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L’omicidio dell’orso? L’etica sulla "dignità" dell’animale

Moralia | Una collaborazione dell'Associazione teologica italiana per lo studio della morale (ATISM) con Il Regno.

«Ce lo aspettavamo e non hanno mancato di compiere l’ennesimo barbaro inutile omicidio. Chi ha ordinato questo omicidio dell’orsa non è un uomo, è un barbaro»: ecco una delle dure reazioni di varie associazioni ecologiste[1] all’uccisione dell’orsa denominata “KJ2” avvenuta il 12 agosto 2017 nel Trentino.

Il presidente della provincia di Trento, Ugo Rossi, in precedenza aveva emesso un’ordinanza per garantire la sicurezza dei cittadini dopo due episodi pericolosi. L’orsa aveva aggredito e ferito due persone, delle quali però almeno una aveva provocato per prima l’orsa. L’animale avrebbe quindi semplicemente reagito difendendosi istintivamente.

Il peso delle parole

Non desidero discutere in questa sede se la caccia all’orsa KJ2 sia stata o meno l’unica possibilità per garantire la sicurezza delle persone in quella zona; quello che mi interessa è invece fare un’osservazione sul linguaggio usato. Parlando di omicidio si presume linguisticamente che l’orsa uccisa sia stata un soggetto umano. Il termine indica, infatti, l’atto di uccidere una persona umana, atto moralmente non giustificato e perpetrato con motivi infimi. Usare questa parola in riferimento all’uccisione dell’orsa significa, perciò, trasgredire la legittimità dell’uso linguistico del termine.

Certo, alcuni ambientalisti potrebbero controbattere che l’orsa andrebbe trattata in modo equivalente ad un essere umano: anche gli animali sarebbero soggetti di diritti con una loro dignità. Alla base di molti orientamenti volti alla tutela degli animali sta infatti un concetto che riconosce agli animali uno status morale, che impone di trattarli come soggetti di diritti. Si critica cioè la visione antropocentrica, secondo la quale solo all’uomo spetta una dignità, non riconoscibile invece agli animali; tale posizione viene respinta come discriminazione illegittima dell’uomo nei confronti degli animali. Evidentemente tale punto di vista rifiuta una fondamentale distinzione tra due diversi piani di confronto: le differenze all’interno del genere umano, la cui ineguale valutazione morale sarebbe certo da ritenersi discriminazione non giustificabile, e le differenze fra il genere umano e il mondo animale.

Molti animalisti riconoscono sì che una posizione biocentrica rigorosa – che presuppone cioè la completa equivalenza di tutti gli essere viventi – non solo non è praticabile, ma non è in grado nemmeno di differenziare da un punto di vista morale gli organismi più semplici e primitivi da quelli più sviluppati e complessi; spesso, però, identificano nella capacità sensitiva, cioè di soffrire, il criterio decisivo per la tutela dell’animale. Non c’è nessun dubbio che l’evitare il dolore ad un animale rappresenti un alto imperativo morale. Tuttavia il diritto a non soffrire non può essere fondato semplicemente nella facoltà di soffrire. Altrimenti gli animali stessi dovrebbero adempiere l’imperativo nominato, mentre di fatto solo l’uomo è in grado di riconoscere che il dolore rappresenta un male e perciò deve essere evitato.

Per un'etica rinnovata

Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ scrive a riguardo:

«Un antropocentrismo deviato [che mette l’uomo al centro disinteressandosi delle altre creature; ML] non deve necessariamente cedere il passo a un “biocentrismo”, perché ciò implicherebbe introdurre un nuovo squilibrio, che non solo non risolverà i problemi, bensì ne aggiungerà altri. Non si può esigere da parte dell’essere umano un impegno verso il mondo se non si riconoscono e non si valorizzano al tempo stesso le sue peculiari capacità di conoscenza, volontà, libertà e responsabilità» (nr 118).

Credo che qui venga espresso bene ciò che intendiamo con il termine “dignità”, che implica le «peculiari capacità [umane] di conoscenza, volontà, libertà e responsabilità». Giustamente il papa ribadisce ancora che riconoscere questo particolare stato morale dell’uomo non significhi affatto trattare gli animali come meri oggetti in funzione degli interessi umani. Anzi, l’uomo può riconoscere il valore proprio di ogni creatura e relazionarsi a ogni essere vivente secondo tale valore. Il termine “valore”, però, si distingue da quello di “dignità” in quanto un valore si definisce in riferimento a qualcosa, la dignità invece vale incondizionatamente.

A questo punto si avverte il bisogno di sviluppare un’etica propria dell’animale. Nel mio libro[2] di recente pubblicazione ho sviluppato una proposta che può essere sintetizzata nel seguente imperativo categorico:

«Agisci in modo da non trattare mai un animale come semplice mezzo per interessi umani, ma rispettando sempre anche i suoi bisogni e le sue capacità sensitive, emotive ed cognitive».

In tale prospettiva possiamo anche ritornare al triste destino dell’orsa KJ2 per chiederci se la sua uccisione sia stata l’unico modo e l’ultima ratio per tutelare la sicurezza delle persone, giacché solo in tal caso essa sarebbe stata giustificabile.

 

[1] Si tratta di Lorenzo Croci, presidente dell’AIDAA (Associazione Italiana a Difesa degli Animali e Ambiente). In modo simile si sono espressi anche altre associazioni come p.es. l’ENPA (Ente Nazionale per la Protezione degli Animali).

[2] MARTIN M. LINTNER, Der Mensch und das liebe Vieh. Ethische Fragen im Umgang mit Tieren. Con contributi di Christoph J. Amor e Markus Moling, Tyrolia: Innsbruck 2017.

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