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Aiuto al suicidio: rafforzare i Comitati etici

Il pronunciamento della Corte costituzionale sul fine vita, relativamente al caso Cappato-DJ Fabo, ha ritenuto non punibile, «a determinate condizioni», chi agevoli l’esecuzione del suicidio, ai sensi dell’art. 580 del Codice penale.

Rispetto a questa indicazione, la Corte indica alcune condizioni, come lo stato di salute del paziente, che sia in grado di prendere decisioni autonome e in modo libero, che sia soggetto a una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa insopportabili, e sia mantenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale.

Inoltre essa rimanda all’applicazione, tutta da verificare, della Legge 219/2017 sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua, meglio conosciuta come «legge sul biotestamento» anche se in realtà tutta la prima parte riguarda il consenso informato e quindi ogni atto medico. La Corte quindi – informa il comunicato stampa della Consulta il 25 settembre – «ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (art. 1 e 2 della Legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Sistema sanitario nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente».

Allargare lo sguardo: gli aspetti etici

Fin qui il pronunciamento assume connotati tecnici, mentre «in attesa di un indispensabile intervento del legislatore» rimanda la palla nel campo del Parlamento per una legislazione in materia. La Corte poi sottolinea che «l’individuazione di queste specifiche condizioni e modalità procedimentali, desunte da norme già presenti nell’ordinamento, si è resa necessaria per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili, come già sottolineato nell’ordinanza 207 del 2018».

Tuttavia, più che entrare nei meandri legislativi per avere risposte etiche, appare necessario allargare lo sguardo, perché un tema complesso, necessariamente transdisciplinare, non può avere risposte univoche.

La polarizzazione ideologico-politica – che diviene anche comunicativa –, che ha accompagnato il dibattito nei casi Welby ed Englaro, sembra prevalere anche nel caso di DJ Fabo, riflettendosi in una (scandalosa) polarizzazione interna allo stesso mondo cattolico.

È compito dei cristiani non sottrarsi al confronto dialogico, ritrovando il sapore del proprio credo oltre e forse contro gli schieramenti ideologico-politici che usano le appartenenze cattoliche per i propri fini, cercando di superare la schizofrenia faziosa per recuperare l’interconnessione del tutto (Laudato si’, n. 117).

Si tratta qui di un intervento sul singolo caso o di un piano inclinato che conduce ormai in modo inarrestabile verso una deriva eutanasica? Se è vero che solo il Parlamento potrà dare una quadratura complessiva al tema, la deriva legislativa cui si assiste in diversi paesi europei appare preoccupante, con l’Olanda che sta discutendo una legislazione sulla «vita completata» e casi simili a quello italiano a tenere banco, pur nella diversità degli aspetti clinici, da Noa a Vincent Lambert.

I problemi assistenziali e previdenziali e il peso finanziario nelle scelte politiche, uniti alla curva demografica, stanno forse giustificando una prospettiva di cultura dello scarto? Lo sbilanciamento sul solo principio di autodeterminazione sta veicolando un’immagine antropologica di uomo perfetto, in una società down-free che scarta chi non è più sano e/o chi non lo sarà mai? Sono domande aperte, non in senso apocalittico, ma come sfide per un dialogo autentico che permetta di rimanere umani.

Il rischio di derive tecnologiche

Senza dubbio infine siamo di fronte a sviluppi talmente accelerati della tecnologia, che essa interroga le scelte etiche dell’uomo, di fronte a casi estremi e non solo. Aumentare la coscienza degli operatori e dei cittadini, fin dalla scuola, sulle conseguenze a lungo termine di azioni proceduralmente giuste è compito più che mai attuale.

L’interrogazione rispetto alla tecnologia richiede uno sforzo ulteriore sul piano etico, con un rafforzamento dei luoghi in cui questo discernimento può essere operato per non rendere la vita umana dispositivo della tecnologia. A questo proposito il comunicato della Consulta fa riferimento al Comitato etico territorialmente competente: questo andrebbe meglio specificato, poiché i Comitati per la pratica clinica esistono solo in alcune regioni, mentre quelli per la sperimentazione clinica, presenti su tutto il territorio nazionale, sono in fase di accorpamento e risentono dell’alto numero di protocolli clinici da vagliare.

Anche in questa direzione non sarà il ricorso tecnico agli organi giudiziari a risolvere casi come quello di DJ Fabo, ma la collocazione di tali questioni entro luoghi appropriati di discernimento etico nella cornice di un’alleanza terapeutica non surrogabile da legge alcuna.

 

Leopoldo Sandonà* è docente di Filosofia-Etica presso la Facoltà Teologica del Triveneto, ISSR Vicenza.

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