Affermazione forse un po’ dozzinale, ma che contiene un elemento di verità.

In cucina trasformiamo continuamente, in tensione tra un passato e un futuro, calati nel presente di un pasto vitale che pregustiamo proprio preparandolo, nel presente.

Sì: perché le ricette tradizionali – patrimonio culturale e familiare nel contempo – vengono assunte e riadattate, a gusti e tempi più personalizzati. Gesti antichi e familiari quali il girare un sugo affinché «non attacchi», il mondare gli alimenti, il cuocere si coniugano, nelle nostre cucine, a strumenti più recenti, moderni, tecnologici: dai gesti silenziosi della nonna ho imparato a impastare, ma posso infornare solo in un forno elettrico, non a legna. Le pentole di coccio o di rame sono state ampiamente sostituite da pyrex, acciai e materiali antiaderenti… di conseguenza cambiano tempi di cottura, modalità di conservazione. Tradizione e innovazione sono sempre in tavola con noi.

E trasformiamo alimenti immangiabili da soli – ad esempio alcune spezie – in elementi di gustosità, di sapore, di estro. Di novità.

Dal quando al come

Dagli inizi di marzo 2020 è evidente che qualcosa è cambiato, stia cambiando e cambierà. Molti si chiedono e mi chiedono «quando» finirà questo tempo. Onestamente: non lo so. Ma soprattutto mi interessa poco, mi preoccupa di più sapere «come» stiamo vivendo questa trasformazione in atto e «come» ci stiamo allenando a viverla, fin da ora. Come stiamo già costruendo il «differente» che verrà.

Come in cucina, viviamo un tempo in cui dobbiamo mondare, ovvero un tempo di discernimento per eliminare una serie di situazioni – concause di questa pandemia – che evidentemente hanno mostrato tutti i loro limiti e le loro ingiustizie: un’economia predatoria, una falsa idea di sicurezza, i pregiudizi a vari livelli… E nel contempo valorizzare ed esaltare quei valori necessari e gustosi per l’esistenza. Chiamerei questa prima fase della ricetta «consapevolezza».

Come in cucina dobbiamo assemblare gli alimenti/elementi, tra indicazioni tradizionali e nuovi strumenti, impastando la saggezza degli antichi e la nostra fantasia, la nostra capacità di sguardo differente. E perché no? anche quello scambio di consigli, così necessario in cucina. Chiamerei questa seconda fase della ricetta «responsabilità».

E infine, come in cucina, dobbiamo chiederci per chi stiamo cucinando. Verso quale fine, verso quale umanità, verso quale futuro vogliamo incamminarci? Quali sono i nostri fini, anche intermedi? Chiamerei questa terza fase della ricetta «libertà». Libertà non soltanto da questa pandemia e di scegliere tra opzioni ora vietate. Piuttosto una libertà per, che possiamo esercitare già ora.

Tre alimenti/elementi tradizionali (consapevolezza, responsabilità e libertà) che – in un contesto totalmente inedito – vanno vissuti con una forza e una riflessione rinnovate, perché forse possono aiutarci a masticare, digerire e trasformare questo tempo – immangiabile da solo – in elemento di gustosità, di sapore, di estro. Di novità. Di umanità. Come invito a quel banchetto di nozze che ci narra Mt 22,1-14.

 

Gaia De Vecchi è insegnante di religione presso l’Istituto Leone XIII e docente presso l’Università cattolica del Sacro Cuore e l’Istituto superiore di scienze religiose a Milano. Fa parte dell’ATISM e del gruppo di redazione di Moralia. Ha scritto Il peccato è originale?, Cittadella, Assisi 2018.

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