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Moralia Blog

Bolle in rete

Trivella sì trivella no? Nel tempo del knowledge sharing, la conoscenza condivisa in rete, niente di più immediato che un giro sul web per farsi un’idea. Peccato che spesso l’idea che ci andiamo costruendo sia quella che abbiamo già in mente, o la stessa di coloro con i quali già condividiamo opinioni e luoghi di approfondimento.

Bolla di filtraggio

Questo perché – osserva Eli Pariser in The filter bubble (2011) – accedendo alla rete siamo circondati da una “bolla di filtraggio”, come un “ecosistema d’informazioni” che ci protegge e imprigiona allo stesso tempo, evitandoci deviazioni incoerenti rispetto a chi vogliamo essere, e costringendoci a frequentare e apprezzare per lo più le prospettive affini alla nostra. Acque di navigazione più simili allo stagno, chiuso e asfittico, dei nostri gusti e delle nostre opinioni, che non a un mare aperto in cui la rotta può giungere ad approdi anche inattesi.

C’è poco da fantasticare insomma se, ogni volta, il soggetto incontra – in base alla memoria ceduta ad altri delle proprie precedenti ricerche, acquisti, scambi di opinioni – il “suo” mondo e solo quello. Così, acquistando su Amazon, riceviamo altri consigli “intelligenti” che sfruttano il filone d’interessi; sondando una possibile meta di viaggio, ci troviamo marcati da offerte last minute in quella direzione; amici e gruppi di Facebook ci vengono suggeriti per affinità delle nostre mappe fisiche e mentali. Anche firmando una petizione su Avaaz – di cui curiosamente lo stesso Pariser è cofondatore –, finiamo per essere costantemente richiesti di salvare proprio quella fetta di mondo per cui sembriamo avere più cuore.

Gli effetti critici di questo ecosistema informatico “a bolle” sono evidenti. Intanto per ciò che attiene ai soggetti in quanto consumatori: facilitati, sì, nel loro ruolo poiché liberati dal peso di doversi confrontare con il mondo sterminato delle possibili offerte, ma sottoposti a un’induzione ai consumi che fa leva su gusti e bisogni ben identificati, e grazie a operazioni semplici e veloci determina una propensione all’acquisto non sempre capace di valutare la reale necessità del bene. Che poi desideri e propensione ai consumi divengano anche dati cedibili a terzi in forma di merce, costituisce un rilievo di non poco conto in termini di antropologia economica.

Un punto di vista etico

In quanto cittadini e credenti, poi, l’acquisizione d’informazioni e il confronto di idee in rete si consolida intorno a determinate fonti e luoghi del web, ostacolando l’assunzione di punti di vista differenti e il dialogo con essi. L’etica del discorso di Jurgen Habermas – con la sua “giustizia” comunicativa che è ascolto delle tesi altrui e disponibilità a ritirare le proprie se false o inadeguate – cede invece il passo a un confronto costante e sempre più automatico con fonti orientate nello stesso senso di chi le consulta. Fino agli estremi di chi elegge inconsapevolmente a proprio pane quotidiano i siti di “bufale”, nati per indurre un forte coinvolgimento emotivo nell’informazione, specie su tematiche che amplificano ostilità ideologiche anziché favorire dialogo ed empatia.

Di qui una diffusa incapacità di comunicare, se non per confortare il proprio odio con quello altrui verso un nemico comune, edificando modi di vedere e forme del credere che si rinforzano vicendevolmente, perdendo enormi quote di capacità riflessiva e autocritica, e tollerando un’escalation di estremizzazione di posizioni entro circuiti autoreferenziali. Questa forma di povertà è tanto più immorale quanto più consolida e rafforza l’iniziale disparità culturale, in termini di strumenti critici che ciascun soggetto possiede.

Il rischio che i navigatori non solo non diventino santi sul web, ma nemmeno poeti, smarrendo le sfumature che connotano emozioni, ragionamenti e decisioni morali, deve pertanto suonare come un’emergenza educativa che – per certi versi – è quella di sempre, ossia la necessità di insegnare e testimoniare la capacità di ascolto, di dialogo argomentato e riconoscimento della posizione altrui.

Per altri versi invece invoca competenze specifiche di discernimento critico delle fonti, di comprensione dei testi e di verifica dei dati acquisiti, che solo percorsi mirati e tecnologicamente significativi possono conferire. La stessa comunità cristiana, attraversata anch’essa da dibattiti i cui toni – dai forum alle discussioni sinodali – non sempre sono dialogici, incontra qui un nuovo terreno di evangelizzazione e di ricostruzione di un tessuto comunitario.

Occorre contenere le pulsioni distruttive e favorire uno stile di accoglienza e confronto mediatici, consentendo una più positiva percezione reale di sé, dell’altro e della loro comune vicenda nel mondo.

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