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Moralia Blog

Ricordando Bori: diritti umani e consenso etico fra culture

A nove anni di distanza dalla morte di Pier Cesare Bori, avvenuta il 4 novembre 2012, rimeditare il suo fertile lascito appare più che mai importante per tentare ciò che, in linguaggio confuciano, si chiamerebbe una rettificazione dei nomi, ossia una restituzione di senso e di pregnanza alle parole, una responsabile attenzione alla loro possibilità di incidere nei problematici scenari del nostro confuso presente, che sembra così propenso a svuotarle, a sprecarle, a consumarle, o a snaturarle in retoriche aggressive.

Un maestro

Impossibile riassumere in poche righe la poliedrica versatilità di interessi di questa eccezionale figura di maestro, di cui offre un’efficace rappresentazione, ad esempio, una bella nota biografica di Dino Buzzetti nel volume collettaneo in suo onore In the image of God. Foundations and objections within the discourse on human dignity (2010).

Per molti anni docente di Storia del cristianesimo, Filosofia morale e Diritti umani alla facoltà di Scienze politiche dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, e poco prima della scomparsa divenuto titolare della cattedra UNESCO per il pluralismo religioso e la pace, Bori condivideva il seminario di letture da lui fondato con i carcerati della Dozza di Bologna, e avvicinando distanti orizzonti di linguaggio e di pensiero esplorava in profondità fonti molteplici, d’Occidente e d’Oriente – da Gregorio Nisseno a Simone Weil, da Tolstoj al Laozi, da Pico a Freud, da George Fox a Ibn Tufayl ai testi buddhisti, solo per citarne alcune – alimentandovi un peculiare stile di pensiero, prossimo alle tradizioni sapienziali a lui care, come attestano, fra l’altro, gli scritti raccolti nella sezione a lui dedicata della rivista Inchiesta (www.inchiestaonline.it).

La sua straordinaria esperienza, intellettuale ed esistenziale, è stata da lui stesso compendiata in Incipit. Cinquant’anni cinquanta libri (2005) e nell’intensa autobiografia CV 1937-2012 (2012), scritta alla vigilia e nella lucida consapevolezza della propria fine.

Nelle prime pagine di questo curriculum sui generis che è anche una sorta di testamento spirituale, significativamente compaiono due dense parole, evocate in riferimento all’edizione cinese della Oratio de hominis dignitate di Pico promossa da Bori, e realizzata nel 2010 in collaborazione fra la Fondazione Scienze Religiose di Bologna e l’Università Beida di Pechino:

Vorrei tanto che il tema della concordia, hé , armonia/natura umana 性 xìng trovasse spazio in una riflessione comune.

La sua speciale attenzione per queste due dense parole che ci trasmette la Cina antica, così significativamente ribadita nei giorni estremi della sua esistenza, era iniziata sin dagli anni Ottanta, nell’ambito di un’approfondita riflessione sul tema dei diritti umani, che si accompagnava a un concreto impegno con Amnesty International.

Per un consenso etico fra culture

Rifiutandosi di circoscrivere la questione a un ambito meramente giuridico, Bori avvertiva l’esigenza di un più profondo confronto sul piano dei fondamenti e delle motivazioni, capace di impostarne una formulazione transculturale e di instaurare un rapporto fra tradizioni antiche e moderno linguaggio dei diritti.

Questa ricerca sfocia in Per un consenso etico tra culture (1991), che individua nel tema della compassione una risorsa essenziale e che, sfatando il luogo comune secondo il quale la Dichiarazione del 1948 sarebbe frutto di un’elaborazione meramente eurocentrica, ne pone in luce l’intrinseca dialettica interculturale:

L’universalità dei diritti dell’uomo non suppone una concezione definita e costante della natura umana, ma piuttosto una idea di natura come attitudine tendenzialmente universale a partecipare al bisogno e alla sofferenza dell’altro.

In particolare, in base ai documenti delle discussioni preparatorie della Dichiarazione, Bori pone in rilievo un aspetto generalmente ignorato: è 仁 ren, il «senso dell’umanità» confuciano a tradursi nel termine «coscienza».

Come spiegò il delegato cinese Peng Chun Chang (Zhang Pengchun) che ne propose l’introduzione, si tratta del senso profondo della reciprocità, del «sentimento che esistono gli altri esseri umani», ossia della consapevolezza del vincolo solidale e fraterno che li lega indissolubilmente, e che si deve tradurre in comportamenti a essa conformi, in termini di sollecitudine verso ciascuno e di assunzione di responsabilità verso l’intera comunità umana.

La nozione di diritti umani, dunque, si radica in una peculiare idea di concordia come umana religio: una direttrice che continuerà ad attraversare la riflessione di Bori negli anni seguenti, concretandosi nel suo lavoro su Pico e sull’Oratio de hominis dignitate – di cui egli, come s’è già ricordato, ha fra l’altro promosso la traduzione in cinese e in arabo (2010) – e nella sua ricerca sul tema dell’Imago Dei, intorno alla quale ha animato un largo confronto interdisciplinare e interculturale tradottosi in un importante convegno internazionale (2009).

Ma vi è profondamente legata anche una pratica pedagogica che appare oggi più che mai attuale, la sua già citata attività di promozione della lettura di testi di varie tradizioni, occidentali e orientali, sviluppata con i detenuti nel carcere della Dozza di Bologna: un’esperienza dal valore paradigmatico, tramite la quale egli sperimenta «la possibilità di un discorso etico e di una formazione etica che possano reggere alla prova della differenza culturale, in direzione di un ethos condiviso».

In tale prospettiva, ispirata dalla fiducia nella «luce che illumina ogni uomo», «laicità non ha il senso di agnosticismo, ma di pluralismo delle vie, irriducibilmente molteplici e tutte convergenti nel perseguire virtù e conoscenza» («Essere gharîb in questo mondo», in Inchiesta 144-145, 2004, www.inchiestaonline.it).

 

Amina Crisma, sinologa, è docente di Filosofie dell’Asia orientale all’Università di Bologna. Tra le sue pubblicazioni: Il Cielo, gli uomini. Percorso attraverso i testi confuciani dell’età classica, Libreria editrice Cafoscarina, Venezia 2000; Conflitto e armonia nel pensiero cinese dell’età classica, Unipress, Padova 2004.

Commenti

  • 12/11/2021 Francesco Compagnoni

    «L’universalità dei diritti dell’uomo non suppone una concezione definita e costante della natura umana, ma piuttosto una idea di natura come attitudine tendenzialmente universale a partecipare al bisogno e alla sofferenza dell’altro». Si possono fare tre osservazioni in proposito. 1) Dietro all’affermazione apparentemente condivisibile sta una concezione dell’etica e della vita morale dove il “sentimento morale”, la “compassione”, è il primo e decisivo principio fondativo. A livello psicologico noi possiamo condividere tutti i dolori e bisogni, ma il problema teoretico centrale non è in tal modo risolto. 2) Il problema è solo spostato quando non si accetti una definizione di natura umana (definizione che deve fungere da criterio di giudizio morale) e si dice che basta tener conto dei bisogni e sofferenze altrui. Come si fa a riconoscere i bisogni espressi come autentici, accettabili universalmente, e separare i tipi di sofferenze? Come sapere se la sofferenza (ad es. di non essere dominante nel proprio gruppo di pari da parte di un adolescente) è riconoscibile come condivisibile e quindi da supportare? 3) Nella vita morale reale il principio dato da Pier Cesare Bori (basta il sentimento morale) è valido per molti casi e per diverse epoche, ma non in tutti e non sempre. Come è evidente.

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