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Moralia Blog

Neuroeconomia. Può la scienza misurare la libertà e la responsabilità?

Neuroeconomia: una nuova disciplina, ancora ai primordi, a cavallo fra neurologia ed economia, che promette di evolversi molto rapidamente, per aiutare a comprendere come le emozioni influenzino le nostre scelte e quali attività neurali siano coinvolte in decisioni economiche quali scommesse e investimenti. Camelia Kuhnen e Brian Knutson, due ricercatori della Stanford University, hanno scoperto, ad esempio, che si può prevedere il comportamento di scelta degli individui valutando l'attivazione neurale anticipatoria del loro cervello.

Le decisioni più rischiose sono anticipate da un'attivazione nel nucleo accumbens, le scelte più ansiose e caute sono anticipate dall'attivazione di altri circuiti cerebrali quali l'insula anteriore. Peter L. Bossaerts professore di economia al California Institute of Technology ha scoperto che il cervello valuta il rischio e la ricompensa separatamente. Quella che gli economisti chiamano “utilità attesa” appare insomma un costrutto unitario soltanto a fini esplicativi, il cervello non esibisce infatti l’esistenza di un comando e di un controllo centralizzato.

Fortemente interdisciplinare

La neuroeconomia è un neonato settore della ricerca neuroscientifica di spiccato carattere interdisciplinare, volto a elaborare un modello biologico dei processi decisionali. Essa si situa al crocevia tra discipline alquanto differenti per scopi, metodi, prospettive d’indagine. Si pensi in tal senso all’economia cognitiva e sperimentale, alle neuroscienze, alla microeconomia, alla psicologia, all’epistemologia e alla filosofia della mente, ciascuna delle quali fornisce uno specifico contributo allo studio della decisione umana.

Se gli economisti si chiedono quale sia la decisione ottimale (massimizzante) tra più alternative possibili in condizioni di incertezza, i filosofi si interrogano sulla nozione di razionalità economica e delle sue violazioni. Gli psicologi, da parte loro, studiano quali processi vengano messi in atto dalla mente umana durante la scelta e come le emozioni possano influire positivamente o negativamente su di essi, mentre i neuroscienziati indagano il funzionamento del sistema nervoso.

Chi si occupa di neuroeconomia tenta di far convergere i contributi provenienti da tutte queste discipline per capire come il cervello ci consenta di prendere decisioni. Integrando contributi e metodi diversi, è dunque oggi possibile “osservare” l’attività neurale in tempo reale, “guardando dentro il cervello”. Si esaminano cioè quali regioni cerebrali sono maggiormente coinvolte nella presa di decisione, e come il loro funzionamento sia influenzato dalle opzioni disponibili, dal contesto nel quale esse sono presentate, dai fattori emotivi, dalle interazioni con altri individui.

L’obiettivo, assai ambizioso, della neuroeconomia è quindi quello di applicare i modelli dell’economia cognitiva e sperimentale alle situazioni controllate tipiche delle neuroscienze, per tentare di colmare lo scarto esplicativo tra l'attività cerebrale e le varie forme di comportamento osservabile.

Interrogativi epistemologici…

Ovviamente qualche perplessità è ragionevole nutrirla. Attualmente è difficile identificare i moduli cerebrali e i loro ruoli: anche se una zona del cervello è attiva in un particolare momento, non è facile comprendere come quell’attività venga incorporata nel più vasto e articolato processo decisionale. Come negli altri settori delle neuroscienze, poi, l’esplorazione può procedere su diversi livelli di analisi, dallo studio dell’attività di singoli neuroni nella scimmia, all’indagine su sistemi cerebrali complessi nell’uomo per mezzo delle metodiche di neuroimmagine, come tomografia a emissione di positroni (PET), risonanza magnetica funzionale (fMRI) e registrazione di potenziali evocati.

Negli ultimi anni, vari gruppi di ricerca sparsi in tutto il mondo hanno ottenuto importanti risultati, che cominciano a chiarire alcuni aspetti centrali sul funzionamento del cervello impegnato nella presa di decisioni, e che sembrano dimostrare l’importanza del ruolo giocato dalle emozioni nelle nostre scelte. Ma molte domande fondamentali attendono ancora risposte.

…e questioni morali

In effetti è spontaneo chiedersi se le scelte di carattere morale siano influenzate o meno da meccanismi neuronali, oppure, al contrario, se una decisione assunta “in piena coscienza” e libertà non faccia altro che mettere in moto i predetti meccanismi. Se la prima ipotesi fosse esatta, potremmo giungere a pensare a una sorta di “mitigazione” della responsabilità di atti non eticamente appropriati?

A inizio articolo si è visto come le aree cerebrali coinvolte in azioni “rischiose” siano sempre le stesse: a questo punto chi, ad esempio, effettua il gioco d’azzardo, oppure compie un’azione con rilevante tasso di rischio contro se stesso o un’altra persona (pensiamo ad esempio allo stesso aborto, non esente da rischi anche per la mamma), è in qualche modo condizionato dai meccanismi neuronali, oppure è pienamente libero nelle proprie scelte?

Allo stesso tempo, è possibile ipotizzare che azioni eticamente appropriate, così come azioni che richiedono “prudenza”, se sono anticipate da nuclei cerebrali differenti, permettano all’uomo di riconoscere tale anticipazione (attraverso la coscienza?) e quindi di poter scegliere e decidere? oppure il meccanismo è talmente indotto da dover addirittura ripensare il concetto di responsabilità in etica?

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