Benedizione delle coppie gay: la questione della coerenza
«Per essere coerenti (…) non è lecito impartire una benedizione a relazioni, o a partenariati anche stabili, che implicano una prassi sessuale fuori dal matrimonio (vale a dire, fuori dall’unione indissolubile di un uomo e una donna aperta di per sé alla trasmissione della vita), come è il caso delle unioni fra persone dello stesso sesso. La presenza in tali relazioni di elementi positivi (…) si trovano al servizio di una unione non ordinata al disegno del Creatore».
Apriti cielo!
Tutte le volte che ci si aspetta di sentire ciò che si vuole sentire, e non lo si sente, la delusione è grande. Si sa: chi si illude rischia di rimanere sonoramente deluso. Il caso del responsum pubblicato dalla Congregazione per la dottrina della fede a un dubium circa la benedizione delle unioni di persone omosessuali il 15 marzo 2021, è un déjà vu.
Tuttavia la delusione è sempre viva e, direi, come una ferita che non si rimargina mai, è come un vulcano in attività: la lava non tende ad arrestare la sua discesa. Per essere ancora più incisivi, direi che aver posto un quesito di questo genere alla Congregazione è come essersi rivolti da masochisti a un sadico: che cosa ci si poteva aspettare?
I coerenti e le correnti
Di tutto! È cominciata la corsa agli armamenti. Chi, da una parte, ha tirato in ballo nozioni di liturgia fondamentale, distinguendo i sacramentali dai sacramenti e facendo notare che sarebbe stata una grande occasione per insegnarne la differenza (proprio concedendo la benedizione). Chi, dall’altra, ha riproposto al grande pubblico una lezione di ecclesiologia postconciliare, insistendo sul démodé della massima di Cipriano (extra Ecclesiam nulla salus) e facendo notare l’occasione mancata per una missiologia rinnovata. Chi, inoltre, ha rilanciato la centralità della s. Scrittura, sottolineando di questa centralità quella dei Vangeli nella s. Scrittura, al fine di bacchettare coloro che affogano nella dottrina e perdono di vista il legno della fede su cui poter galleggiare, l’unica che sembra aver avuto a cuore il Nazareno nel suo peregrinare. Chi, infine, ha pensato di andare al sodo, ritenendo che così facendo la Chiesa perde l’occasione di sottolineare il bene lì dove c’è, sciupando una possibile lezione (di) morale agli uomini e alle donne di questo nostro tempo in piena diaspora cristiana.
Queste le principali correnti. Ma dove sono coloro che avrebbero potuto chiarirsi e chiarire meglio il responsum concentrandosi sulla «coerenza»? Non è un caso che nel giudizio si legga: «per essere coerenti…». Coerenti a che? Risposta: «in funzione dei disegni di Dio iscritti nella Creazione e pienamente rivelati da Cristo Signore» (corsivi miei). Come a dire: discorso chiuso. Ma non per la teologia morale. Al contrario, è qui che va individuato un guado per avanzare un pochino.
Dimmi di quale rapporto si tratta, e ti dirò se sono d’accordo
Il teologo moralista – credo – deve rimanere concentrato e offrire il suo sapere e il suo studio, di fronte al quesito/questione del genere, solo su questa domanda: di che rapporto si tratta quando il giudizio secondo cui un’azione è moralmente buona (le relazioni stabili) è logicamente dipendente dal giudizio secondo cui quella stessa azione possiede delle caratteristiche (unione di un uomo e una donna aperta di per sé alla trasmissione della vita)? Di implicazione? Di identità?
Dicendo che c’è un collegamento, non si è ancora detto nulla se non si è in grado di specificare quale esso sia.
Possiamo distinguere un significato descrittivo dell’espressione «unioni cristiane» (degne di benedizione), che è quello che equivale a sapere o informare sui criteri con i quali ci si esprime mediamente quando si dice: quell’unione è degna di essere benedetta (è cristiana), da un significato valutativo, che è quello che equivale a esprimere una lode (o un biasimo) che è sempre da calibrare sul bilanciamento tra valori e disvalori che si realizzano a partire dalle possibilità che si hanno (se è vero il detto: ad impossibilia nemo tenetur).
La ragione per cui quando si dice che quell’unione è buona la si identifica con «è degna di benedizione» sta nel fatto che coloro che lo dicono sono coerenti con i criteri che usano. Solo in questo caso «essere un’unione degna di benedizione» ha un significato descrittivo.
Siamo di fronte, cioè, a una cristallizzazione di principi appresi con la conseguenza che «criteri» e «significato» della parola buono sono la stessa cosa (rapporto di identità). E che con l’avere avuto l’informazione intorno ai criteri in base alla quale la parola «buono» viene applicata, si crede di aver imparato il significato della parola «buono».
Ciò che bisogna re-imparare, invece, è distinguere che una cosa sono i criteri e un’altra cosa è il significato, e solo così poter ridiscutere la possibilità che si verifichi l’ipotesi che uno usi la parola avendo piena consapevolezza del suo significato, ma la applichi erroneamente per un’acritica assunzione di criteri (rapporto di implicazione).
È chiaro che, finché il giudizio valutativo: «quella unione lì è una buona unione (degna di benedizione)» si identifica con i criteri noti, la distinzione non si pone e le espressioni «quella unione lì è una buona unione» e «quella unione lì non può non essere eterosessuale e aperta alla vita» risulteranno sempre equivalenti, generando tutte le correnti e le controcorrenti del caso.
Verso una disclosure
Per evitare che l’espressione «deve essere in quel modo l’unione per essere degna di benedizione» significhi semplicemente «deve essere ciò che deve essere» ovvero non significhi nulla, perché non poniamo la domanda: ma veramente un’unione deve essere ciò che deve essere (per essere degna di benedizione) oppure si può anche lodarla qualora cambiasse qualche criterio?
La domanda si giustifica solo in forza di un disaccordo che si ingenera con i criteri accettati e che rende possibile la differenza tra le due espressioni sopracitate che sono equivalenti. Allora, non sono in discussione i valori della differenza sessuale e della generatività, ma neanche sono la conclusione.
Pietro Cognato insegna Teologia morale e bioetica presso la Facoltà teologica di Sicilia, l’Istituto di studi bioetici S. Privitera e la Facoltà di servizio sociale – LUMSA. Tra le sue opere Fede e morale tra tradizione e innovazione. Il rinnovamento della teologia morale (2012); Etica teologica. Persone e problemi morali nella cultura contemporanea (2015). Ha curato inoltre diverse voci del Nuovo dizionario di teologia morale (2019).