La dignità umana è uguale per tutti. Oppure no?

Se ci guardiamo intorno, notiamo come oggi la dignità delle persone venga calpestata in vari modi e a vari livelli. Tutto questo dipende dal concetto di persona, che non viene da tutti inteso allo stesso modo; non tutti gli danno la medesima rilevanza e valenza normativa.
Il concetto di persona invece ha un peso decisivo, da cui dipende il riconoscimento della dignità umana e dei suoi fondamentali diritti. Purtroppo non a tutte le persone vengono riconosciuti la stessa dignità e i medesimi diritti.
Papa Francesco, nella lettera enciclica Fratelli tutti, ha affermato: «Molte volte si constata che, di fatto, i diritti umani non sono uguali per tutti. (…) “Persistono oggi nel mondo numerose forme di ingiustizia, nutrite da visioni antropologiche riduttive e da un modello economico fondato sul profitto, che non esita a sfruttare, a scartare e perfino a uccidere l’uomo. Mentre una parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati”. Che cosa dice questo riguardo all’uguaglianza di diritti fondata sulla medesima dignità umana?» (n. 22).
Le diverse concezioni della persona
Oggi permangono visioni antropologiche riduttive, che negano il valore e la dignità della persona umana e giungono a considerarla semplicemente come mezzo e non come fine in sé, contrariamente a quanto afferma l’imperativo categorico kantiano: «Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo». La persona non ha mai un valore funzionale, ma possiede sempre un valore trascendente mai subordinato a qualche altro fine. Il concilio Vaticano II afferma chiaramente: «Principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana» (Gaudium et spes, n. 25).
Oggi non solo si fa distinzione tra persone di serie A e persone di serie Z, ma si arriva addirittura a distinguere tra persona ed essere umano, ritenendo che si possa appartenere alla specie umana senza essere ancora persona o senza essere più persona. Pertanto il feto e il neonato (in quanto non ancora giunti al loro pieno sviluppo), l’anziano e il malato terminale (per le patologie di cui sono vittime) non avrebbero lo stesso diritto alla vita della persona adulta e sana.
Questa concezione funzionalistica della persona, che l’identifica unicamente con le sue attività e la definisce a partire da certe sue operazioni ritenute particolarmente qualificanti come l’autocoscienza o la capacità relazionale, conduce inesorabilmente ad attuare la logica dello scarto.
Nella visione funzionalistica, propria dell’etica e della bioetica laica, un individuo diventa persona gradualmente e gradualmente cessa di esserlo. A questo gradualismo della persona viene fatto corrispondere un gradualismo dei diritti.
La concezione sostanzialistica, propria dell’etica e della bioetica cattolica, invece, pensa alla persona con categorie ontologiche e la definisce a partire dalla sua essenza o natura. Il carattere personale, inscindibile dall’identità biologica umana, sussiste anche in assenza di autocoscienza o di relazioni interpersonali. Secondo quest’ultimo approccio esiste un primato della persona rispetto alle sue operazioni, cosicché la persona è presente anche in mancanza di esse.
Verso un rispetto incondizionato della dignità umana
Il Dicastero per la dottrina della fede nella dichiarazione Dignitas infinita, nel chiarificare il concetto di persona e di dignità, afferma: «Ancora oggi si osservano numerosi fraintendimenti del concetto di dignità, che ne distorcono il significato. Alcuni propongono che sia meglio usare l’espressione “dignità personale” (e diritti “della persona”) invece di “dignità umana” (e diritti dell’uomo), perché intendono come persona solo “un essere capace di ragionare”. Di conseguenza, sostengono che la dignità e i diritti si deducano dalla capacità di conoscenza e di libertà, di cui non sono dotati tutti gli esseri umani. Non avrebbe dignità personale, allora, il bambino non ancora nato e neppure l’anziano non autosufficiente, come neanche chi è portatore di disabilità mentale.
La Chiesa, al contrario, insiste sul fatto che la dignità di ogni persona umana, proprio perché intrinseca, rimane “al di là di ogni circostanza”, ed il suo riconoscimento non può assolutamente dipendere dal giudizio sulla capacità di intendere e di agire liberamente delle persone. […] Solo riconoscendo all’essere umano una dignità intrinseca, che non può mai essere perduta, è possibile garantire a tale qualità un inviolabile e sicuro fondamento. Senza alcun riferimento ontologico, il riconoscimento della dignità umana oscillerebbe in balìa di differenti ed arbitrarie valutazioni. L’unica condizione, dunque, per poter parlare di dignità per sé inerente alla persona è la sua appartenenza alla specie umana, per cui “i diritti della persona sono i diritti dell’uomo”» (n. 24).
In conclusione, ogni essere umano è persona e possiede una dignità infinita e inviolabile, una dignità ontologica, fondata nel suo stesso essere, corrispondente alla natura umana. In qualunque situazione esistenziale si venga a trovare, ogni essere umano è voluto, creato e amato da Dio, possiede una dignità che non può mai essere eliminata e resta sempre valida al di là di ogni epoca storica e cambiamento culturale.
Salvatore Cipressa insegna Teologia morale presso l’Istituto teologico calabro e l’Istituto superiore di scienze religiose metropolitano di Lecce. Tra le sue pubblicazioni più recenti Affettività fragile. Diagnosi e terapia, Cittadella, Assisi 2023; Etica del vivere, Cittadella, Assisi 2023.