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Moralia Blog

Una cosa è giusta perché Dio la vuole? Parlando con Kierkegaard e Lévinas

Senza esitazione il credente spesso ripete: bisogna fare la volontà di Dio. Senza altrettanta esitazione il non credente risponde: dal tuo punto di vista ci mancherebbe altro! Se un credente non fa la volontà di Dio, che cosa dovrebbe fare? Il non credente può, però, pungolare il credente, chiedendogli come faccia a conoscere la volontà di Dio. Le risposte potrebbero essere tante, tutte veicolate in un solo movimento: la volontà di Dio la si conosce.

Questo è il tema centrale che può animare un dialogo tra credente e non credente. Può accadere, tuttavia, che la stessa domanda che usa il non credente per pungolare il credente venga fatta propria da un credente stesso che si rivolge a un altro credente: noi, credenti, dobbiamo fare la volontà di Dio, ma qual è? Il tema diventa un problema.

Una lezione difficile

Il problema a cui si fa riferimento esprime una tensione insopprimibile, la cui scaturigine si sostanzia del contrasto tra l’etico e il religioso. A questa tensione il teologo moralista non distoglie mai l’attenzione o non dovrebbe mai farlo, perché essa costituisce la lezione più difficile della sua professione. Il problema è vasto, complesso e complicato, antico e sempre nuovo nel momento in cui ci si chiede in che cosa consista la volontà di Dio.

‘Pro-cedere’ da chi ci ha ‘pre-ceduto’

Søren Kierkegaard e Emmanuel Lévinas, l’uno distante dall’altro di solo un secolo, potrebbero aiutarci ad esemplificare, perché posando lo sguardo sulla figura di Abramo, rendono bene la tensione a cui ho accennato. In Abramo, al quale Dio chiede di sacrificargli il figlio Isacco, Kierkegaard vi legge una sospensione dell’etica di fronte all’assolutezza di Dio; Lévinas, diversamente dal pensatore danese, nella medesima vicenda di Abramo, vi legge la nascita dell’etica in forza della presenza di Dio.

Volontà di chi e di che cosa?

Di fronte a un interrogativo morale l’insuperabile disputa riemerge drammaticamente: «prendi tuo figlio […] e offrilo in olocausto […]» (Gen 22,2) o «non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male» (Gen 22,12)? I due filosofi, insieme, ci sospingono a chiederci: una cosa va fatta perché è giusta oppure perché Dio lo ha comandato?

Procedere ancora…

Senza neanche aver fatto molta strada ci possiamo permettere di riformulare l’interrogativo per procedere ulteriormente: che cosa significa poter interpretare e vivere cristianamente e responsabilmente la propria vita nella realtà concreta in cui viviamo e operiamo?

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