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Papa Francesco e l’aborto: minimizzare il peccato?

Nella lettera apostolica Misericordia et misera (MM) papa Francesco ha stabilito che tutti i sacerdoti potranno assolvere dal peccato dell’aborto (cf. 12). Ha esteso nel tempo una sua decisione che inizialmente era prevista per la durata dell’Anno della misericordia (cf. la sua lettera del 1 settembre 2015). In alcuni media questo è stato interpretato come una minimalizzazione di tale peccato da parte del pontefice. È invece vero il contrario.

 

Nella lettera apostolica Misericordia et misera (MM) papa Francesco ha stabilito che tutti i sacerdoti potranno assolvere dal peccato dell’aborto (cf. 12). Ha esteso nel tempo una sua decisione che inizialmente era prevista per la durata dell’Anno della misericordia (cf. la sua lettera del 1 settembre 2015). In alcuni media questo è stato interpretato come una minimalizzazione di tale peccato da parte del pontefice. È invece vero il contrario.

Una dimensione canonica

Bisogna ricordare che la Chiesa condanna moralmente l’aborto, perché vede in esso l’uccisione voluta e diretta di un essere umano innocente, nella sua fase prenatale. Questa posizione si basa su due convinzioni: che la vita di un uomo inizi nel momento della fecondazione terminata e che questo essere umano goda di piena dignità, il che include il diritto alla vita.

Dal momento che la Chiesa condanna gravemente l’uccisione voluta e diretta di un essere umano nella sua fase di vita prenatale, essa viene sanzionata con una delle pene canoniche più severe, cioè quella della scomunica (cf. Codice di Diritto Canonico - CIC - 1398). Questa pena comprende tutti coloro che sono coinvolti nell’aborto e che lo consentono. Si tratta di una “scomunica latae sententiae”, che cioè entra in vigore con l’atto abortivo stesso, senza che sia necessaria una sua dichiarazione. Una condizione è tuttavia che i soggetti della pena, nel momento in cui si compie l’aborto, devono essere coscienti sia della negatività morale di quest’azione sia della norma ecclesiale a riguardo.

Il diritto canonico inoltre stabilisce che in caso di aborto solo l’ordinario, cioè il vescovo, può sciogliere dalla pena della scomunica (cf. CIC 1355 § 2). Bisogna distinguere allora la facoltà di assolvere da un peccato da quella (giuridica) di togliere la pena canonica. Secondo il CIC 1357 § 1, un vescovo può comunque delegare questa facoltà ai sacerdoti confessori. In molte diocesi, tra le quali anche quelle italiane, già da decenni i vescovi hanno delegato questa facoltà ai confessori, perciò la decisione del papa riguarda soprattutto altri paesi dove la situazione è ancora differente.

Minimizzare il peccato?

Torniamo sulla questione se il papa abbia minimizzato il peccato dell’aborto o meno. Rimane attuale ciò che papa Giovanni Paolo II ha costatato oltre vent’anni fa nell’enciclica Evangelium vitae: «Oggi, nella coscienza di molti, la percezione della gravità dell’aborto è andata progressivamente oscurandosi» (58). Lo ha ripetuto papa Francesco nella lettera del 1 settembre 2015: «Il dramma dell’aborto è vissuto da alcuni con una consapevolezza superficiale, quasi non rendendosi conto del gravissimo male che un simile atto comporta». Perciò il papa richiama alla mente con forza la gravità morale dell’aborto.

Il suo è un forte appello a non rassegnarsi di fronte al fatto che nella nostra società secondo il percepire di molti l’aborto sia un delitto meno grave o perfino accettabile. Stabilendo che ogni sacerdote possa assolvere quanti hanno procurato il peccato di aborto, ricorda con fermezza che si tratta di un peccato. Ribadisce infatti «con tutte le sue forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente» (cf. MM 12).

Inoltre, nella lettera del 1 settembre 2015 papa Francesco scrive: «Penso, in modo particolare, a tutte le donne che hanno fatto ricorso all’aborto. Conosco bene i condizionamenti che le hanno portate a questa decisione. So che è un dramma esistenziale e morale. Ho incontrato tante donne che portavano nel loro cuore la cicatrice per questa scelta sofferta e dolorosa. Ciò che è avvenuto è profondamente ingiusto; eppure, solo il comprenderlo nella sua verità può consentire di non perdere la speranza».

Il papa evidenzia che molte donne soffrono a causa di un aborto e che molte di loro prendono questa decisione tragica in presenza di una forte pressione psicologica, tale da poter ritenere diminuita la loro responsabilità personale. Questo significa un chiaro rigetto di una generale criminalizzazione delle donne che hanno abortito e allo stesso momento richiede una ferma opzione in favore delle donne che tuttora in molti paesi del mondo troppo spesso sono soggette di violenza sessuale o di stupro e sulle quali troppo spesso gli uomini scaricano la responsabilità della contraccezione.

Mai criminalizzare

Il male dell’aborto va condannato, ma le persone coinvolte – prima di tutto le donne – non vanno criminalizzate a priori. Bisogna piuttosto fare di tutto per evitare l’aborto, contribuendo al superamento delle cause che potrebbero indurre una donna ad interrompere la gravidanza (cf. la legge 1978/194 art. 2) e promuovendo un’educazione sessuale che renda capaci di evitare una gravidanza non voluta. C’è bisogno comunque di una formazione morale a livello personale e sociale incentrata anche sulla responsabilità degli uomini, come pure della società e della Chiesa. Tutti devono impegnarsi ancora di più per aiutare le donne che si trovano a vivere una gravidanza in situazioni difficili, affinché l’aborto non venga visto come l’unica via d’uscita.

 

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