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Moralia Blog

Natura o cultura? Se la teologia morale studia il genoma

Una delle più interessanti acquisizioni della biologia evoluzionistica dello sviluppo («evo-devo») è la critica e il tentativo di superare una concezione deterministica, che attribuisce ai geni e all’evoluzione il tutto della formazione degli individui, secondo la sintesi moderna affermatasi nella seconda metà del secolo scorso.

In particolare i lavori di sir Patrick Bateson (1938-2017) hanno messo in luce come lo sviluppo di un organismo non sia affatto un processo lineare, ma piuttosto «un’esplorazione di possibilità», un’articolazione complessa di meccanismi robusti che resistono al cambiamento e vari sistemi di adattabilità plastica che non solo rispondono attivamente agli stimoli ambientali, ma sono in grado di agire sull’ambiente stesso modificandolo.[1]

Il fenotipo individuale di qualunque specie, in quanto «risultato finito di un processo di sviluppo» che in realtà non si arresta mai, ma continua per tutta la vita, non è solo il prodotto dell’informazione genetica che univocamente definisce le tappe di crescita. Piuttosto è il punto di arrivo delle interazioni che questa intrattiene con l’ambiente molecolare dell’organismo stesso, con i messaggi ricevuti dalla madre, con le informazioni provenienti dall’ambiente esterno e le interazioni con altri membri della specie successive alla nascita.

Tali interazioni sono in grado di far esprimere o reprimere porzioni variabili di DNA. E a tal punto tale intreccio di fattori risulta inestricabile, che è difficile attribuire una singola caratteristica o al solo dato di partenza (geni) o ai meccanismi di adattamento, riparazione, apprendimento (sviluppo). Questi due fattori polari risultano sempre co-implicati e correlati inestricabilmente.[2]

Di più: sembra che gli adattamenti epigenetici (cioè relativi allo sviluppo di un singolo individuo) che risultano adattivamente vincenti possano essere trasmessi attraverso le generazioni per mezzo di meccanismi non genetici, fino a costituire un «impulso evolutivo», ovvero riuscendo successivamente a fissare nel DNA la codifica per quel cambiamento inizialmente dovuto ad adattamento/apprendimento. In tal modo l’evoluzione non sarebbe unicamente frutto di cambiamenti repentini dovuti a mutazioni genetiche casuali, ma di adattamenti maturati per piccoli passi attraverso modifiche puntuali dei processi di sviluppo e trasmessi alla progenie perché vantaggiosi, canalizzando così i cambiamenti evolutivi.

Riflessi in teologia morale e in etica filosofica

Questi dati scientifici, esposti in sommaria sintesi, hanno un riflesso importante su alcuni strumenti concettuali che siamo soliti usare in teologia morale e in etica filosofica. Mi riferisco in particolare alla consunta contrapposizione «natura versus cultura» – declinata in altri ambiti anche come innato/acquisito; istinto/apprendimento; ereditarietà/esperienza; evoluzione/sviluppo –, che di recente ha animato i dibattiti intorno al gender. I dati empirici cui facevo riferimento sopra ci chiedono estrema cautela nel maneggiare categorie polari in modo eccessivamente semplicistico come aut-aut, soprattutto quando facciamo riferimento alla specie homo sapiens, la cui plasticità neuronale accentua i termini della complessità sistemica.

Proprio in tema di sessualità umana, l’identità di ogni donna e di ogni uomo è il frutto di un sistema complesso di influenze reciproche che solo schematicamente possiamo riassumere con la coppia «natura e cultura». Il bagaglio informativo ereditato deve fare i conti con un numero enorme di variabili che intervengono nel processo dello sviluppo intrauterino e che modulano l’espressione genetica.

Gli scambi elettrochimici in utero prima, e poi l’interazione madre-neonato/a, lo stile familiare e i modelli di «allevamento», il linguaggio e la cultura, le esperienze individuali, specie nelle fasi sensibili, e l’originale modalità con cui si esprime ogni libertà personale concorrono in proporzioni indefinibili, inseparabili e inestricabili a definire gli aspetti attraverso i quali la sessualità umana viene a configurarsi e a esprimersi.

Voler accentuare una sola delle componenti significa ridurre la ricchezza che costituisce la specificità di ogni essere umano e una cattiva premessa per elaborare una buona interpretazione del dato esperienziale reale.

Invece di «natura versus cultura», sembra decisamente più corretto e promettente pensare anche la sessualità umana in termini di «natura via cultura».[3]

 

Giovanni Del Missier, presbitero dell’arcidiocesi di Udine, è docente dell’Accademia alfonsiana di Roma.

 

 

[1] Cf. P. Bateson, La dinamica della vita. Complessità biologica e influenze ambientali, Aboca, Sansepolcro (AR) 2018.

[2] Cf. P. Bateson, P. Gluckman, Plasticità, robustezza, sviluppo ed evoluzione, Aboca, Sansepolcro (AR) 2012.

[3] Cf. M. Ridley, Nature via nurture. Genes, experience and what makes us humans, HarperCollins, New York 2003; tr. it. Il gene agile: La nuova alleanza fra eredità e ambiente, Adelphi, Milano 2005.

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