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Moralia Blog

L’amore omosessuale: possibile?

L’attuale approccio all’omosessualità, per dirne bene o per dirne male, assume spesso l’amore come criterio di giudizio. Sia chi la giudica un bene, sia chi la giudica un male argomenta sulla base dell’amore. Per gli uni, l’amore può esprimersi sessualmente anche tra persone dello stesso sesso; per gli altri, l’amore può esprimersi sessualmente solo tra persone di diverso sesso.

Fissandosi sull’espressione sessuale, naturalmente buona per gli uni, intrinsecamente cattiva per gli altri, la discussione difficilmente s’approfondisce sino a considerare il rapporto che sussiste tra l’amore personale e il corpo sessuato. Proprio il chiarimento intorno al modo di intendere tale rapporto eviterebbe invece gli equivoci sull’omosessualità e permetterebbe di distinguere, sotto il profilo morale, le diverse omosessualità.

La bontà degli atti omosessuali è talvolta rivendicata a prescindere dall’amore personale, ritenendo che il godimento sessuale sia un diritto individuale che ha il solo dovere di rispettare il libero consenso altrui. La legittimità della pratica sessuale svincolata dall’amore personale non è una rivendicazione del solo fronte omosessuale, ma una convinzione diffusa nel mondo eterosessuale, perlomeno occidentale, a seguito della rivoluzione sessuale affermatasi intorno al noto 1968. Questa concezione individualistica della sessualità contrasta con il suo significato relazionale ed è incompatibile con la visione cristiana, per la quale i gesti sessuali sono il linguaggio dell’intima comunione interpersonale.

Riconoscere il bene

Ma proprio a partire dal significato relazionale e cristiano della sessualità, vi è oggi chi sostiene, anche all’interno della Chiesa, la possibilità di riconoscere il bene presente in una comunione di vita tra due persone omosessuali, che anche esprimano sessualmente il loro amore. Lo chiedono, in particolare, le persone omosessuali credenti sulla base della loro concreta esperienza di vita. La dottrina morale della Chiesa deve lasciarsi interrogare da questi vissuti o escludere a priori tale eventualità, ritenendo che non sia possibile alcun autentico amore tra persone omosessuali?

Il criterio di verità dell’amore umano, secondo la fede cristiana, è il dare la vita per l’altro (cf. Gv 15,13). Laddove due persone omosessuali fanno mutuo dono della propria vita, fedelmente e stabilmente, che cosa vizia l’espressione corporea del loro amore?

L’attuale dottrina morale della Chiesa, pur riconoscendo come le persone omosessuali siano «spesso generose» e «facciano dono di sé stesse», afferma che quando «si impegnano in un’attività omosessuale esse rafforzano al loro interno un’inclinazione sessuale disordinata, per se stessa caratterizzata dall’autocompiacimento» (Congregazione per la dottrina della fede, Homosexualitatis problema, n. 7). La dottrina magisteriale rinviene negli atti omosessuali l’unico significato dell’edonismo egocentrico, escludendo che essi possano significare la comunione interpersonale.

Questa dottrina della Chiesa non sembra però tenere conto dell’esperienza di vita e di amore di alcuni dei suoi fedeli, persone omosessuali. Come già recentemente a riguardo dei fedeli divorziati risposati, la Chiesa è sollecitata al discernimento per verificare se la sua dottrina tradizionale, che esclude assolutamente le relazioni omosessuali, sia riferibile sic et simpliciter anche a una relazione tra due persone dello stesso sesso che intendano vivere l’amore, secondo l’insegnamento cristiano, come dono integrale di sé stessi all’altro.

 

Aristide Fumagalli, presbitero dell’arcidiocesi di Milano, insegna Teologia morale presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, l’Istituto superiore di scienze religiose e il Seminario arcivescovile di Milano. Ha scritto tra l’altro L’amore possibile. Persone omosessuali e morale cristiana, Cittadella, Assisi 2020.

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