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Moralia Blog

Mamma, da grande voglio essere un robot!

Il tempo di Natale è anche il tempo dei giocattoli, e i giocattoli che i bambini preferiscono oggi sono molto diversi da quelli di ieri. La cosiddetta generazione Alpha, quella dei nati dal 2010 in poi, preferisce gadget tecnologici rispetto ai giocattoli tradizionali o agli animali domestici.

Una ricerca ci svela che l’iterazione massiva di questa generazione con strumenti tecnologici plasma il loro cervello, ma non sappiamo ancora come e in che misura e soprattutto con quali esiti. Uno studio di Nature del 2003 indica come l’uso di videogame ha comportato il miglioramento dell’attenzione visiva, la coordinazione mano/occhio e la capacità di passare da un lavoro all’altro. Alcuni videogiochi invece stimolano abilità richieste nei test d’intelligenza (per esempio la capacità di risoluzione dei problemi), tuttavia è stato provato che il cosiddetto effetto Flyn, l’aumento nel corso della storia del quoziente intellettivo mondiale, dal 2000 in poi ha invertito la rotta diminuendo.

Cause, effetti e…perplessità morali

Individuare un rapporto di causa-effetto sarebbe facile, ma non scientificamente corretto. Tuttavia le perplessità ci sono.

È provato invece che la capacità di prestare attenzione in modo continuativo va scemando, così come esternalizzare alcune funzioni a strumenti digitali comporta il rischio di perdita di memoria e di abilità di ragionamento, perché il cervello aderisce alla politica «o lo usi o lo perdi».

Sotto altro versante la generazione Alpha cresce con giocattoli sempre più smart, ovvero giochi intelligenti che uniscono a un elemento fisico, come un pupazzo, un elemento tecnologico in grado di connettersi a Internet e scambiare i dati di gioco, come la voce, con un server esterno che offre, ad esempio, la possibilità di ricevere nuovi contenuti in tempo reale.

Lo studio citato dimostra come i bambini interagiscano con tali giocattoli sfidandoli, trattandoli come un animale domestico, come un essere senziente. Al di là dei problemi connessi alla privacy, di cui si è anche occupato il Garante, rilasciando un vero e proprio vademecum sul tema, quali implicazioni morali desumiamo da questo quadro?

«I giochi dei bambini non sono giochi»

Se Michel de Montaigne scriveva che «I giochi dei bambini non sono giochi, e bisogna considerarli come le loro azioni più serie», potremmo dire che non possiamo giocare con i giochi dei bambini senza renderci conto di quali serie conseguenze questo comporti.

Oggi come mai prima d’ora è necessario che la scoperta del mondo non sia affidata a degli strumenti, ma alle interazioni familiari: se ciascuno di noi è stato spesso parcheggiato di fronte a un televisore, oggi i danni potenziali derivanti dall’affidare un bambino a una babysitter elettronica sono drammaticamente maggiori.

L’umano ha bisogno di interazioni umane per umanizzarsi e l’imitazione dell’umano che una macchina può restituirci non solo è insufficiente ma – ed è peggio – indurrebbe un bambino a umanizzarsi secondo modelli computazionali.

Ogni bambino ha sognato di essere un eroe, dobbiamo vigilare che nessuno cominci a sognare di essere una macchina.

Ci è stato dato un Bimbo, un Bimbo è nato per noi, restiamo in quella carne se desideriamo esserne divinizzati.

 

Luca Peyron è presbitero della diocesi di Torino, docente di teologia all’Università cattolica di Milano e di Spiritualità dell’innovazione all’Università di Torino. Ha scritto Incarnazione digitale.

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