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Moralia Blog

Perché il mondo sopravviva. Hans Küng e la bioetica

La scomparsa di Hans Küng all’età di 93 anni segna, in qualche modo, la fine di un’epoca. Comunque si voglia valutare la sua teologia, reale «fonte di contraddizione», ha costituito una grande testimonianza di passione per la ricerca teologica sulla scia di un Vaticano II che riteneva inattuato o addirittura tradito.

Nella sua copiosa riflessione non mancano, ovviamente, anche i temi della bioetica, sia pure inseriti nel più vasto ambito di un coraggioso e profetico rinnovamento della teologia morale.

Alle origini del suo interesse bioetico

Fin dai primi anni del suo insegnamento alla Facoltà teologica cattolica di Tubinga si interessò dei temi di morale sessuale, alcuni dei quali oggi possiamo ritenere «di confine» rispetto a quelli propriamente bioetici.

Intendo parlare delle questioni connesse all’uso degli anticoncezionali e, più genericamente, a quella che oggi chiamiamo etica della procreazione. Sono note, d’altra parte, le sue critiche alla promulgazione dell’Humanae vitae da parte di Paolo VI (1968) e della conseguente pubblicazione del suo libro Infallibile? Una domanda (1970).

Proprio in quegli anni l’oncologo australiano Van Rensselaer Potter pubblica il suo articolo «Bioethics, the science of survival», a cui farà seguito, nel 1971, il libro Bioethics, bridge to the future, nei quali «lancia» a livello mondiale il neologismo.

In realtà molti, come Küng, se n’erano già occupati senza chiamarlo con questo nome. Non dimentichiamo, peraltro, che proprio dalla delusione seguita alla pubblicazione dell’Humanae vitae, delusione di cui Küng s’era fatto interprete, nascerà il più autorevole centro di bioetica mondiale.

Il suo fondatore, André Hellegers, era un embriologo olandese presidente della Commissione voluta da Paolo VI per lo studio dei problemi relativi alla natalità. Dopo che il papa accolse il cosiddetto «parere di minoranza» decise di istituire un Centro che continuasse a elaborare un’etica indipendente dalla teologia. Fu così che nel 1971, con l’aiuto della famiglia Kennedy, fondò il Joseph and Rose Kennedy Center for the study of human reproduction and bioethics, diventato successivamente il Kennedy Institute of Ethics.

Come si vede il disagio manifestato da Küng sul piano teologico si coniugava a una nuova istituzione destinata ad avere un brillante futuro,

Il progetto di un’etica mondiale

Se la visione di Potter era caratterizzata dalla sua interdisciplinarietà e dalle responsabilità intergenerazionali, lo sarà altrettanto una nuova prospettiva di Küng, cioè la progettualità di un’etica mondiale (Per un’etica mondiale, Rizzoli, Milano 1991).

Nella sua articolazione, anche se non affrontate in modo tematico, sono più che evidenti alcune soggettualità della bioetica. Innanzitutto nel fatto stesso di proporre un’etica mondale che includa, quindi, tutte le problematiche che l’etica affronta nelle varie religioni, nelle varie culture, nelle varie epoche: una bioetica geo-storica se così possiamo definirla.

Scendendo nello specifico rileviamo come il primo assunto della prima parte, relativa alle convinzioni base, sia che nessuna sopravvivenza nel nostro pianeta è possibile senza un ethos globale. L’aver legato il tema della «sopravvivenza» a quello dell’ethos è esattamente quanto affermato da Potter nel suo articolo, in cui parla proprio della bioetica come «scienza della sopravvivenza».

Nella seconda parte Küng analizza la «regola aurea» nelle varie religioni. Collegandoci al classico principialismo bioetico possiamo dire che si tratta di una rivisitazione interreligiosa del principio di non-maleficence. Particolarmente interessante la prospettiva del buddhismo, che afferma: «Non trattare gli altri in modi che tu stesso troveresti dannosi» (Udana-Varga, 5.18), o dell’induismo, in cui si dice: «Non ci si dovrebbe comportare con gli altri in un modo che sarebbe sgradevole a noi stessi», affermando poi: «Questa è l’essenza della morale» (Mahābhārata XIII.114.8).

Infine nella parte relativa alla Dichiarazione di un’etica mondiale Küng afferma come primo principio (tipicamente bioetico) l’«impegno per una cultura della non violenza e di ogni vita».

L’etica del morire

Ma vi è un testo, La dignità della morte. Tesi sull’eutanasia (2007, poi riedito e ampliato anche con altro titolo), in cui affronta in modo sistematico un tema bioetico, peraltro di grande attualità, com’è quello del morire e degli interventi sul morente.

Ovviamente non è questa la sede per affrontare compiutamente la sua analisi, mi limito a sottolineare alcuni degli elementi più significativi. A partire dal termine «eutanasia» (Euthanasie), raramente utilizzato perché nell’ambito della cultura tedesca evoca fortemente l’eutanasia praticata nei lager nazisti. Questo viene il più delle volte sostituito con Sterbehilfe (aiuto a morire), anche se può essere in sé fonte di equivoci.

In ogni caso diciamo pure senza mezzi termini che la proposta di Küng è quella di poter scegliere liberamente come e quando morire per poter lasciare serenamente questo mondo, in piena consapevolezza, circondato dal’affetto dei propri cari. Come accennato sopra, la riedizione del primo testo ha per titolo Morire felici ed è del 2014, quando Küng, ormai avanti negli anni, sentiva approssimarsi la morte e quindi era coinvolto non solo sul piano della riflessione morale ma anche su quello esistenziale. Nella sua prospettiva questa morte che potremmo definire «auto-compassionavole» non avrebbe nulla a che vedere con l’eutanasia e non contrasterebbe con i principi di un’etica modale. Se così fosse stato, dice, l’avrebbe decisamente rifiutata.

Inoltre rifacendosi ai principi formulati nella Dichiarazione Iura et bona (in realtà interpretati con una certa libertà) e al successivo Catechismo della Chiesa cattolica ritiene che vi siano varie modalità di mettere in atto mezzi ritenuti straordinari che, come tali, potrebbero essere sospesi. Il dibattito, per il lettore, potrebbe farsi a questo punto particolarmente articolato e interessante e quindi rinviamo alle sedi più appropriate per un suo approfondimento.

Mi limito, in conclusione, a condividere due considerazioni autobiografiche alle quali la stimolante produzione teologica di Hans Küng potrebbe condurci. Riguardano una mia passata esperienza fatta all’Università di Tubinga come visiting professor. Giunto sul pianerottolo che dava accesso alla Facoltà teologica fui colpito dal fatto che a destra vi fosse l’accesso alla Facoltà di teologia cattolica mentre a sinistra a quella protestante: una sorta di «ecumenismo edilizio» in cui due universi teologico-culturali si con-frontavano anche materialmente.

La seconda riguarda un clergyman del prof. Joseph Ratzinger che era stato messo in bacheca, per ricordare gli anni in cui aveva insegnato in quella Università, chiamatovi proprio da Hans Küng. Due diversi modi di vivere la dialettica delle diversità e la convivialità delle differenze in una sostanziale unità di fede e di amore per la Chiesa.

 

Salvino Leone, medico, è docente di teologia morale e bioetica alla Facoltà teologica di Sicilia e vicepresidente dell'ATISM. Tra le sue opere più recenti Bioetica e persona. Manuale di bioetica e medical humanities, Cittadella, Roma 2020.

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