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Moralia Dialoghi

Parlare di Dio sul Web: theobloggers

Anche i blog hanno una storia

Per parlare di blog, uno strumento comunicativo piuttosto recente e con finalità molto diverse tra loro - dal diario personale-collettivo, alla piattaforma informativa fino allo strumento di marketing, ora sempre più in concorrenza con i social media - occorre un po’ di storia.

Secondo www.blooacademy.it fu Jorn Barger che inventò a metà degli anni Novanta il web-log ovvero il logging the web. La formula iniziale del blog (termine poi coniato da Peter Merholz nel 1999) era un embrionale strumento di condivisione di freddi e interminabili elenchi di risorse o appunti molto utili in completa assenza dei motori di ricerca. Il noto motore Google di Larry Page e Sergey Brin nasce infatti nel 1997 e viene registrato come dominio nel 1998.

L’interesse per i blog è tale che nel 2003 nasce GoogleAdsense che abbina ai contenuti dei blog le inserzioni pubblicitarie, offrendo così una possibilità di monetizzazione; nasce Wordpress e il blog entra nei sacri palazzi della comunicazione come la BBC; nello stesso anno nasce anche l’Huffington Post.

Il tempo sulla Rete scorre veloce e tra il 2009 e il 2010 si teme la fine dei blog a vantaggio dei social media. In realtà non è stato così e, anzi, i blog diventano sempre più diffusi e sempre più usati anche dalle istituzioni le più diverse (oltre le testate giornalistiche, musei, pubbliche amministrazioni, associazioni, partiti) che si servono di tale strumento per comunicare con velocità e immediatezza; sempre più difficile effettuarne una catalogazione. Secondo https://storiadiinternet.wordpress.com, nel 2010 esistevano più di 70 milioni di blog attivi in tutto il mondo, di cui 400.000 erano italiani. Oggi se ne contano circa 440 milioni.

La figura del blogger i cui post sono seguiti e molto commentati assume una crescente importanza a prescindere dal fatto che sia un giornalista o un esperto specifico; questi spazi virtuali para-editoriali assurgono al rango di fonte di informazione anche politica – pensiamo anche al caso politico del Movimento 5 Stelle in Italia – ha portato alla richiesta pressante di vincoli legislativi. Nel 2007 il Governo (ministro per le Comunicazioni era Paolo Gentiloni) presentò un disegno di legge sulla riforma dell’editoria, in cui veniva stabilito per i blog l’obbligo della registrazione come testata editoriale: la postilla non venne accettata dal mondo web (aspra fu la protesta fatta da Beppe Grillo dal suo blog), la disputa arrivò in tribunale e in Corte di Cassazione, la quale nel 2011 ha ritenuto ammissibile il sequestro preventivo di un articolo “asseritamente diffamatorio” pubblicato su un blog, ma solo se si tratta di un giornalista professionista. Una riflessione ancora aperta a cui non si è stati in grado di dare risposte concrete e costruttive. La domanda è il vecchio “reato a mezzo stampa” è da estendere ai blog, ai social e al web?

Certo è che l’uso del blog ha portato a una nuova e «continua dialettica fra espressione del sé e relazione sociale in uno spazio pubblico» (Elisabetta Locatelli, The Blog Up. Storia sociale del blog in Italia, Franco Angeli), quindi a un nuovo modo di incontrarsi, confrontarsi e informarsi. E questa rivoluzione sociale e comunicativa avrà ancora tante pagine da scrivere.

Una piccola postilla potrebbe essere fatta sui blog dei giornalisti che lì scrivono ciò che non possono/vogliono sul giornale/portale dal quale sono stipendiati, con continue dissonanze tra i contenuti dell’uno e dell’altro…

I blog e Il Regno

La rivista Il Regno si è dotata negli anni Novanta di un sito, per rendere fruibile non solo la rivista ma anche il suo ricco archivio. Il primo blog vero e proprio venne solo nel 2013 con L’Indice del Sinodo: l’occasione dei due Sinodi indetti da papa Francesco per il tema della famiglia come segnale di una nuova sottolineatura della Chiesa fece pensare alla redazione di investire energie (e quante ce ne vogliono, anche in termini di tempo!) in un blog dedicato all’evento ma che rimanesse in forma stabile. Poi nacque un blog più modesto, ma utile punto d’appoggio che fu Il blog del Regno.

Mentre si stava pensando a un restyling del sito Internet che prevedesse al proprio interno spazi per dei blog, venne l’idea di Moralia, la cui data ufficiale di nascita è stata il 25 marzo 2015. Il blog, curato dall’Associazione teologica italiana per lo studio della morale ha ad oggi ha pubblicato 265 post: 88 all’anno, cioè 1 ogni 4 giorni, escludendo i mesi di luglio e agosto. Dai post fondativi del blog, Moralia nasce come «Luogo di discernimento, luogo in cui esercitare la libertà di coscienza e la sua formazione di fronte al cambio dei paradigmi etici che non solo sembrano venire meno ma cambiano di segno».

Infine, è neo-nato il 1o novembre 2017 Il Regno delle donne che a oggi ha pubblicato 25 contributi che vanno dalla Riforma alla riforma; dalla violenza di genere alla comunicazione; al ruolo della donna nella Chiesa alle questioni sociali e lavorative. Esso nasce come «Luogo per prendere la parola e dire teologicamente della differenza e del genere», «intesi come ipotesi di ricerca e istanze di trasformazione». È riandare a temi, lessici e a stereotipi non ancora tramontati».

Fare blog per noi è quindi un esercizio collettivo di discernimento anche ecclesiale. Fare blog per una rivista è anche dare risposta alla richiesta di ripensare alle gerarchie comunicative e alle spinte della disintermediazione della comunicazione senza destrutturarla completamente.

È, infatti, un nostro modo per resistere e motivare la nostra resistenza a mettere tutto sullo stesso piano, a considerare in-differente ogni informazione, a ritenere che la carta sia del passato (oggi un po’ tutti si accorgono che non è così perché la variabile del tempo di lettura è anche una variabile di tipo qualitativo) e che l’accuratezza delle fonti non sia importante (parliamo di fake news?) o che non esiste gerarchia delle fonti.

Occorre oggi giocarsi in pubblico la risposta a queste tentazioni e a questi contro-circuiti comunicativi; occorre insistere, più e più volte, usando un linguaggio che non sia mai nulla per scontato e possa immaginarsi comprensibile per il lettore anonimo e distratto della Rete che forse è anche quello che frequenta i banchi delle nostre parrocchie.

Questa è la sfida alla quale come rivista desideriamo rispondere facendo e ospitando blog.

Etica nel cyberspazio (con alcuni assaggi)

Cyberspazio: un'espressione risalente all'immaginifico scrittore cyberpunk William Gibson, che ne ha fatto ampio uso a partire dalla metà degli anni '80 (il racconto La notte che bruciammo Chrome risale al 1982). Egli scriveva da pioniere, ancora su una macchina da scrivere, in un'epoca remota per le dinamiche della tecnologia: da poco nata Internet (ancora soprattutto per la comunità scientifica - oltre al mondo militare, da cui proveniva); ancora da venire il World Wide Web. Parecchie sue opere (Neuromante, Mona Lisa Cyberpunk, Giù nel cyberspazio....) sono ormai diventate oggetti di culto, non tra gli appassionati di fantascienza... ma sono state anche nel frattempo per molti aspetti largamente superate dal procedere della tecnica e del costume.

Oggi ad abitare quella che diciamo Rete non sono più solo pochi tecno-esperti cow-boys o neuromanti (espressioni di Gibson): è una semplice dimensione quotidiana per un numero crescente di uomini e donne. Anzi, come pesci nell'acqua, ci siamo ormai così immersi in essa che forse neppure ci rendiamo conto di quanto abbia cambiato radicalmente, in pochi decenni la vita personale e professionale di tanti uomini e donne.

Vale la pena in tal senso di tornare talvolta a riflettere criticamente - anche da un punto di vista teologico - su un tessuto connettivo sempre più pervasivo. In questo contesto andrebbe posta anche la sfida che sta al centro di questo Dialoghi: che significa parlare di Dio nella Rete? Come risuona tale parola nel cyberspazio? L’interrogativo andrebbe posto in due direzioni…

- Quali rischi si corrono? Come evitare, ad esempio, di dissolverne il denso contenuto in una comunicazione che sempre più si vuole veloce e d'impatto? Ma anche, più radicalmente: una fede radicata nella Parola eterna - incarnata, scritta e predicata - può abitare lo spazio di parole plurali e transeunti che è la Rete? La Bibbia – libro di libri, Libro per antonomasia – può mantenere la propria maiuscola in forma di e-book (modificabile, portabile, magari esposto ai rischi di Google-translator o dei suoi equivalenti)?

- E, d'altra parte, quali guadagni concettuali possono emergerne? Quali modelli di relazione e di comunicazione si possono esplorare teologicamente? La stessa idea di Rete – assunta ovviamente con le dovute cautele – non può ispirare significative forme ecclesiali di relazione, meno gerarchiche? E non è possibile narrare significativamente in Rete qualcosa dell'esperienza cristiana, della vita buona che in essa germina, del discernimento che essa ispira? Farlo senza cedere al fascino dell'im-mediato, che lascia indietro la complessità?

Moralia: storia di un blog

Sono questioni non banali, sui cui si sono interrogati diversi osservatori (in Italia Spadaro, Benanti, Mocellin...); interessante ragionarne anche in questa sede, ma il mio compito - più delimitato, più specifico - è quello di ripensare l'esperienza di Moralia, il blog di etica gestito dall’ATISM sul sito de Il Regno. Lo farò per punti:

In primo luogo, una minima cronologia:

  • Un'inizio, tre anni fa il 25 marzo 2015; occorre ringraziare Il Regno e il suo direttore Gianfranco Brunelli per un invito lungimirante ed importante - ancor più per un‘ATISM, che da poco era "orfana" della "Rivista di Teologia morale", per tanti anni condotta con maestria da Luigi Lorenzetti, tornato al Padre pochi giorni fa. Un grazie da estendere alla redazione per il prezioso supporto in questi anni. Di qui ha preso le mosse una prima fase ricca ed intensa: abbiamo atteso e accolto la Laudato Si', vissuto il Convegno Ecclesiale di Firenze ed intanto messo a punto uno stile di lavoro; un grazie in tal senso a Gaia De Vecchi, insostituibile coordinatrice operativa... e non solo; a Paolo Benanti, prezioso suggeritore tecnologico.
  • Una pausa (nel momento più delicato della vita de Il Regno)... mentre molti ci chiedevano cosa stesse succedendo, perché avessimo sospeso ... siamo stati come sotto la neve, per tornare a germinare.
  • Una ripresa, a marzo 2016, forse più consapevole, certo meno frenetica; con la consapevolezza che non eravamo fatti per i tempi veloci della comunicazione in tempo reale e con l'orientamento ad una meditazione più distesa dei temi emergenti… una nuova fase

* Due forme: Blog e Dialoghi: se il primo serve per seguire il tempo, con interventi flash (max 4000 battute.... ed è anche troppo), il secondo offre approfondimenti tematici più sostanziosi. Il sogno (per ora solo tale) è di organizzare il materiale elaborato in un'ipertesto più strutturato, da far crescere via via fino a diventare una sorta di Etico-pedia (o almeno una micro-eticopedia) in Rete.

* La fatica della continuità – inizialmente 3-4 post, ora 2-3 a settimana – per una redazione ristretta: certo si può attingere alle risorse di un'associazione, ma non in tutti i membri essa si è dimostrata disponibile alla comunicazione breve. La nostalgia del trattato, del grande testo è forte... eppure l'etica va detta anche in parole leggere, sostenibili. Per fortuna ci sono amici - entro l'ATISM ed al di fuori di essa - contenti di intervenire.

* La sfida, davvero inedita, è quella di accostare la Rete alla prospettiva etica – non solo o non tanto proponendo un'etica della Rete (benché anche di questo si sia trattato) quanto soprattutto nel fare etica nel contesto della Rete, attingendo alle grandi tradizioni di riflessione morale, per riproporle in uno spazio inedito. Quali codici linguistici e comunicativi utilizzare? come entrare in risonanza con i trend del cyberspazio per interagire con essi criticamente? come esprimere efficacemente quella ricerca di ciò che è giusto che costituisce il nocciolo dell'etica? come leggere moralmente fatti e tendenze del nostro vivere civile? Tante domande, cui Moralia - pur tra difficoltà - prova a far fronte con creatività, leggerezza e rigore, per cucinare un blog appetibile.

Redazione di un theo-bolg: ingredienti di successo

In un linguaggio da Masterchef, ecco allora qualche battuta sulla nostra cucina:

A) Ingredienti:

    a) Una sensibilità per il tempo: un radicamento nella vita e nella ricerca dell'ATISM, ma assieme l'ascolto de "le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce" di questo tempo - ma anche delle bufale e delle verità parziali, per scoprire i noccioli etici che vi si celano e operare un discernimento sub luce evangelii et experientiae humanae, per riprendere di nuovo Gaudium et Spes.

   b) Due accorgimenti operativi: un po' di coraggio nel respingere testi non da Internet o nel chiederne la ristesura... con effetti spesso positivamente sorprendenti per gli stessi autori; la piccola fatica di una pagina FB come punto d'accesso ulteriore ai testi, che ne favorisce la condivisione (anche se non diventiamo certo virali)

B) Assaggi dei nostri menù, così poco strutturati da essere meglio fruibili in ordine alfabetico (solo assaggi… i link riportati sono a uno degli interventi sul tema … non necessariamente l’unico):

 C) Tra i piatti speciali due tipologie di affondi

 D) La mission che ci siamo dati, lo stile culinario che ci guida: scoprire la densità etica di parole ed eventi mgari a prima vista banali; l'appello che in essi si cela; i volti che spesso restano nascosti nei brandelli di una quotidianità frammentata. Farlo nel legame con temi e parole di etica fondamentale .... bene comune, coscienza, croce, solidarietà, discernimento, bilanciamento morale.

Una nota personale: sono stati tre anni di esperienza stimolante per crescere in ampiezza di orizzonti e in capacità di interazione e comunicazione; per vedere crescere una rete di contatti e di riferimenti. La speranza è quella di dare futuro all'esperienza ed espanderla, per continuare a cercare cosa è giusto, in quello spazio che si apre tra il civile e l'ecclesiale, tra vangelo e esperienza umana, tra il virtuale della Rete e la concretezza dei volti.

Dal De quolibet al blog: continuità ed evoluzione di un modello comunicativo in teologia

De quolibet

Avvento 1256: primo anno di attività accademica a Parigi del frate domenicano Tommaso d’Aquino e primo Quodlibet (il cui tracciato è attualmente in Quodlibet VII). Accanto a una rigorosa escussione sui sensi della Scrittura, ecco un argomento che aveva suscitato all’epoca vivaci contrasti: l’obbligo morale per i religiosi di lavorare con le proprie mani, per combattere la pigrizia, frenare la sensualità e provvedere alle necessità della vita.

L’equilibrio di Tommaso evita sia di accentuare una teologia della perfezione fino a sdegnare il lavoro manuale, sia di ritenere quest’ultimo l’unica modalità equilibratrice della propria esistenza. I religiosi praticano attività spirituali per il bene comune, pertanto non sono obbligati al lavoro manuale, ma meritano di essere sostentati dalla società, purché considerino il loro ministero pastorale come servizio continuativo al popolo di Dio: questa l’argomentazione difesa pubblicamente dal “dottor Angelico”.

Spulciando tra gli articula del regesto delle Quodlibetali emergono temi assai disparati. Rigorose puntualizzazioni di argomenti cristologici, ma anche riflessioni su questioni di attualità, non di rado occasionate da contesti, che provocano l’abilità del magister a rispondere alle provocazioni dei suoi interlocutori. Anche sulla trasparenza delle transazioni commerciali: «utrum venditor teneatur dicere emptori vitium rei venditae» (Quodlibet II, q. 5, art. 2).

È documentato il timore di alcuni doctores della Scolastica medievale di “mettersi in gioco” in un confronto “quodlibetale”, lasciandosi giudicare da un pubblico critico e interessato. Non per pudore, ma per la preoccupazione che il processo di confronto dialogico mettesse a rischio il loro guadagnato (e riconosciuto) prestigio intellettuale. In ogni caso la ricerca, sottesa al metodo della quaestio, manteneva viva e arricchiva l’agenda del teologo introducendo nuove implicazioni ed esplicitazioni del sapere della fede. Alcune quodlibetali di Tommaso sono la base per la successiva sistematizzazione delle questioni della sua Summa theologiae.

Come ha riferito magistralmente Hans Urs von Balthasar: «La scuola teologica medioevale procede ancora a ritmi dialogici: in mezzo la quaestio, a sinistra le ragioni pro, a destra le ragioni contro, sic et non, viene elaborata la risposta, che nella sua forma finale reca a fianco ancora obiectiones e responsiones. Con queste cellule drammatiche unicamente si costruiscono i grandi organismi delle Summae». Anche a fronte di opere compendiarie e di sistematica, non è soffocata, almeno sino alla manualistica barocca e all’introduzione del procedimento dimostrativo secondo il metodo della thesis, «la grande forma» della teologia «che sola è valida, e questa è sempre aperta, interrogativa» (Teodrammatica, volume uno, Jaca Book, Milano 1980, 119).

Casus conscientiae

Alla tradizione medievale si può accostare, specie per l’etica teologica, la pratica della casistica sei-settecentesca, talvolta espressione oziosa e moralistica di curiositas, ma nei migliori esempi, operazione logica di ricerca di giudizi e valutazioni scaturenti da una attenta lettura del costume e dell’evoluzione delle istituzioni. Perché un teologo del Sei-Settecento doveva occuparsi di parrucche (e parrucchieri) delle donne? O perché esporre una accurata fenomenologia dell’“andare a teatro”? Non dissimile oggi l’attenzione – proposta da Moralia – per la chirurgia estetica di Angelina Jolie o per il business-system legato al calcio.

Più che sottolinearne i noti limiti (molti lo hanno fatto egregiamente), va riconosciuto che la casistica è stata liberale nei confronti di un sistema legalistico ipertrofico, restituendo al singolo uno spazio di autonomia decisionale, supportata dalle opiniones dei periti della scienza morale. La casistica riporta costantemente all’attenzione la complessità dell’agire umano, sottoposto a molteplici fattori, e sviluppa un processo valutativo che non impiega come unico parametro il dispositivo della norma, ma raccoglie tutte le dimensioni implicate nell’atto umano. Ulteriore elemento è l’apporto fornito dalla casistica nel mantenere in evoluzione il discorso morale, superando la rigidità di giudizi ereditati dal passato, ben difficilmente riproponibili in contesti di rapida evoluzione e autonomizzazione dei sistemi sociali, soprattutto in ambito economico e politico. Di fronte al possibile irrigidimento della logica deduttiva, poi, essa ha tenuto aperta un’altra forma di razionalità che nella considerazione del possibile protesta la sua umiltà.

Il “theo-blog”

La teologia contemporanea non parla più latino (anche se lo deve conoscere, per non dimenticare il suo passato). Inserita in un flusso e intreccio di saperi che ne hanno ridimensionato l’egemonia di un tempo, avverte l’importanza di confrontarsi con altri saperi e sistemi valoriali di fronte a inedite questioni che stimolano la ricerca e invitano a sviluppare un giudizio – in modo non dissimile dai magistri medievali con le loro quodlibetali e dai doctores della prima modernità con i casus conscientiae. Per questa operazione è importante fermare il flusso (indiscriminato) di notizie (e di fake news) e fissare l’attenzione sulla risonanza riflessiva dei fatti. Il commento di un blog (teologico) non è pura operazione di marketing delle idee, ma modalità di esercizio valutativo per implementare la qualità del dibattito pubblico.

Gli scholastici avevano un uditorio di competenti interno a un sapere (o aperto alle potenzialità di una universitas studiorum). I casisti del Sei-Settecento avevano la “repubblica delle lettere”. I theo-blogger hanno di fronte a sé la vastità (non sempre dominabile) dell’oceano comunicativo, occasione per tracciare rotte di percorsi di senso da offrire a un pubblico più vasto, fatto anche di “anonimi” navigatori della rete. E allora quale il valore dei blog teologici, come “Moralia” e “Il Regno delle donne”? Una possibile risposta incrocia tre ambiti assai urgenti.

Tre ambiti

1) Parole per la cura delle “istituzioni dell’umano” e la trasmissione sapienziale della vita

Se lo strumento di un blog può essere modesto, tuttavia non è modesta l’ambizione che lo abita: operare un pensiero ostinatamente teso ad ordinare la complessa e contraddittoria mappa del mondo che abitiamo. Che ambisce a una parola pensata e pesata (logos) che riporti la matassa delle opinioni a un livello ancora più alto del sapere di settore: al livello delle istituzioni dell’umano. «Le istituzioni dell’umano sono le forme universali in cui si struttura l’esistenza dell’uomo come esistenza umana: quelle che la fanno nascere e se ne prendono cura, l’attrezzano per la responsabilità, le riconoscono un valore, le assegnano uno scopo. […] Suscettibili di infinite trasformazioni [esse] si riassestano tenacemente nell’alveo loro assegnato tra l’anima e le tecniche, allo scopo di garantire l’edificazione dell’umano e l’addomesticamento del suo mondo. […] Contraddirle frontalmente significa, sulla distanza, ritrovarsi privi di sostanza umana» (P.A. Sequeri, La cruna dell’ego. Uscire dal monotesimo del sé, Vita e Pensiero, Milano 2017, 48. 54). Comunicazione mediatica e trasmissione sapienziale della vita: si tratta di comprendere la distinzione e pensarne il nesso, senza cadere nella trappola di sostituire una con l’altra.

2) Un ambiente che eviti i rischi della comunicazione mediate attuale

Il blog teologico, pur limitato, offre un ambiente comunicativo che cerca di prendere le distanze da alcuni tipici rischi della comunicazione mediata, in cui “l’insignificante diventa evento” (trionfo delle soft news); in cui le rappresentazioni che circolano nelle camere di risonanza comunicativa dei social sono “rappresentazioni mutilate” e auto-referenziali rispetto a una comunità di uguali; in cui il senso tende a diventare un prodotto di scambio, senza processo di compensazione riflessiva al di là della sua immissione immediata nel circuito delle opinioni.

3) Da una comunicazione “ripetitiva” a una “generativa”

Una comunicazione diventa “generativa”, secondo suggestioni di C. Giaccardi, quando sa cogliere connessioni laddove apparentemente ci sono incompatibilità; quando favorisce nuove comprensioni, oltre la ripetizione del già detto e sentito; quando contrasta la semplificazione che mortifica la ricchezza del reale e ne preserva l’integrità e la ricchezza plurale; quando non disegna trincee, ma ponti, pur provvisori, per superare il confronto muscolare delle opinioni e i dualismi in cui troppe volte risulta inquadrata la comprensione dei problemi.

Ancora, comunicare in modo generativo, è superare la riduttiva formula del “trasmettere qualcosa a qualcuno”, per istituire un approccio dinamico, in cui gli interlocutori del dialogo entrano insieme nel dinamismo della vita, riducendo le distanze e impegnandosi nel compito condiviso di comprenderne il senso possibile. Ridurre la vita a un modello in-formazionale, infatti, è sempre operazione limitata, pur se inevitabile. Tale consapevolezza pone nella dinamica comunicativa una necessaria “flessibilità della forma”, per far emergere non solo la complessità del reale, ma l’inesauribilità della vita e delle sue letture.

La flessibilità della forma non rappresenta, nel caso particolare di un blog teologico, un pensiero di divulgazione o di classe inferiore. È invece un prendere sul serio l’inesausto ricercare connesso alla verità. Perché la ricerca della verità è tenacia nel capire ciò che continua a non poter essere inquadrato negli schemi del conosciuto. È apertura all’alterità del senso, rispetto al già disponibile. È varco per tentare di dire la stessa “alterità” di Dio e del suo dialogo ininterrotto con l’uomo.

Fare blog in genere

L’idea di aprire sul sito del Coordinamento teologhe italiane una sezione di tipo giornalistico era emersa, tempo fa, ma era anche stata rapidamente messa da parte per la mole di lavoro che avrebbe comportato. Poi è arrivata la proposta del Regno, e l’abbiamo accettata con quel poco o tanto di incoscienza che ogni invito sollecita e in qualche modo consente, anche se in realtà la responsabilità aumenta, perché non è più solo verso quelli “di casa propria”.

L’esperienza del Regno delle donne ha pochi mesi di vita (il primo post è uscito il 30 ottobre 2017) e ancora molto da imparare, ma fin dall’inizio ci siamo dovute confrontare, in vivo, su diverse questioni di fondo: cosa succede quando un’associazione di teologhe decide di accettare la proposta di fare un blog? Di cosa parla, e come ne parla? Quali difficoltà incontra, quali interesse muove, quali vie apre?

Gestire un blog: alcune questioni di fondo…

La prima questione delicata è quella di gestire uno spazio che è curato da un’associazione – e quindi viaggia in base a criteri diversi da quelli di un blog individuale – ma che non è propriamente “associativo”, nel senso che non è la voce ufficiale del Cti. Occorre dunque tenere insieme l’orientamento che in teoria tutte le socie condividono in base allo statuto a cui aderiscono iscrivendosi, e la pluralità ovviamente presente anche in una realtà con obiettivi ben definiti come la nostra. In sintesi, si tratta di parlare a partire dall’associazione, ma non in nome dell’associazione: distinzione chiara in teoria, non sempre chiara nella pratica.

Un secondo ambito di riflessione riguarda la scrittura, nella sua intenzionalità come nel concreto attuarsi. L’accesso a una forma, quella del blog, decisamente non consueta per chi abita i mondi dei saggi, delle mille revisioni, dei referaggi è un’impresa dal risultato non scontato, e per molte persone può risultare veramente difficile assumere la postura mentale adeguata al nuovo mezzo. Non si tratta certamente di spocchia intellettuale, ma semmai del contrario: scrivere senza poter dimostrare e argomentare la fondatezza di ciò che si afferma può essere vissuto come una specie di mancanza di rispetto per chi legge, e a superare questo scoglio non basta la possibilità di inserire nel testo quei link che, utilissimi se usati bene, non fanno comunque le veci di un apparato di note a pié di pagina.

D’altra parte, le teologhe sono sempre anche impegnate in un’intensa pratica di divulgazione a tutti i livelli, passano frequentemente da seminari specialistici a incontri in piccole parrocchie o gruppi locali, dai contesti scientifici a quelli pastorali e a quelli sociali, dalle ricerche complesse agli articoli più lineari e semplici, adeguando di volta in volta il linguaggio, l’articolazione dei concetti, le scelte argomentative.

Se dunque a volte il blog soffre di qualche inceppamento, non è per una qualche resistenza o incapacità ad uscire dall’accademia; credo invece che – oltre a oggettive questioni di tempo e di energie – la difficoltà abbia a che fare con la direzione della comunicazione che il blog presuppone: un conto è rispondere a una richiesta – ad esempio da parte di un gruppo o di una rivista; altro è immaginarsi a prendere la parola su un argomento, un fatto, senza che ciò sia stato in qualche modo sollecitato da un interlocutore riconoscibile.

Per questi motivi chi ha un ruolo di coordinamento si trova a volte non a regolare il traffico più o meno intenso delle proposte che riceve, ma piuttosto a suggerire temi e sollecitare specifiche persone ad intervenire. Come si può immaginare, in questi casi anche le risposte più immediate e generose non sempre hanno, alla prima stesura, la scioltezza che avrebbe una presa di parola suscitata da un desiderio e un’urgenza autonomi. Il che ovviamente non significa che non si abbiano cose da dire sul mondo: nascendo da un’istanza trasformativa, la teologia fatta da donne che si riferiscono all’area degli studi femministi e di genere è infatti quanto di meno evanescente e chiuso in torri eburnee si possa immaginare.

Praticare il “genere” e mostrarne il senso

Infine, qualche nota sulla prospettiva di genere, tratto caratteristico sia del Coordinamento teologhe italiane che del blog, come Cristina Simonelli ha sottolineato nel post inaugurale. Nonostante alcuni segni di cambiamento, il contesto ecclesiale fa ancora una notevole fatica a comprenderne il senso proprio; il fatto di assumerla esplicitamente anche in questo nuovo spazio può allora contribuire a mostrarne le potenzialità conoscitive ed etiche e a smontare inutili e infondate demonizzazioni. Il ventaglio già discretamente ampio di argomenti, il tipo di lettura che i vari interventi hanno offerto sia dell’attualità che delle “feste comandate”, il recupero della memoria dimenticata e la proposta di riformulazione del vivere comune sono il modo in cui, già in questi pochi mesi, abbiamo “praticato” il genere e, per converso, mostrato ciò che esso non è.

In questo impegno di riattraversamento del passato e del presente con uno sguardo non neutro ci troviamo spesso a fianco di donne di appartenenze culturali diverse. Rimanendo invece nell’ambito ecclesiale, c’è un’obiettiva e consapevole distanza rispetto a personalità o movimenti che, sulla base di varie forme di mistiche della femminilità, evitano programmaticamente sia il confronto con la storia che l’urgenza di affrontare la questione maschile.

Sentiamo invece che ci riguardano da vicino il disagio sempre più diffuso tra le donne cattoliche nei confronti del “maschilismo” che innerva la vita della Chiesa, e l’altrettanto diffusa aspettativa verso prese di parola femminili pubbliche, forti e accessibili che diano voce a ciò che è inespresso, strumenti culturali a ciò che è solo intuito o desiderato, legittimazione condivisa alla denuncia e alla proposta. Ci pare che anche un blog come “Il Regno delle donne” possa fare la sua parte nel sostenere il cambiamento: con gli spunti che i suoi post offrono, e con la ricchezza di studi e di impegno di lunga data per una Chiesa inclusiva da cui trae alimento.

 

La divulgazione è una virtù. Riconnettere la ricerca con la vita delle comunità

L'avvento di Internet è stato salutato come l'apertura di una stagione in cui ognuno avrebbe avuto la possibilità di cercare e diffondere conoscenze e informazioni, di collegarsi con il mondo, di prendere pubblicamente la parola senza dover passare attraverso i media mainstream – cosa impossibile per il comune cittadino. Sembrava uno strumento, quindi, che avrebbe fatto crescere la democrazia, dando a tutti – gruppi, minoranze, singoli cittadini – la possibilità di prendere “pubblicamente” la parola e di mettere in circolo i propri contenuti.

Ci si è accorti presto che si trattava di un’illusione: era il 2002 quando Hans Magnus Enzensberger scriveva: «Mentre i pionieri del web avevano in mente, nel loro idealismo elettronico, un medium libero dal potere e senza costi, il capitale, nella sua divina indifferenza, vide ben presto le possibilità di utilizzazione che la rete informatica gli offriva. Da una parte si trattava del controllo economico della circolazione dei dati, dall’altra della commercializzazione dei contenuti. Da allora l’inquinamento della rete è aumentato costantemente grazie alla pubblicità.

Anche sul fronte dell’utilizzo, la globalizzazione mostra il rovescio della medaglia. Su migliaia di Homepages trionfano individualismo eccessivo e dissidenza. Non c’è nicchia, microambiente, minoranza che non trovi rifugio nella rete. La pubblicazione, nell’era gutenberghiana privilegio di pochi, diventa un diritto umano elettronico. Al tempo stesso Internet è un eldorado per criminali, intriganti, impostori, terroristi, maniaci sessuali, neonazi e folli…» (Hans Magnus Enzensberger, “I santoni dell’era digitale”, in La Repubblica, 13 marzo 2002, 42).

Camere dell’eco

Enzensberger si riferiva alla cosiddetta blogosfera, non ai social, che sono stati il passaggio successivo e hanno messo in mano a ogni cittadino un potere immenso: quello di pubblicare, condividere, dare visibilità ai contenuti propri o delle persone con cui si va d’accordo. E si è presto capito, che questo potere i cittadini non sapevano gestirlo. Anzi non avevano neppure consapevolezza del fatto che di potere si tratta.

Non mi riferisco solo al proliferare di fake news e di discorsi di odio – tema a cui è dedicato il messaggio del papa per la Giornata mondiale della comunicazione sociale di quest’anno – ma più in generale al fatto che la comunicazione via Internet ci illude di metterci in contatto con tutti, mentre in realtà ci rinchiude in quelle che vengono definite “camere dell’eco”, per cui vediamo i contenuti dei nostri amici e di chi la pensa come noi e non ci confrontiamo con chi la pensa diversamente.

Il meccanismo è duplice. Da un lato vi sono su degli algoritmi, che registrano i nostri dati (il caso Facebook è solo il più clamoroso, ma anche Google e tutti gli altri grandi operatori ricavano i nostri dati ogni volta che ci colleghiamo a internet) e ci segnalano non solo pubblicità personalizzate, ma anche i post e i contenuti che ritengono interessanti per noi, in base ai dati che hanno raccolto. Due persone che inseriscano in un motore di ricerca le stesse parole chiave, otterranno quindi risultati diversi in base alle ricerche precedenti. Facebook e Twitter ci mostrano i post degli “amici” non in sequenza cronologica, ma in base a quelli che ritengono siano i nostri interessi. Così dopo un po’ ci troviamo avvolti in “bolle filtro” e ci convinciamo che tutti la pensano come noi.

Dall’altro lato vi è il meccanismo delle echo chamber («camere dell’eco»): ogni volta che apriamo un profilo su un social network, tendiamo a cercare i nostri amici, o le persone che ci interessano. E perché ci interessano? Perché condividono i nostri interessi. Ciò che facciamo noi rafforza ciò che fanno gli algoritmi, e il risultato è che i social diventano strumenti non di dialogo, ma di rafforzamento delle nostre idee. E dei nostri pregiudizi.

Disintermediazione

A questi meccanismi si affiancano quelli legati alla cosiddetta disintermediazione. Le forme tradizionali della trasmissione della conoscenza – dalla scuola, all’informazione professionale, a quella che passa attraverso le istituzioni in generale – non ottengono più la fiducia dei cittadini. Si preferisce credere alle teorie complottiste (non è vero che c’è stato lo sbarco sulla luna; le torri Gemelli le hanno distrutte gli americani; il Titanic l’hanno affondato i Gesuiti; papa Francesco ha fatto proibire Halloween; il tumore si cura con acqua, limone e bicarbonato…) prese per vere proprio perché non vengono da fonti istituzionali, e quindi libere dalla volontà manipolatoria di chi “sta al potere”. Questo fa sì che la comunicazione diffusa sia sempre più ridondante, ma povera di contenuti, e traccia un solco profondo tra chi elabora la conoscenza e chi invece preferisce aggrapparsi alle semplificazioni del complottismo e delle bufale.

Nello spazio ecclesiale

Anche l'impegno per la riforma della Chiesa di papa Francesco, rischia di essere gravemente ostacolato da questi meccanismi. Alcuni gruppi di cattolici conservatori e soprattutto contrari alla riforma, tutto questo l’hanno capito benissimo. Sono attivissimi in internet e sui social, dove hanno una visibilità sproporzionata al loro reale peso numerico. Mario Adinolfi, del Popolo della Famiglia, a causa del linguaggio, diciamo così, irruente, che piace molto al popolo che lo segue in rete, è stato più volte sospeso da Facebook, che riteneva i suoi post offensivi. Lui si è adeguato al linguaggio e all’atteggiamento diffuso sul social più importante, ma personalmente non credo sia questa la strada.

Un ambiente da abitare

Nonostante tutto quello che abbiamo detto, Internet rappresenta un progresso per la nostra società, e comunque, anche volessimo non possiamo più farne a meno. È un ambiente da abitare, né più né meno di quelli “fisici”. Tutti gli ultimi messaggi dei papi, a partire da Benedetto XVI, lo ribadiscono: internet ci permette di diffondere in nostri contenuti, di dare testimonianza, soprattutto di incontrare altre persone, che altrimenti non incontreremmo mai. È un luogo da evangelizzare e nello stesso tempo un luogo dove evangelizzare.

Oggi abitare Internet – con tutta la fatica di cercare un linguaggio semplice e breve, con cui ogni volta sembra di banalizzare concetti complessi, ma indispensabile per farsi leggere – significa mettersi in gioco, rendersi disponibili: non si tratta solo di pubblicare, ma anche di ascoltare, accettando eventualmente di essere contestati. Rompere le camere dell'eco e in generale le barriere tra cultura "alta" e "incultura" diffusa, riconnettendo il sapere con la vita delle persone e delle comunità, è oggi una mission, che riguarda chiunque abbia a cuore il futuro della Chiesa e, più in generale, della nostra società. Perché «Informare è formare, è avere a che fare con la vita delle persone. Per questo l’accuratezza delle fonti e la custodia della comunicazione sono veri e propri processi di sviluppo del bene, che generano fiducia e aprono vie di comunione e di pace» (Francesco, messaggio per la Giornata mondiale della comunicazione 2018).

 

Presenza e assenza

Mi è stato chiesto uno scritto per questo Dialoghi. Ma, io non ho partecipato al panel Theobloggers? Parlare di Dio sul Web, svoltosi a Bologna il 6 marzo 2018 in occasione dell’European Accademy of Religion (EUARE). Cosa potrei mai dire? Sebbene Simone Morandini mi abbia definita “insostituibile coordinatrice operativa” di Moralia, io a EUARE per quanto invitata, ero assente-giustificata. Ero in “viaggio di istruzione” con i ragazzi della scuola in cui insegno, con cui condivido il quotidiano. Ma è proprio questo su cui voglio soffermarmi.

Ecco il nodo, da cui prende avvio anche il progetto di Moralia: chi può permettersi di dedicarsi alla ricerca teologica (morale) a tempo pieno, nel contesto attuale? Penso ai miei professori, ai miei compagni di studio, ai miei colleghi, spesso amici, e mi rendo conto che – esclusi pochissimi privilegiati – siamo in tanti, quasi tutti, a doverci districare tra le maglie del contingente (un mutuo da pagare? Una famiglia da mantenere? Impegni pastorali a tutto tondo? ...) e della passione (perché sì, nonostante tutto, tutti noi autori di Moralia continuiamo a studiare, confrontarci, interrogarci...).

E nella nostra stessa situazione, oltre a noi, “addetti ai lavori”, possiamo annoverare quasi tutti i nostri lettori: persone che hanno a cuore una ricerca morale, un’attenzione ai criteri dell’agire, un desiderio di promuovere in modo pieno la loro umanità e il loro credere. E nel contempo impegnate allo sfinimento nel quotidiano.

Una consapevole “presenza–assenza”

I “post” di Moralia, nella loro brevità (la consegna è che non superino le 4000 battute spazi inclusi, il che significa che non debbano superare una paginetta di Word e i 5 minuti di lettura) possono far storcere il naso a molti. Ai puristi. Di contro ci pare possano rispondere a una circostanza reale: mantenere vivo il desiderio di riflettere e confrontarsi su questioni che sono importanti per il quotidiano, per il nostro cammino umano, seppur schiacciati da questioni meno importanti, seppur più urgenti, quanto meno per la sopravvivenza.  

I post di Moralia cercano di alternare le riflessioni, tra fatti di attualità e questioni fondamentali. Per non lasciare cadere la domanda / le domande. Per rinnovare il gusto del “vivere” e non solo la fatica del “sopravvivere”. I post di Moralia non cercano di dare soluzioni definitive, ma di mantenere viva la passione e la ricerca. E generare domande. I post di Moralia, in fondo, sono quanto mai affini a un refrain teologico-morale: ad impossibilia nemo tenetur.

Perché sì: come ci ricorda Pier Davide Guenzi, non viviamo più ai tempi dei ritmi e del confronto delle Quodlibetales. Siamo ben consapevoli che i tempi sono cambiati. Moralia si assume così, consapevolmente, una “presenza – assenza”. Non siamo obbligati all’impossibilità di uno stile, di un metodo, di un confronto non più proponibile oggi. Siamo obbligati, in coscienza, a spenderci nel possibile, seppur talora “piccolo”.

“Presenza – assenza”, per gli autori di Moralia, significa non lasciarci irretire da un ideale auspicabile ma irrealizzabile; significa attenzione alla passione (morale) nostra e altrui; significa servizio concreto, forse “inutile” ma non per questo insignificante (Lc 17, 5-10). Significa rispondere concretamente, hic et nunc, a quello che possiamo fare.

Allargare il confronto

“Presenza – assenza” significa altresì sperare che Moralia sia un trampolino di lancio per un confronto sempre più fitto:

  • intanto con i lettori. La possibilità di commentare e interagire con l’autore dei post, in calce al post stesso, è possibilità pressoché inesplorata che, auspichiamo, non rimanga tale;
  • in secondo luogo, con i colleghi moralisti. Tanti hanno aderito con entusiasmo a questa proposta (ai quali rinnovo il mio “grazie”). E hanno saputo mettersi in gioco: non è affatto facile tradurre in meno di 4000 caratteri – in linguaggio non tecnico – ore, mesi e anni di riflessioni;
  • in seguito: con il mondo teologico tutto. Con affetto e stima ho visto che accanto a Moralia si è affiancato il blog “Il Regno delle donne”, a cura del CTI (Coordinamento Teologhe Italiane) che sta proponendo post di alto, altissimo livello. Non possiamo che sperare altri compagni di strada;
  • infine: ci piacerebbe, dato il taglio etico di Moralia, poter entrare in fitto confronto anche con ricercatori appartenenti ad altre confessioni/religioni o non credenti.

“Presenza – assenza” è anche saper tradurre i preziosi insegnamenti dei nostri Maestri in modo adeguato a noi stessi, al contesto. Con rispetto del passato, attenzione al presente e fiducia nel futuro. “Presenza – assenza” è, quindi, essa stessa questione morale. Prima ancora di Moralia.

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