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Chiesa italiana: se la sinodalità ha un’etica

Un cammino sinodale: questo ha prospettato papa Francesco per la Chiesa italiana nel suo intervento di apertura dell’Assemblea generale della CEI, il 20 maggio. Lo ha fatto ricordando il deciso richiamo in tal senso che lui stesso aveva lanciato nel 2015, nel suo potente intervento al Convegno ecclesiale di Firenze, evidenziando indirettamente quanto distanti siamo ancora da una sua efficace recezione.

E anche il card. Bassetti il giorno successivo ha ripreso il tema, indicando nella sinodalità «la modalità con cui portare avanti corresponsabilità e processi decisionali (…) il nostro metodo di vita e di governo, secondo la doppia modalità – sottolineata dal papa – dal basso in alto e dall’alto in basso».

Una parola potente

Sinodalità è parola potente per la riflessione sulla Chiesa. Già sul piano etimologico, infatti, dice di un «camminare assieme», di una «via comune» (syn-odos), di una realtà che è costitutiva di un’esperienza ecclesiale declinata nel segno della comunione.

Non a caso proprio alla sinodalità ha dedicato nel 2017 un importante documento la Commissione teologica internazionale, e su di essa si è riflettuto proprio in questi mesi sia presso la Facoltà teologica del Triveneto sia all’Istituto di studi ecumenici «San Bernardino».

Le stesse modalità di preparazione del Sinodo sull’Amazzonia hanno suscitato forte interesse in tal senso, con un documento preparatorio che s’interroga in profondità sulle dinamiche socio-ecologiche di tale area, ma che esamina pure – e con soluzioni potenzialmente innovative – grandi questioni ecclesiali.

Dinanzi a sfide di tale portata e di tale complessità emerge cioè l’esigenza di convocare le diverse componenti della comunità ecclesiale per un discernimento attento e articolato, per un ascolto di una pluralità di voci in vista della ricerca di vie di soluzione.

Non si tratta solo di scelte di policy: è in gioco la percezione di una situazione di crisi, che interpella l’esserci stesso della Chiesa in un contesto specifico, ma che ha pure rilevanza per la sua presenza in un orizzonte globale.

In Italia?

Non stupisce allora che di sinodo si torni a parlare anche per la Chiesa italiana; la proposta era già risuonata nei giorni immediatamente successivi al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze 2015, ed è stata rilanciata recentemente sulle pagine de Il Regno dallo stesso direttore, Gianfranco Brunelli.

A motivare tale proposta egli proponeva una lettura dei segni dei tempi che evidenziava quanto necessario fosse un ripensamento della presenza ecclesiale in Italia, perché essa possa continuare a essere testimone fedele del Vangelo di Gesù Cristo.

E anche gli ultimi mesi non hanno fatto che evidenziare l’urgenza di una tale istanza, in una situazione in cui la carità e la cura – perni importanti della presenza ecclesiale italiana, ma prima ancora della vita civile – vengono duramente attaccate, fino a prospettare situazioni in cui esse sarebbero perseguibili penalmente.

C’è dunque anche un’etica civile forte e intensa ad animare tale proposta, che esige attenzione e riflessione, che domanda un salto di qualità.

La sfida infatti è radicale: essa rivela quanto profonda e pervasiva sia quella seconda secolarizzazione cui già facevamo riferimento in un post precedente; quella che vede in alcune componenti della cultura della post-modernità il passaggio dall’abbandono di Dio in nome dell’affermazione di valori umani alla dimenticanza degli stessi valori (fatta magari pronunciando – strumentalmente – il nome di Dio).

Né possiamo dimenticare la sfida altrettanto drammatica posta dai temi ambientali: il contrasto al mutamento climatico esige un impegno alto e condiviso – un’alleanza per la terra –, di cui al presente non c’è alcuna traccia.

Non si tratta allora di rivendicare nostalgicamente forme ecclesiali e culturali che sono passate, ma di chiedersi come collocarsi in modo attivo e propositivo in questo contesto mutato – caratterizzato da contraddizioni così profonde – abitandolo con uno sguardo rivolto al futuro.

Fa rima con corresponsabilità

Certo la sfida è impegnativa, per una comunità che non sempre è avvezza a praticare uno stile di sinodalità – a livello di pratiche, ma prima ancora a livello di spiritualità e di etica –.

La sinodalità è la forma di una comunità che vive attivamente a ogni livello la corresponsabilità, per la propria esistenza e per il contesto civile in cui si colloca.

Non a caso papa Francesco e il card. Bassetti hanno sottolineato come essa debba attivarsi dal basso e dall’alto, in una dinamica multidimensionale e pervasiva.

C’è bisogno di reciproco ascolto, di attenzione e accoglienza, di valorizzazione di una pluralità di competenze e di sensibilità, di una convocazione di energie e potenzialità che troppo spesso restano disperse; c’è un ethos ecclesiale da rinnovare e trasformare per essere anche in questo tempo al servizio di questa terra.

Una sfida non facile, insomma, ma che si può e si deve vincere.

 

Simone Morandini è coordinatore del progetto «Etica, teologia, filosofia» della Fondazione Lanza e insegna all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia; è coordinatore del blog Moralia.

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