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Moralia Blog

Un referendum insidioso

Si sono finalmente accese alcune (deboli) luci sul referendum del 20 e 21 settembre, e il quesito è noto: chiede di ridurre i parlamentari italiani, da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 i senatori.

Dal 1983 tutte le riforme costituzionali presentate in Parlamento hanno incluso il taglio dei parlamentari, anche per i costituenti il numero dei deputati non è mai stato un dogma.

Ma in questa legislatura il dictum factum del Parlamento è stato come un fulmine a ciel sereno. Da maggio a ottobre del 2019 è stata votata dal Parlamento – con 553 voti a favore e solo 14 contrari – la riforma della legge costituzionale del 9 febbraio 1963 che fissa il numero dei parlamentari. Hanno votato a favore le forze di maggioranza (M5S, PD, Italia Viva, LEU) e quelle di opposizione (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia). La riforma non è entrata in vigore solo perché 71 senatori hanno richiesto di sottoporla alla volontà popolare.

Sul quesito, però, gli elettori rimangono disorientati a causa di un dibattito debole spesso costruito a suon di slogan. Così, per aiutare a discernere proveremo a individuare le principali ragioni del «No» e del «Sì».

È noto come gli schieramenti politici siano scesi in campo. Sostengono il «No» da Berlusconi a Prodi a Calenda, da Bonino a Renzi, dal movimento delle Sardine ai giovani del PD fino alla sinistra più radicale. Il «Sì» è sostenuto invece da M5S, Lega, Fratelli d’Italia, il PD di Zingaretti e di Bonaccini, Letta, buona parte dell’area riformista.

C’è un però. La riforma costituzionale richiede anzitutto una riflessione culturale prima di entrare nel dibattito politico, perché tocca un tassello piccolo ma centrale del mosaico costituzionale. Per questo è utile porsi alcune domande di natura etica: quale tipo di democrazia stiamo costruendo? Su quali princìpi è fondata? Di quali riforme costituzionali (urgenti) ha bisogno il paese? Senza un «perché», il «cosa» rischia di perdere il suo significato.

Le ragioni del «NO»…

I sostenitori del «No» ritengono sia una riforma incompleta, Castagnetti parla di una «sforbiciata» decontestualizzata dal tutto. Lo ritengono un voto politico in favore o contro il M5S, che non ha mai sostenuto la democrazia rappresentativa. Gli stessi Casaleggio e Grillo sono a favore della «demarchia», l’estrazione a sorte dei rappresentanti del Parlamento, di cui fa cenno Aristotele nella Retorica, e in seguito teorizzata nel 1985 nell’opera Is democracy possible? The alternative to electoral politics del filosofo john Burnheim.

La riduzione dei «privilegi della casta» porterebbe a un taglio di spesa di circa 57 milioni l’anno, pari allo 0,007% della spesa pubblica. La somma però, secondo Carlo Cottarelli e altre voci sostenitrici del «No», potrebbe essere ricavata dalla riduzione dei costi e dei benefici ai parlamentari.

C’è poi il rischio che il taglio penalizzi la rappresentanza delle minoranze e condizioni l’elezione del Presidente della Repubblica. Per Prodi invece la qualità dei parlamentari non dipende dalla quantità ma dalla competenza.

… e quelle del «Sì»

La riduzione dei parlamentari, secondo i sostenitori del «Sì», porterebbe l’Italia in linea con il numero delle grandi democrazie: siamo il Parlamento più affollato d’Europa, la Francia ha 577 deputati, la Spagna 350, il Portogallo 230, la Croazia 151; rinforzerebbe il peso politico dei singoli deputati davanti al Governo e alla Magistratura.

Il «Sì» garantirebbe la trasparenza e la responsabilità: sarà più semplice individuare le posizioni dei singoli parlamentari. La distanza tra eletti ed elettori si ridurrebbe e il Senato potrebbe assumere una vocazione territoriale.

Il terzo punto, infine, riguarda lo spirito riformatore del voto, «che è la realizzazione del bene possibile», scrive Giorgio Tonini che aggiunge: «Si fa quello che si può, nelle condizioni date e nel tempo che ci è dato vivere. Poi (ri)proveremo, ancora una volta, a superare il bicameralismo paritario, che è la vera riforma del Parlamento. Una riforma che il “Sì” non ci regala, ma rende meno impossibile del “No”».

Quando nel 1963 si stabilì il numero dei parlamentari, il Parlamento era l’unico legislatore. Oggi esistono 800 legislatori regionali e molta della normativa approvata dal Parlamento italiano è recepita dall’Unione Europea.

È stato un errore associare il referendum al voto per i 5 Consigli regionali: la campagna elettorale potrebbe falsarne l’esito e creare flussi non omogenei tra regioni.

L’ideale sarebbe stato votare dopo una revisione dei regolamenti parlamentari, la ridefinizione degli elettori del presidente della Repubblica e l’approvazione di una legge elettorale condivisa. 

Occorre dunque discernere. Nel quesito si nasconde la rotta costituzionale che il paese sceglierà di avere.

 

Francesco Occhetta, gesuita, coordina il cammino di formazione alla politica Connessioni e insegna alla Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale, Sezione San Luigi.

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