m
Moralia Blog

La pace da osare: Bonhoeffer

C’è una frase che il movimento ecumenico ha spesso richiamato in relazione ai conflitti, alla loro gestione e alla loro soluzione: «Osare la pace per fede».

Con tale splendida espressione si richiama la connessione radicale della pace stessa con il dono di Cristo («Egli infatti è la nostra pace», Ef 2,14), orientando al contempo i credenti a una decisa presa di distanza da tutto ciò che è legato alla guerra e alla violenza.

Sono parole che risalgono al teologo evangelico Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), profondo ammiratore di Gandhi e di una nonviolenza che egli percepiva come profondamente consonante con l’Evangelo di Gesù Cristo.

Chi – come me – da tale espressione si lascia ispirare si trova lacerato, in un contesto in cui la guerra torna a presentarsi dinanzi a noi e anzi, purtroppo, a condizionare pesantemente le scelte politiche e sociali. Si pensi alle forti pressioni che proprio in questi giorni di guerra in Ucraina orientano a un importante aumento delle spese militari, non solo per l’Italia ma per l’Europa tutta. E non solo per un tempo limitato, ma come trend di medio-lungo periodo.

Ci troviamo dinanzi a un riavvio della corsa agli armamenti, davvero profondamente contraddittorio con quella pace che siamo chiamati a osare.

Responsabilità…

Al contempo, un pensiero che voglia prendere sul serio Bonhoeffer dovrà anche contestualizzare la frase a cui ci stiamo riferendo, per capirne bene il senso e le effettive implicazioni per la riflessione presente.

Essa, infatti, fu pronunciata nel 1934 a Fanö, in Danimarca, durante un incontro promosso dal movimento ecumenico «Vita e azione». Nel suo coraggioso e appassionato intervento il giovane pastore invitava a disconoscere come rappresentanti del protestantesimo tedesco tutti quei soggetti che nella sua patria erano legati al nazismo e/o gli offrivano forme di sostegno ideale (i Deutsche Christen, in effetti maggioritari in Germania e presenti anche all’incontro di Fanö).

La sua nitida volontà di pace, dunque, non significava in alcun modo esonero dall’analisi della realtà, né – magari in nome di una supposta equanimità – da una puntuale valutazione delle diverse posizioni. Non a caso Bonhoeffer svilupperà progressivamente un’articolata etica della responsabilità, in cui proprio la comprensione e l’aderenza alla realtà assumeranno un ruolo teologicamente centrale, come condizioni necessarie per un agire che sia davvero alla sequela di Cristo.

…anche dinanzi all’inedito

La stessa esistenza di Bonhoeffer, poi, mostra dove questa etica lo condurrà, solo pochi anni più tardi: alla scelta di partecipare a un complotto contro Hitler, giunto fino a tentare un attentato alla sua vita, il 20 luglio 1944. Un passaggio che segnava una netta cesura rispetto al tradizionale rispetto per l’autorità statale dell’etica teologica luterana, ma certamente anche alla nonviolenza della fase precedente.

Incoerenza? O non piuttosto percezione di una realtà mutata, che esigeva direzioni inedite per l’agire responsabile, anche nella disponibilità a farsi carico di tutte le sue conseguenze?

È quanto accadrà anche allo stesso Bonhoeffer, che nel 1945 sarà giustiziato nel carcere nazista di Flossenburg (il 9 aprile, proprio il giorno in cui vengono scritte queste righe). È il suggello finale a un’esistenza breve, eppure di grande intensità; testimonianza fortissima di una ricerca inesausta di cosa voglia dire seguire Cristo, nel tempo e nella storia, anche lasciandosi condurre su sentieri inattesi.

Forse anche nel nostro tempo la riflessione etica su pace e guerra dovrebbe far memoria della testimonianza di Bonhoeffer, in tutta la sua complessità, per un discernimento accurato.

Dinanzi all’emergere dell’inaccettabile, anche pratiche che in altri contesti sono certamente criticabili possono diventare non solo legittime, ma persino doverose.

La guerra è sempre male, a maggior ragione nell’era atomica; la guerra offensiva non potrà mai essere accettabile; la corsa agli armamenti inquina e distorce le relazioni tra i popoli e la vita della famiglia umana. Vi possono però essere situazioni in cui la difesa da una brutale aggressione e il sostegno a chi anche con le armi difende l’esistenza propria e d’altri si configura come scelta responsabile – e anzi, in alcuni casi, quella più responsabile.

 

Simone Morandini è vicepreside dell’Istituto di studi ecumenici San Bernardino e membro del Comitato esecutivo del Segretariato attività ecumeniche (SAE).

Lascia un commento

{{resultMessage}}