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Moralia Blog

Religioni che pregano insieme. Come sorelle

Una giornata di preghiera per l’umanità: questo ha promosso per il 14 maggio l’Alto Comitato per la fratellanza umana, costituito nell’agosto del 2019, sulla scia del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune (il testo siglato il 4 febbraio 2019 durante lo durante lo storico incontro tra papa Francesco e il grande Imam di Al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, ad Abu Dhabi).

Presieduto dal card. Ayuso Guixot, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, il Comitato vede la presenza di leader religiosi ed esponenti della cultura di tutto il mondo, legati al mondo cristiano, a quello ebraico e a quello musulmano. Ai fedeli delle diverse religioni esso rivolge l’invito a «rivolgersi a Dio pregando, supplicando e facendo digiuno e le opere di misericordia», affinché «ci salvi da questa afflizione, aiuti gli scienziati a trovare una medicina che la sconfigga», ma anche perché il nostro mondo divenga un luogo più umano e fraterno in cui vivere.

La preghiera

Un’iniziativa importante, che rimanda a una relazione tra le religioni nel segno del riconoscimento reciproco – pur nelle differenze – e alla percezione di un’esperienza religiosa plurale, che vive come grembo fecondo di fraternità e sororità.

La pandemia, evidenziando la vulnerabilità condivisa della famiglia umana, diviene occasione per un’invocazione pure condivisa, indirizzata a quella misericordia fondante che tutte le fedi confessano, senza misconoscere la diversità – talvolta profonda – delle prospettive.

Trova qui espressione quella valenza civile e pacificante delle religioni, che va coltivata e custodita contro la minaccia della violenza.

Il ritorno

Difficile pensare a una migliore occasione per qualche spunto di riflessione su un’altra vicenda, che ha toccato in questi giorni il nodo delle relazioni tra le religioni: la liberazione di Silvia Romano. La prima reazione – la gioia per la fine della prigionia della giovane cooperante – è stata presto sostituita nell’immaginario di molti dallo sconcerto per il suo passaggio all’islam, troppo prontamente divulgato dai media. Forse una prima cosa da chiedersi, in effetti, è se non sarebbe stato possibile un maggior rispetto per la privacy di chi ha attraversato un periodo così lungo e difficile.

Immediatamente però la seconda domanda, indirizzata invece all’ansia da valutazione che sembra aver preso molti di coloro che di Silvia parlano. Ingratitudine verso il proprio paese e i valori occidentali? Sindrome di Stoccolma? Cedimento alla pressione propagandistica dei suoi catturatori? Apostasia? Tante le diagnosi accusatorie pronunciate su Silvia Romano, da diversi punti di vista, in toni talvolta beceri, talvolta paternalistici, quasi sempre segnati dallo stereotipo della «debole donna» o dell’«ingenua giovinetta» che diviene una «traditrice». Il primo dato da considerare è però che mancano troppi elementi per comprendere cosa sia davvero accaduto nella sua vita in questi mesi, e di ciò di cui non si può parlare – wittgensteinianamente – sarebbe assai meglio tacere.

Certo tra le molte possibilità disegnate quella che sembra restare aliena allo sguardo di molti commentatori è che Silvia sia realmente stata affascinata dalla potenza religiosa del Corano (che ha letto in condizioni certo drammatiche), trovandovi forza. Non c’è qui forse un’incapacità di riconoscere un’alterità spirituale che – certo distante da quella della tradizione occidentale – merita comunque rispetto? Eppure: l’Italia conosce ormai da tempo la presenza di un islam vissuto in forme ben diverse da quelle violente e integralistiche dell’ISIS e di Al Shabab, un islam che sa convivere e contribuire attivamente alla pace.

Quale cammino ha scelto per sé Silvia? Non lo sappiamo: fa parte di quella storia che si gioca nella sua coscienza, nel segreto di un’intimità che è costitutiva della nostra dignità di esseri umani. Non a caso Dignitatis humanae è anche il titolo della dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa: libertà di essere religiosi e di esserlo in forme diverse, nell’impegno comune alla ricerca della verità e della pace.

In questo spazio prende significato anche la preghiera del 14 maggio, espressione di una fraternità tra differenze che permette e promuove vita buona, in una varietà di forme.

 

Simone Morandini è coordinatore del progetto «Etica, teologia, filosofia» della Fondazione Lanza e insegna all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia; è coordinatore del blog Moralia.

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