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Moralia Blog

Etica teologica | Camminare insieme, ma per quale via?

«Dico che il santo è ciò che faccio io adesso: intentare accusa contro chi commette ingiustizia rendendosi colpevole o di omicidio o di furti sacrileghi o di qualche altra azione del genere… Guarda, Socrate, quale importante prova ti darò… Zeus il migliore e il più giusto tra gli dèi [si ritiene] abbia incatenato il proprio padre perché ingiustamente divorava i figli» (Platone, Eutifrone, 5d 8 - 6a 1)

Quando il giusto è (sacro)santo!

Quante volte usiamo l’espressione di questo tipo: questa cosa è sacrosanta! Il significato è molto chiaro: sacrosanto è sinonimo di giusto, anzi di giustissimo (a volte le forme più vicine al gergo rendono di più).

E visto che si tratta di un superlativo, la risposta è altrettanto superlativa, cioè insuperabile come a dire: rispondi così e non sbagli! E la risposta è presto detta: intentare adesso una causa contro un’azione ingiusta. Ma se chi risponde così non si sbaglia, risponde comunque correttamente o non risponde affatto?

Abbinare non è sempre un buon binario

A ouverture di questa nuova avventura riflessiva teologico-morale in Moralia mi piace porre l’attenzione sull’avverbio (adesso) e sulla proposizione che segue all’avverbio (essere contro l’ingiusta azione). Avverbio e proposizione costituiscono la risposta che si arroga la pretesa di essere definitiva alla domanda: «cos’è giusto?». «Adesso» inteso come «sempre» ed essere «contro l’ingiustizia» intesa come soluzione per essere giusti è l’abbaglio di avere trovato la risposta corretta già nella convinzione del personaggio Eutifrone che, nell’omonimo dialogo platonico, dà l’abbrivio alla prima delle tante tappe di un percorso riflessivo che sembra non giungere mai a conclusione da quando Platone, tramite il suo maestro Socrate, ha messo a tema l’intreccio disastroso tra visione etica e visione religiosa, allorquando la seconda voglia fagocitare o assorbire la prima e allorquando la prima voglia surrogare, in assenza di un proprio nucleo identitario, la seconda.

Che cosa c’è in gioco in questo gioco di equilibri? La questione è sempre attuale e non è monopolio dei filosofi porsi un problema di questa portata, ma dovrebbe essere anche sfida per i teologi che sono, più dei filosofi, tentati di chiudere la partita adducendo come prove di certe azioni ritenute giuste una serie di singoli esempi provenienti dal «mondo del santo», come se singoli esempi di santità fossero sufficienti a suffragarne i contenuti. Ammesso che il problema fosse in una certa maniera illuminato dall’indicare singoli esempi presi dal mondo religioso (come fa Eutifrone quando allude a Zeus), il problema che rimane è quello di sapere quale sia la forma di santità per la quale tutte le azioni considerate sacrosante (giuste) siano veramente tali.

La forma in-forma

Occorre cioè – ed è la grande sfida a cui alludo – stabilire quelle nozioni generali che nella varietà dei casi permangono sempre identiche.

Socrate continua a essere in questo senso un ottimo maestro quando insiste sul fatto che non vorrebbe sapere quali azioni siano sante (giuste), ma cos’è e se c’è quel paradigma (forma o teoria) per la quale tutte le azioni sante (giuste) sarebbero tali.

I cristiani, a volte, come tanti Eutifroni, si accontentano di dire che quanto è santo è caro a Dio senza aggiungere un semplice ma destabilizzante punto interrogativo, l’unico che fa ripartire la questione: E cos’è che è caro a Dio? Punire chi abbia ucciso qualcuno ingiustamente o chi abbia trafugato ciò che non è suo? Certamente! Ma chi non sarebbe d’accordo su questo? Non è sull’accordo che bisogna lavorare energicamente al servizio della comunità cristiana, e non solo, ma sul disaccordo riguardo a ciò che giusto e non giusto, e – credo di non sbagliarmi – nessuno è in disaccordo sull’intentare una causa contro un’azione ingiusta, perché se ciò corrisponde all’essere caro a Dio ed essere caro a Dio è ciò che è giusto, non tutti sono d’accordo su ciò che è giusto e non giusto.

La verità è che ciò di cui nutriamo dubbi non è che ciò che è giusto è caro a Dio, ma quale azione sia ingiusta e quando lo sia e fintantoché ci si limita a ripetere che quell’azione è giusta perché è cara a Dio, non abbiamo detto ancora nulla di quale azione si tratti. Dunque, il disaccordo persisterà su quale sia giusta e quale non lo sia.

Un sassolino per ritrovare la via

La prima grande lezione che mi sento di trarre per la Teologia morale è che andrebbe ben tematizzata la distinzione tra opinioni morali sostantive e tesi in base a considerazioni logiche o, in termini più immediati e semplici, tra giudizi morali e teoria morale generale. Mi congedo momentaneamente con una domanda: quanto apprendiamo dal magistero, soprattutto per quanto concerne alcuni dei dilemmi morali oggi in auge, non potrebbe essere un buon punto di partenza per assumere i giudizi morali ivi formulati come un test per saggiare la bontà della teoria morale generale? Magari scopriamo di non avercela oppure di forzarne le regole di ragionamento morale per tenere in piedi certi giudizi.

 

Pietro Cognato insegna Teologia morale e bioetica presso la Facoltà teologica di Sicilia e l’Istituto di studi bioetici S. Privitera. Tra le sue opere Fede e morale tra tradizione e innovazione. Il rinnovamento della teologia morale (2012); Etica teologica. Persone e problemi morali nella cultura contemporanea (2015). Morale autonoma in contesto cristiano (2021). Ha curato inoltre diverse voci del Nuovo dizionario di teologia morale (2019).

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