La strage degli innocenti
In questi mesi, quasi quotidianamente, non solo i notiziari e la stampa ci hanno inondato delle drammatiche immagini del conflitto tra Israele e Hamas, ma i successivi talk show (almeno uno per ognuna delle principali emittenti) ci hanno bombardato, non materialmente come nella Striscia di Gaza ma verbalmente, di valutazioni, commenti, analisi politiche. Il più delle volte gridate come ormai si usa fare in TV. In ogni caso non voglio offrire un’ennesima considerazione socio-politica per quel bisogno, che ormai i social ci hanno inculcato, di esser presente, far udire la propria voce o vedere la propria immagine (che peraltro deve essere rigorosamente e periodicamente cambiata).
Un valore simbolico
No, voglio solo approfittare di questo periodo natalizio per condividere una riflessione. Abbiamo ascoltato e letto in questi giorni il noto episodio evangelico, passato nella tradizione (e nella copiosa iconografia) come «strage degli innocenti». La sua effettiva entità e possibile storicità, come ci insegnano i biblisti, va certamente ridimensionata. Ma non va ridimensionato, anzi va esaltato, il suo grande valore simbolico. Non solo in rapporto al messaggio evangelico, ma anche alla categoria perenne che essa rappresenta.
Purtroppo mai come in questo periodo il testo del Vangelo risuona di una spietata concretezza e, sulla storicità dei fatti a cui assistiamo, non vi sono dubbi. Ovviamente nessuna guerra è mai giustificabile, né è giustificabile una risposta assolutamente sproporzionata come quella di Israele a un altrettanto ingiustificabile attacco di Hamas. Non si possono ricomporre a unità di giudizio due ragioni, o peggio due torti. Ma quello che è certo è che quelle «vittime innocenti» da entrambe le parti, a cui una certa retorica ci ha ormai abituati, stanno pagando il prezzo più alto.
L’innocente, colui che non può nuocere
Indubbiamente c’è un’innocenza esistenziale, come poteva essere quella degli ebrei sterminati nella Shoah, ma c’è anche un’innocenza primordiale come quella di un bambino, che – vorrei dire «per natura» – è innocens, cioè impossibilitato e incapace di nuocere.
Non ci sono argomentazioni che tengano per la sua uccisione, specie se, oltre alla sua condizione di bambino, ha l’ulteriore condizione di essere un bambino colpito da varie criticità esistenziali come la malattia, la perdita dei genitori e di ogni possibile base sicura.
Quei famosi «crimini contro l’umanità» a cui ci si appella sul piano di un’unanime condanna universale da far rifluire anche nelle opportune sedi giuridiche, hanno innanzitutto e prima ancora della loro valenza giuridica una radicale valenza etica.
In tal senso credo che l’attenzione non debba essere posta solo sulla sofferenza di questi bambini ai quali, purtroppo, la morte può persino portare la sua falce liberatrice, ma sui loro persecutori.
Se nell’omicidio, per qualsiasi causa venga commesso, c’è sempre il volto di un presunto «nemico», e se persino nelle stragi c’è la deliberata volontà di colpire nel mucchio anche senza conoscere il volto delle vittime, qui siamo di fronte a una sorta di azione criminosamente anonima. Qualcuno, nel linguaggio militare, li ha chiamati «danni collaterali», ma quale collateralità è mai possibile nella consapevole uccisione di bambini?
Se si distrugge la radice del futuro
Molte volte si dice che quando la società non offre ai giovani gli adeguati strumenti per costruire il loro domani li sta derubando del futuro. Ma in questo caso è la radice stessa del futuro a venir meno. E se, da un lato, vedere crollare un palazzo o distruggere sotto le bombe un edificio ci fa riflettere su un passato di costruzione, sforzi, sofferenza, progetti, realizzazioni cancellate in pochi istanti, qui siamo di fronte a un futuro sradicato in pochi istanti.
E una società che deliberatamente e consapevolmente si priva del suo futuro assume la sciocca identità di chi taglia il ramo su cui è seduto.
Indubbiamente questi bambini stanno subendo quello che una certa tradizione religiosa ha chiamato battesimo di sangue o, in ogni caso, un’inconsapevole e drammatico martirio. Ci inchiniamo dinanzi a loro e alla sofferenza dei loro cari. Ma, al tempo stesso, gridiamo con forza la volontà di tornare a essere umani.
Seguiamo il Principe della pace
Abbiamo assistito, in questi giorni, al paradosso di un mondo patinato che ballava, cantava, mangiava, brindando al nuovo anno. I soliti profeti laici, guardando sulle loro carte o leggendo gli astri, declinavano gli eventi futuri. Come vorremmo, seguendo la metafora biblica, che la lettura degli astri ci conducesse alla nascita del «principe della pace»! E che potessimo portargli in dono quella stessa pace che era venuto a portare sulla terra, in primo luogo al suo popolo storico, e che non solo non riusciamo a mantenere o costruire, ma addirittura ogni giorno polverizziamo.
Che possa essere realmente un anno migliore per tutti!
Salvino Leone, medico, è docente di teologia morale e bioetica alla Facoltà teologica di Sicilia e vicepresidente dell’ATISM. Tra le sue opere più recenti Bioetica e persona. Manuale di bioetica e medical humanities, Cittadella, Roma 2020; Che fatica! Le virtù nel lavoro quotidiano, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2022.