Iniziare processi o processare le iniziative?

Spigolare uno o più dei tanti passaggi di carattere etico della produzione magisteriale di papa Francesco ci incoraggia a non poter negare che egli non abbia affrontato, se non con indicazioni generalissime, questioni scottanti.
Il fattore Bergoglio
In tutti i suoi interventi emerge, infatti, e si impone, soprattutto, una scarsa preoccupazione a richiamare e difendere l’oggettività della morale; tuttavia, c’è sovente un’attentissima comprensione della singolarità della persona, della sua condizione, dei contesti nei quali vive e dei passi che può fare.
Da qui segue il tormentone che sintetizza il fattore Bergoglio: «dalla legge alla coscienza», «dalle norme generali al caso». Legge, coscienza, norme, casi sono le paroline che da una parte siglano l’interruzione di una guerra culturale ingaggiata dal papato nel secolo scorso, dall’altra caratterizzano in maniera squilibrata l’intima relazione tra annuncio del Vangelo e insegnamento etico, il che potrebbe essere molto problematico, soprattutto in ambito pastorale.
Di che fattura è questo fattore
Questo tormentone – legge, coscienza, norme, casi – in un andirivieni da capogiro ammalia, ipnotizza, avvicina, disarma e permette a molti di salutare il magistero morale di Francesco come l’inizio di una nuova morale o la fine della morale tradizionale.
Sosteniamo che proprio i termini di questo tormentone celano una sottostima della riflessione etica, che è sempre duplice: teoretico-pratica e pratico-pratica. Non basta, cioè, una ragione «pratico-pratica», per esempio la prudenza come virtù cardine di un discernimento, per risolvere le questioni, senza una ragione «teorico-pratica», come una teoria morale generale capace di rendere ragione dei casi e delle soluzioni a essi date, atta a formulare domande irrinunciabili, come la seguente: quando sembra che tutto possa essere risolutivo nel passaggio «dalla legge alla coscienza», di fatto non sarebbe opportuno far notare che la parolina «coscienza» si colloca su più livelli di significato? Ma ancora: questa regoletta può essere disattesa se a parlare e a scrivere è il papa?
Le norme sono mutate?
Invitiamo il lettore a leggere il n. 10 della lettera Misericordia et misera, che scegliamo solo perché sappiamo quanto papa Francesco abbia fatto della «misericordia di Dio» e della «miseria umana» un crocevia del suo magistero.
In esso il papa parla del ministero della confessione e se il lettore lo leggesse come un foglietto illustrativo d’istruzioni, rischierebbe di travisare pensando che si trovi davanti a un totale mutamento delle norme. Al contrario, se il lettore tenesse in debita considerazione quelle domande suddette, il rimando continuo alla coscienza si presenterebbe più come un progetto tutto ancora da realizzare. Altro che un foglio illustrativo di istruzioni!
In questo numero infatti risulta evidente, previa considerazione sulla semantica polivalente dei termini, come le questioni normative, sia teoriche che pratiche, rimangano «sfocate» rispetto a quello che il papa invece vuole «focalizzare», ovvero l’atteggiamento del confessore e il primato del penitente, dunque della persona, di ogni persona. Il fraintendimento, a cui alludiamo e che è sempre dietro l’angolo, si traduce nel comprendere queste affermazioni, o la maggior parte delle affermazioni del papa in altri suoi scritti, sempre in chiave di mutamento delle norme. Cosa tanto costante nel giudizio sull’operato del papa quanto disastroso.
Magistero papale e ministero teologico-morale
Il teologo moralista rispetto agli interventi di papa Francesco può svolgere bene il suo ministero se insegna a distinguere con cura la dimensione interiore, luogo dell’inveramento della qualità morale del soggetto, dalla dimensione esteriore, luogo dell’inveramento delle azioni compiute, e relativamente a quest’ultima le domande di natura intellettiva rispetto a quelle di natura volitiva.
Alla luce di questa batteria di «capitale distinguo», allora, il rimando alla parola «discernimento» oppure «coscienza», per gridare alla soluzione o dissoluzione dell’intervento, è fuorviante. La comunità cristiana, aiutata e sostenuta dai teologi, dovrebbe tenere a mente in tutte le sue sfaccettature – sempre se i processi innescati da papa Francesco non verranno chiusi in futuro – un «passaggio» a cui papa Francesco ci ha richiamato così spesso.
Il passaggio è questo: un conto è essere più o meno buoni, più o meno cattivi, e ciò dipende da noi, dalla nostra libertà, ed essendo poi la qualità morale del soggetto un atto interiore, che non si vede, nessuno lo può giudicare, valutare dall’esterno; un conto è essere più o meno adulteri, più o meno ladri, più o meno omicidi. I conti non tornano più perché in riferimento a quanto la persona riesce a realizzare nella sua vita, non può più valere la legge del «più o meno», perché ovviamente ciò dipende da noi, ma non solo da noi, ma dipende anche da altri fattori.
E tutto ciò non si risolve nel sostenere che, a volte, papa Francesco ha contemplato norme con eccezioni e a volte no, perché non avremmo scampo nel dover giudicare papa Francesco ora un innovatore ora un tradizionalista. Se, invece, intendiamo l’insistenza del papa sul «singolo caso» come un primo e timido tentativo di risolvere i problemi sostenendo che, se un caso presenta conflitto, il problema va sempre analizzato e risolto in base alle conseguenze positive o negative, ai valori o disvalori che l’azione produce, potremmo affrancarci dalla logica delle «eccezioni» rispetto a una norma stabilita a priori.
Qui la discussione si dovrebbe approfondire per comprendere che cosa si intenda per «intrinsece malum», visto che in Dignitas infinita papa Francesco sembra aver ingrossato le fila di questa fattispecie rispetto a quanto già di essa conoscevamo in Evangelium vitae di Giovanni Paolo II.
Per una chiave di lettura
Sono convinto che la vera rivoluzione «nascosta» di papa Francesco – se c’è – è l’introduzione della casistica nel campo della morale sessuale e familiare, che finora è sempre stato monopolizzato dagli argomenti del «contro natura» e della «mancanza di permesso».
La nota dolente però, che rallenterà questo processo, che ormai è avviato, e che diventerà appiglio per molti detrattori della casistica, sarà proprio un’infelice espressione dello stesso papa: «insopportabile casistica» (Amoris laetitia n. 304). Perché il papa incoraggia a prestare attenzione al «caso» e poi liquida così la casistica? Quante idee di casistica aveva in testa papa Francesco? Proviamo a rispondere molto estemporaneamente, dicendo che il papa ha preferito affrontare il problema indirettamente, non a partire dalla dottrina, ma dalla prassi, e cioè sollecitando soprattutto i pastori a muoversi in due direzioni:
– Anzitutto, in direzione di una casistica di tipo morale e non giuridico, attenta al rispetto della coscienza, anche della coscienza erronea. Che certo va illuminata, ma non sostituita!
– In secondo luogo, in direzione di una prassi pastorale che non perda di vista che l’avvertenza sia sempre «piena» e il consenso sempre «deliberato». Di fatto non è sempre così, ma non perché non si conosca la «materia», la legge o norma generale, ma perché o manca una consapevole e libera responsabilità oppure una libertà consapevole e responsabile. Di qui il severo monito del papa: «È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano» (Amoris laetitia, n. 304). Come a dire: il discernimento pastorale impegna sì a verificare «se l’agire di una persona risponda o meno a una legge», guai però a dimenticare che ciò «non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano».
Auspicio
Valga la pena, allora, iniziare a faticare per evitare di trastullarci rincorrendo a vuoto affermazioni apparentemente risolutive. Tante sono le dichiarazioni di principio, seminate qua e là nel magistero di papa Francesco, e tutte vanno «processate» per evitare di finire di processare le aperture e di perdere di vista le aperture di processi forieri di grazia.