Un nuovo codice di Camaldoli

Il 13 settembre presso il monastero di Camaldoli è stato presentato ufficialmente il Nuovo codice di Camaldoli.
Si tratta di un documento in cui un centinaio di universitari ed esperti di area cattolica e laica presentano un modello per lo sviluppo economico dell’Unione Europea.
Viene chiamato Nuovo codice perché si rifà – per i contenuti e per il luogo dell’elaborazione finale – a un altro documento. Durante la guerra, nello stesso luogo alcune decine di universitari cattolici e membri dell’Azione cattolica si riunirono per formulare un nuovo modello di stato, di società e di politica economica. Queste persone lavorarono alla stesura finale nella settimana intorno al 19 luglio 1943 (giorno del grande bombardamento alleato di San Lorenzo a Roma), restando addirittura bloccati nel monastero.
È interessante paragonare lo schema del Codice del 1943 a quello del Nuovo codice di Camaldoli. Il vecchio codice era diviso in sette punti: lo Stato, la famiglia, l’educazione, il lavoro, produzione e scambio, attività economica, vita internazionale. Il nuovo documento invece è strutturato essenzialmente sull’aspettativa degli estensori (come della grande maggioranza dei cittadini dell’UE) che l’attività dell’Unione diventi efficiente e realizzi finalmente i valori cui s’ispira nella realtà politica e sociale.
«I valori già proclamati nella Carta dei diritti dell’Unione e nel Trattato di Lisbona richiedono di essere rinnovati, approfonditi e, soprattutto, attuati: libertà, fraternità e uguaglianza; democrazia liberale e stato di diritto; solidarietà, sussidiarietà e partecipazione; bene comune e giustizia sociale; sviluppo sostenibile ed ecologia integrale; identità culturale e umanesimo europeo; pace e nonviolenza»
Gli echi di Ventotene
Non bisogna dimenticare che nel 1941 era già stato redatto l’altrettanto famoso Manifesto di Ventotene (A. Spinelli), dove da parte laica era formulato un progetto di Unione Europea, e che fu lanciato sempre nel 1943 dopo la caduta del fascismo.
I documenti sia di Camaldoli e che di Ventotene servirono di base per l’Unione Europea voluta da De Gasperi, Adenauer, Spaak, Monnet, Schuman, Spinelli e da altri europeisti.
Ora, però, non si tratterebbe di fare qualche cosa di totalmente nuovo rispetto all’assetto politico vigente. «L’orizzonte verso cui vogliamo muoverci è la costruzione di un’autentica Federazione europea costituita da tutti i paesi che attualmente fanno parte dell’Unione e aperta a ulteriori allargamenti e processi di cooperazione. Solo costituendo un autentico governo federale, pienamente legittimato dal punto divista democratico e dotato dei necessari poteri e strumenti di governo, sarà possibile superare l’attuale debolezza dei singoli Stati membri dell’Unione e i limiti imposti a essa da un processo intergovernativo che coinvolge oggi 27 paesi e per il quale si prospettano ulteriori ampliamenti»
A Camaldoli è stata quindi lanciata la proposta di un gruppo di Stati più volenterosi degli altri, che pur restando nell’Unione Europea siano disposti a cedere una maggior parte della propria sovranità per arrivare veramente ad avere una politica economica, sociale, estera e anche militare che funzioni.
L’appello alla pace
L’ultima parte del Nuovo codice di Camaldoli mi sembra, però, mostrare una struttura più astratta, nel senso che riprende sulla pace l’ispirazione della Fondazione La Pira di Firenze. Sembra un appello morale più che lo schizzo di un programma politico. Per il blocco istituzionale della governance dell’UE il documento presenta, oltre all’elenco dei valori da attuare, la proposta di un gruppo di Stati volenterosi disposti a sacrificare il loro interessi nazionalisti alla Federazione di Stati; ma sulla pace non trovo nessuna indicazione operativa. Se non quella di una difesa comunitaria, di fatto direttamente irrealizzabile, come lo fu negli anni ’50 la Comunità europea di difesa (CED).
Il testo (lungo più o meno come quello del 1943) si trova in https://www.associazionenuovacamaldoli.it.
Il testo del 1943: https://giuseppecapograssi.wordpress.com/wp-content/uploads/2012/12/codice_di_camaldoli1.pdf.
P.S. Noi teologi morali italiani, dopo tanti anni di incontri e scontri sulla morale fondamentale e generale, dovremmo impegnarci su problemi sociali come quelli elencati. E vedremmo che le nostre posizioni non sono poi così lontane nella loro funzione di interpretazione della vita morale reale. Ci sentiremmo sfidati a portare un contributo teologico ai politici e agli studiosi impegnati con la politica. Come fece allora Pietro Pavan, estensore della Pacem in terris (1963). Ed anche mons. Carlo Colombo, che aveva appena tradotto (1940) Il maestro chiama di F. Tillmann, che fu il maestro ed ispiratore di B. Häring. Anche G.B. Montini ha avuto un reale ruolo di ispiratore, attraverso i «suoi fucini».