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Moralia Blog

Plug and pray. Un cacciavite per pensare

Il titolo è una battuta che correva qualche anno fa nell’ambiente informatico: i sistemi più recenti a quei tempi prevedevano che non si dovessero più scaricare driver o altri programmi per poter collegare a un computer stampanti o alti tipi di derivazioni. Il sistema era chiamato «plug and play», cioè inserisci e fai funzionare. La battuta stava nel fatto che non sempre, inserendo il dispositivo, questo funzionava davvero, non sempre i sistemi operativi riconoscevano la chiavetta, la stampante, il monitor o altro, e dunque non restava che inserire e… pregare.

I sistemi informatici e noi

Da quei tempi – in realtà non poi così lontani – molto è cambiato, e l’interoperabilità dei sistemi ha fatto scomparire il dubbio che essi possano non essere subito operativi. Per le nuove generazioni il problema neppure sembra porsi, tanto che non è neanche più necessario specificare che quella stampante o quel sistema è «plug and play». Tutto è normalmente e pacificamente plug and play. 

Perché faccio queste considerazioni storiche, anche se di storia spiccia? Perché tale interoperabilità e facilità di utilizzo della tecnologia, la sua componibilità senza sforzo e senza il bisogno di alcuna conoscenza specifica è certamente una grande utilità e facilitazione, ma ci ha in parte diseducato, o perlomeno ha collaborato parecchio a diseducarci, alla conoscenza dei mezzi che usiamo. Conoscenza tecnica e presa di coscienza esistenziale e spirituale. Un cacciavite ci aiuta a essere più persone? Ne sono convinto e provo a dimostralo velocemente, sospendendo il tema per qualche riga.

Funzionare o vivere

Ritorniamo al nostro oggi, i sistemi dunque si accendono e funzionano. Perché dovrei saperne di più? In effetti un qualunque atteggiamento diverso potrebbe sembrare semplicemente pedante e noioso. Sono spariti, o smaterializzati, i manuali di istruzioni, sostituiti al massimo da qualche tutorial on-line messo in piedi alla bene e meglio da qualche volenteroso.

Questa ennesima metamorfosi ha fatto sparire l’idea che per «usare» un sistema di qualsivoglia natura bisogna essere preparati a farlo. Tutto è ready made, fatto pronto. A questo si connette il principio tecnico che tutto è possibile, prima o poi, se non già subito. Se mettiamo insieme i pezzi avremo che: tutto è possibile ed è pronto all’uso senza che io debba pensarci, abituarmici, studiare, comprendere, imparare. Come avvertiva Mounier, riferendosi ai totalitarismi, il passo da tutto è possibile a tutto è permesso è piuttosto breve e veloce.

Di qui poi l’ultimo e decisivo passo: tutto è permesso sull’uomo. In termini di bioetica, di politica, di società e di tecnologia. Oggi tutto è permesso alla tecnologia e tutto è permesso sull’uomo se si tratta di applicazioni tecniche e tecnologiche. Tutto è plug and play, con un certo fastidio quasi che nell’essere umano non ci siano già opportune derivazioni che permettano di inserire cavi e dispositivi. 

In questo contesto davvero diventa decisivo riprendere in mano il plug and pray. Non affinché lo strumento funzioni, ma affinché il funzionare non sia il termine ultimo a cui aspira l’umano divenuto strumento.

Un cacciavite dunque aiuta a pensare e vivere meglio. Conoscere il funzionamento della macchina, aprire la macchina per guardarci dentro è un’operazione che permette alcune scoperte e interiorizza alcune certezze. La prima è che una macchina è una macchina, non è un artefatto magico che realizza sogni a costo zero. Essa funziona, mentre noi viviamo.

Idoli da smontare

Sapere a grandi linee come funziona una macchina ci permette di capire meglio come s’innesta nella nostra esistenza e come le nostre esistenze siano innestate in essa, chi sia davvero funzionale a chi. La conoscenza della macchina desacralizza chi le costruisce, vende, propone e progetta. E togliere l’aura divina da un idolo è sempre una buona idea.

Infine la conoscenza della macchina ci aiuta a comprendere che essa è costruita, noi no. Noi non siamo costruiti, per questo siamo in grado di costruire. Noi siamo creati o generati, non assemblati. In un tempo di cultura tecnica, la riappropriazione di questo principio è ri-fondativa di qualunque forma di personalismo decente e di un umanesimo che non sia una semplice spolverata umanista a un sistema altrimenti tecnico-burocratico-finanziario.

Qualche suggestione in libertà, all’inizio dell’anno sociale, per continuare la riflessione nei nostri prossimi incontri on-line. 

 

Luca Peyron è presbitero della diocesi di Torino, docente di Teologia all’Università cattolica di Milano e all’Istituto universitario salesiano Torino Rebaudengo, e di Spiritualità delle tecnologie emergenti all’Università di Torino. Ha scritto Incarnazione digitale (Elledici, Torino 2019). 

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