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Moralia Blog

Maddalena e la Pasqua: lacrime in movimento

La fede autentica è quella forgiata nel dolore, tra lacrime in movimento e speranza. Soltanto le lacrime che scorrono conducono alla speranza più vera e non a un astratto: tengono sempre conto della situazione reale. A Marta, che piange suo fratello Lazzaro, Gesù annuncia: «Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25).

Particolare non trascurabile: prima la risurrezione e poi la vita, poiché soltanto passando attraverso la morte – e risorgendo da essa – è possibile accedere alla vita vera.

Gesù, infatti, non ci salva dalla morte, ma nella morte: morendo lui stesso, e facendo passare anche noi attraverso le lacrime in movimento delle nostre morti quotidiane, ci spalanca – anche su questa terra – le porte della vita eterna: «Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno» (Gv 11,25-26).

Oltre le lacrime... la speranza

Ma che cosa intendiamo per lacrime in movimento? Nel suo dipinto Gli apostoli al sepolcro, il pittore Jacob Jordaens rappresenta Maria Maddalena che, con gli occhi commossi rivolti verso Giovanni, indica fuori dalla tela la tomba di Cristo, luogo verso il quale si dirigono le sue lacrime. Le lacrime della Maddalena rincorrono un «oltre» che lei stessa non riesce a comprendere, che le sfugge: il mistero, la speranza, sono immaginati dall’artista fiammingo «al di là» del quadro.

«Volgi il tuo viso verso il sole, e l’ombra si troverà sempre alle tue spalle», affermano i nativi della Nuova Zelanda. La speranza non sta nell’attendere che le cose «fuori» di noi migliorino come per incanto. Sta nel costruire all’interno di noi un rapporto più autentico con quello che accade nella nostra anima; nel tenere duro anche quando il moto delle nostre lacrime è così devastante da indurci a pensare che sia inutile lottare; nell’aprirci al Dio della novità, affidandogli un futuro che non possiamo vedere.

Un viaggio interiore, spesso problematico, evidenziato nella Pietà su tela della chiesa parigina di Saint-Louis de la Salpêtrière, nella quale le lacrime della Madonna si bloccano a mezz’aria: non riescono a bagnare, ad accarezzare il cadavere di Gesù.

L’arte ci insegna che le lacrime non si rappresentano, ma si versano, e spesso occorre tempo prima che «tocchino» il mistero: «Si ha come l’impressione che la lacrima non cesserà mai di scorrere, perché non ha né origine né fine» (Jean-Loup Charvet). Il rischio, però, è che molte delle nostre lacrime rimangano sospese a mezz’aria: in un letto di ospedale, nel terreno arido di un amore finito, nella tragedia di un posto di lavoro perso, nella frustrazione dei fallimenti. Necessario, perciò, non perdere mai la fede perché, «una volta costruito lo scenario della fiducia», afferma Salvatore Natoli, «il dolore può essere consumato sino in fondo, può essere perfino amato. Non in sé certamente, ma perché il Signore sa come destinare i frutti della sofferenza».

Nascere pienamente: risurrezione

Sull’esempio della Maria di Magdala di Jordaens, dobbiamo far scivolare le nostre lacrime oltre il quadro, al di là del nostro spazio chiuso di dolore, liberandoci dalle prigioni che ci impediscono di nascere pienamente. In questo modo anche l’oltre immediato, il domani, sarà percepito come dono del Cristo che mai ci abbandona. D’altronde, il giovane dalla veste bianca seduto nel sepolcro, dice alle donne: «Andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto» (Mc 16,7).

Gesù, appena risorto, pensa ai discepoli. Lo hanno abbandonato, ma per lui sono sempre i «suoi» discepoli: li ha amati «sino alla fine» (Gv 13,1), al compimento, e li ama anche in un «nuovo» inizio. La risurrezione è il trionfo di un duplice amore: quello del Padre che non abbandona il suo Figlio nella morte, e quello di Gesù che non lascia da soli i suoi: sa che le loro lacrime non cesseranno mai di scorrere, ma allo stesso tempo li invita (e ci invita) a guardare «oltre», facendo sempre memoria delle ferite della vita.

Messaggio evidente nella londinese Cena in Emmaus di Caravaggio. In questa tela, uno dei due discepoli – meravigliato per l’apparizione del Risorto – allarga le braccia mimando la croce; vengono evidenziati, dunque, due stati d’animo contrapposti: la certezza delle lacrime in movimento nella croce e l’evidenza gioiosa della risurrezione. «Beati coloro che sono nel pianto, perché saranno consolati» (Mt 5,4): la beatitudine non è più un paradosso.

 

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