I metodi naturali: norma o stile di vita? / 2
Non c’è dubbio: il magistero romano
intende il divieto dei metodi di contraccezione cosiddetti artificiali in senso
normativo. Paolo VI dichiara nell’Humanae
vitae che debba essere “esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto
coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze
naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione
[…]. È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo,
e perciò intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato dall’insieme di
una vita coniugale feconda” (n. 14).
L’argomentazione è di carattere giusnaturalistico, il papa rimanda infatti alle norme della legge naturale, secondo la quale vi si trova una “connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo” (n. 12). Il magistero romano non cessa di sottolineare fortemente l’unione inscindibile tra l’amore coniugale e la trasmissione della vita. Tuttavia realisticamente bisogna costatare che questa dottrina ha sollevato fino a oggi molte difficoltà e che da parte della stragrande maggioranza dei fedeli non viene riconosciuta nella sua dimensione positiva.1 Questo spesso impedisce di valutare l’uso dei metodi naturali in una prospettiva integrale, il loro significato in senso etico-sociale e sul piano della vita matrimoniale per la coppia stessa. Non si rende giustizia alla dottrina della Chiesa se essa viene letta esclusivamente in prospettiva etico-normativa.
I metodi naturali
Papa Benedetto XVI nel libro-intervista Luce del mondo ribadisce che “la regolazione naturale delle nascite non è unicamente un metodo, ma un cammino, perché presuppone che i coniugi abbiano tempo l’uno per l’altro, che si viva una relazione che dura nel tempo”.2 Già il dottor Josef Rötzer (1920-2010), che a partire dagli anni ’60 ha studiato e sviluppato con sempre più accuratezza il metodo sintotermico per la regolazione naturale della fertilità, ha sottolineato fin dall’inizio delle sue ricerche scientifico-mediche che la regolazione naturale non rappresenta soltanto un metodo, ma piuttosto l’espressione di uno stile di vita matrimoniale.
Per elaborare la prospettiva dei metodi naturali per la regolazione delle nascite come via e stile di vita matrimoniale, devono essere approfondite tre questioni: (1) il contesto etico-sociale e politico dell’enciclica Humanae vitae, (2) la percezione personalistica della sessualità e dell’atto coniugale, (3) l’impatto concreto che l’uso del metodo naturale può avere sulla vita relazionale di una coppia.
1) Per capire il contesto etico-sociale e politico dell’Humanae vitae si deve considerare il lungo e complesso processo della sua genesi,3 che ebbe inizio nel marzo 1963, quando Giovanni XXIII costituì una Commissione incaricata di studiare i problemi della popolazione, della famiglia e della natalità. Oltre alla questione della valutazione morale dei metodi contraccettivi, ci si chiedeva innanzitutto come affrontare la crescita demografica a livello mondiale. Alla base c’era anche il timore giustificato che i paesi industrializzati avrebbero vincolato i loro aiuti ai paesi in via di sviluppo attraverso programmi di limitazione delle nascite con l’imposizione di metodi contraccettivi. La risposta da parte della Chiesa attraverso l’Humanae vitae fu un deciso no all’intento di legare i programmi di aiuto a una forzata limitazione delle nascite, sostenendo in modo chiaro e deciso la libertà di procreazione delle famiglie nei paesi in via di sviluppo. L’enciclica Humanae vitae veniva infatti recepita con favore nella stragrande maggioranza dei paesi africani.
2) Il secondo aspetto riguarda la percezione personalistica della sessualità e dell’atto coniugale. L’allora card. Karol Wojtyla, un difensore veemente della valenza normativa dell’Humanae vitae, in un commento all’enciclica, pubblicata su L’Osservatore romano il 5 gennaio 1969, riconobbe tuttavia che l’argomentazione giusnaturalistica era da integrarsi con quella personalistica.
Questa visione, che supera la lunga tradizione della percezione biologistica e funzionalistica della sessualità e dell’atto coniugale, riconosce che l’atto sessuale è sempre integrato nel matrimonio, che è intima comunità di vita e d’amore coniugale (cf. Gaudium et spes 48). L’intima unione non ha come primo scopo la procreazione, ma è anche mutua donazione di due persone che si amano. Più tardi il magistero intenderà la sessualità e l’intima unione come linguaggio del corpo attraverso il quale gli sposi si comunicano a vicenda il loro amore e la loro donazione totale.
Afferma Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio: “Quando i coniugi, mediante il ricorso alla contraccezione [artificiale, nda], scindono i due significati che Dio creatore ha inscritti nell’essere dell’uomo e della donna e nel dinamismo della loro comunione sessuale, si comportano come ‘arbitri’ del disegno divino e ‘manipolano’ e avviliscono la sessualità umana, e con essa la persona propria e del coniuge, alterandone il valore di donazione ‘totale’. Così, al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione oppone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè del non donarsi all’altro in totalità: ne deriva non soltanto il positivo rifiuto all’apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell’interiore verità dell’amore coniugale, chiamato a donarsi in totalità personale” (n. 32).
In questa prospettiva antropologica la contraccezione artificiale viene interpretata come una forma di “menzogna”. L’espressione corporea della propria donazione totale e dell’accettazione piena e mutua dei partner viene frammentata: la capacità maschile di generare ossia quella femminile di concepire vengono escluse e rigettate.
(3) Infine è da considerasi l’impatto concreto che l’uso del metodo naturale può avere sulla vita relazionale di una coppia. Lasciando da parte considerazioni sull’effettiva possibilità di tutte le coppie a seguire questo metodo (per motivi medici o personali), molte coppie che seguono questa via testimoniano i suoi effetti positivi, menzionati anche nella Familiaris consortio: “La scelta dei ritmi naturali comporta l’accettazione del tempo della persona, cioè della donna, e con ciò l’accettazione anche del dialogo, del rispetto reciproco, della comune responsabilità, del dominio di sé. Accogliere poi il tempo e il dialogo significa riconoscere il carattere insieme spirituale e corporeo della comunione coniugale, come pure vivere l’amore personale nella sua esigenza di fedeltà. In questo contesto la coppia fa l’esperienza che la comunione coniugale viene arricchita di quei valori di tenerezza e di affettività, i quali costituiscono l’anima profonda della sessualità umana, anche nella sua dimensione fisica” (nr. 32). Ciò emerge soprattutto se si parla della regolazione naturale delle nascite non unicamente come metodo, ma come un cammino, uno stile di vita matrimoniale.
Interrogativi aperti
Riconoscendo senz’altro “la ricchezza di sapienza contenuta nell’Humanae vitae”,4 che in questo contributo abbiamo voluto evidenziare a tre livelli, rimane tuttavia aperta una grande sfida, cioè quella che s’interroga sui suoi rispettivi valori e obiettivi, eticamente senz’altro legittimi e desiderabili: possono essi essere realizzati e tutelati solamente attraverso una condanna senza eccezione alcuna dei metodi artificiali per la regolazione delle nascite, ossia attraverso un’interpretazione rigida ed esclusivamente etico-normativa della rispettiva dottrina della Chiesa?
La criteriologia per la valutazione etica dei rispettivi metodi deve essere comunque completata con il riconoscimento della libertà di coscienza dei partner5 e con la tutela della loro salute, in modo particolare della donna. Il Sinodo tedesco di Würzburg del 1975 sintetizzò in proposito: “Il metodo usato non può […] offendere moralmente nessuno dei due coniugi oppure limitarlo nella sua capacità di amare.”
1 Cf. l’Instrumentum laboris della IIIa Assemblea generale straordinaria dei vescovi, Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione (2014), n. 123-125.
2 Benedetto XVI, Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald, Vaticano 2010, 206.
3 Vedi M.M. Lintner, Humanae vitae: eine genealogisch-historische Studie, in J. Ernesti (a cura di), Paolo VI e la crisi postconciliare. Giornate di studio a Bressanone, 25–26.2.2012 [= Pubblicazioni dell‘Istituto Paolo VI., vol. 32], Brescia 2013, 16–53.
4 Cf. l’Instrumentum laboris della XIVa Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo (2015), n. 137.
5 Cf. ivi, n. 137: “Tenendo presente la ricchezza di sapienza contenuta nella Humanae vitae, in relazione alle questioni da essa trattate emergono due poli da coniugare costantemente. Da una parte, il ruolo della coscienza intesa come voce di Dio che risuona nel cuore umano educato ad ascoltarla; dall’altra, l’indicazione morale oggettiva, che impedisce di considerare la generatività una realtà su cui decidere arbitrariamente, prescindendo dal disegno divino sulla procreazione umana. Quando prevale il riferimento al polo soggettivo, si rischiano facilmente scelte egoistiche; nell’altro caso, la norma morale viene avvertita come un peso insopportabile, non rispondente alle esigenze e alle possibilità della persona. La coniugazione dei due aspetti, vissuta con l’accompagnamento di una guida spirituale competente, potrà aiutare i coniugi a fare scelte pienamente umanizzanti e conformi alla volontà del Signore.”