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Moralia Blog

Il pianto: così umano, così divino

Perché si piange? Perché passioni, emozioni, sentimenti di vario genere fanno lacrimare i nostri occhi? Le lacrime sono tutte uguali? Da che cosa sono composte le lacrime? Perché si piange quando si taglia una cipolla o quando si ride troppo? Perché le donne piangono più degli uomini? Perché ci si sente meglio dopo aver pianto?

Si piange per vari motivi. Si piange di tristezza o di dolore per la perdita di una persona cara, perché è finita una storia d’amore, per essere stati abbandonati o per aver ricevuto una brutta notizia; si piange di gioia per la nascita di un figlio o di sorpresa quando giunge una notizia inaspettata; si piange di delusione o rabbia per aver subito un torto da chi non ce lo saremmo mai aspettato; si piange quando si è sopraffatti da stress o dolore fisico.

Piangere è un’esperienza che attraversa ogni tempo e ogni cultura. La vita di ogni persona, nelle sue diverse stagioni, è quasi sempre accompagnata dal pianto, che scandisce i momenti più particolari e significativi dell’esistenza umana. Piangere è un’esperienza eminentemente personale e per certi versi incomunicabile, che fa parte del vissuto più che del pensato e, pertanto, per comunicare e descrivere questa esperienza è più congeniale utilizzare un linguaggio narrativo e simbolico piuttosto che concettuale e razionale.

Nessun gesto, nessuna parola, nessuna espressione del volto esprime l’umano più delle lacrime che narrano, in un linguaggio fluido, particolari esperienze vissute nella propria carne, le più radicali esperienze umane.

Le lacrime sono tutte diverse

La dacriologia (dal greco dakryon) è la disciplina che studia le lacrime. Esse vengono divise in basali, che inumidiscono e lubrificano gli occhi; riflesse, che scaturiscono da reazioni fisiologiche in risposta alle irritazioni al fine di eliminare eventuali corpi estranei; ed emotive, provocate da emozioni intense o stress psicologico e molto più ricche di sostanze.

Guardando e studiando le lacrime al microscopio si può notare che hanno una differente composizione chimica e forme diverse, ossia differenti caratteristiche fisico-chimiche e una diversa topografia. Ogni lacrima è una specie di microcosmo di esperienza umana. Le lacrime basali sono profondamente diverse da quelle che versiamo quando sbucciamo una cipolla, e quelle che scaturiscono dopo forti risate non sono assolutamente paragonabili alle lacrime di dolore.

Le lacrime emotive posseggono un alto contenuto proteico, che le rende più viscose e visibili agli altri, aderiscono più perfettamente alla pelle e scendono sul volto più lentamente, diventando così un mezzo per comunicare i nostri stati d’animo; esse hanno, pertanto, la capacità di stabilire empatia, legami, comunione. Questa tipologia di lacrime mostra agli altri che siamo vulnerabili, e la vulnerabilità è fondamentale per alimentare l’amore e il legame sociale.

Lacrime nella Bibbia e nella liturgia

Nella sacra Scrittura le lacrime non sono mai cristallizzate, sono gocce in movimento – dal basso verso l’alto che evocano sempre l’Oltre. Rinviano alla meravigliosa certezza che Dio le raccoglierà: «Nel tuo otre raccogli le mie lacrime: non sono forse scritte nel tuo libro?» (Sal 56,9).

«Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza» (Sal 80,6): il mangiare e il bere – incarnazione dei sapori della vita – diventano per il salmista sintesi simbolica della nostra fragile esistenza.

Tematizzare l’immagine del «pane di lacrime», di questo cibo insolito, significa svelarne l’importanza spirituale. È il luogo teologico in cui Dio s’infrange, si dice e si mostra nella sua vicinanza all’uomo, nella sua scandalosa compromissione con il suo destino: «Prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: Prendete e mangiate: questo è il mio corpo» (Mt 26,26).

Nel Talmud, il movimento delle lacrime è dall’alto verso il basso: Dio versa ogni giorno le sue lacrime su chi potrebbe approfondire lo studio della Torah, ma non lo fa; su chi la Torah cerca di conoscerla malgrado una situazione di estrema difficoltà, cioè l’esilio; infine sulla prepotenza dei capi del popolo nei confronti dei deboli. Nei Vangeli Gesù piange più volte.

Nella liturgia le lacrime compaiono soprattutto nelle orazioni, e descrivono la commozione per la perdita di un caro o il pentimento per i peccati compiuti. Linguaggio silenzioso, esprimono la gioia della presenza del Signore così come l’angoscia per la distanza da lui: sono il rito e grido muto dell’uomo fragile.

È urgente, dunque, creare una liturgia «vulnerabile per i più vulnerabili» (P. Tomatis). Le nostre assemblee si compongono di vulnerabilità specifiche: pianti silenziosi di anziani, gemiti assordanti di neonati, lamenti di dolore o lacrime di gioia dei deboli nella fede: gli ospiti fugaci ma commossi di un rito delle esequie o di un matrimonio.

Nel contesto liturgico, «prima i praticanti» non è uno slogan spendibile. Le nostre assemblee devono accogliere, integrare anche le lacrime dei «clandestini». Perché un’assemblea cristiana è per vocazione comunità lacrimale.

 

Salvatore Cipressa è segretario nazionale dell’ATISM. Giuseppe Pani è docente di Teologia morale nell’ISSR Sassari-Tempio Euromediterraneo. Sono autori di Piangere (Cittadella, Assisi 2019).

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