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Moralia Blog

Ospitare è un dovere?

L’ospitalità è oggi una parola tornata al centro della discussione. Le cronache giornalistiche e il dibattito politico hanno riportato il tema-problema dell’accoglienza fin dentro le case. La realtà dell’immigrazione, sempre più strutturale e non contingente, rivela, insomma, che prima che sociale e politica, la crisi dell’accoglienza è culturale e spirituale. In Francia, ad esempio, nel gennaio del 2017 alcuni cittadini di piccoli paesi alpini sono stati processati per aver compiuto il reato definito, secondo una recente legge conosciuta come “Legge Sarkozy”, “delitto di solidarietà”.

Il reato loro imputato è di aver accolto, nutrito e ospitato per qualche giorno dei clandestini, usciti dal centro d’identificazione di Ventimiglia. Ora, se l’ospitalità diventa “delitto” e non più “diritto”, vuol dire che occorre tornare a indagare il problema (il rapporto con l’altro e la questione identitaria) e provare a dare altre risposte.

Etica dell’ospitalità

Sono gli antropologi che ci ricordano che tutte le culture hanno sviluppato pensieri e pratiche di accoglienza e di rapporto con lo straniero. Si pensi alla proxenia dei greci (una sorta di ospitalità pubblica verso gli stranieri), alla hostia dei rituali romani (animale ucciso che si condivideva con gli stranieri) o alla dhimma islamica (la protezione verso ebrei e cristiani dovuta da parte della comunità musulmana).

Basterebbero questi esempi a far osservare che quella dell’ospitalità è una pratica diffusa se non universale, e che il dovere e la responsabilità dell’accoglienza derivano proprio dalla civiltà che vogliamo difendere.

Ospitare, insomma, è questione etica. Se – ricorda Derrida – ci devono essere certo le «leggi dell’ospitalità» che traducono in pratica il principio dell’accoglienza, esse andranno però sempre misurate sulla «legge dell’ospitalità» (al singolare) nella sua radicalità etica.

Esiste, cioè, un primato della giustizia sul diritto. Per tornare ai fatti da cui siamo partiti: l’appello etico avvertito dai contadini francesi parla più forte delle leggi che vogliono regolare le pratiche di solidarietà. Con queste deve certo misurarsi, ma queste sono da quello misurate.

Teologia dell’ospitalità

Quella dell’ospitalità non è solo una pratica, ma prima di tutto un pensiero. Antropologico, come visto, filosofico, ma anche e tanto più teologico. La Bibbia, di fatto, nei suoi racconti di ospitalità ci dona un pensiero ospitale. Se è vero, ad esempio, che il comandamento nella Bibbia ebraica non è, come si pensa, «ama il prossimo tuo come te stesso», che di fatto ricorre solo una volta, quanto piuttosto «ama lo straniero come te stesso», presente nel Primo Testamento circa 40 volte.

La figura esemplare di ospitalità nei confronti dello straniero è, infatti, quella di Abramo. Il famoso episodio della vista degli stranieri alle querce di Mamre, raccontato nel c. 18 del Libro della Genesi, ha ricevuto molti commenti. Tra questi è importante qui ricordare un’interpretazione midrashica dove viene affermato che accogliere gli stranieri è più importante che accogliere Dio. Il primato dell’ospitalità nei confronti di chi è nel bisogno (come sono i tre visitatori accaldati presso la tenda di Abramo) viene riaffermato nei confronti dei doveri, anche cultuali, che Abramo ha nei confronti di Dio.

Se, dunque, vogliamo tornare a interrogare la crisi sociale e insieme culturale che stiamo vivendo a proposito di accoglienza degli stranieri, ma anche la crisi della nostra identità messa in discussione dalla loro presenza, abbiamo bisogno di un pensiero che ponga al centro non tanto il tema identitario, quanto quello del rapporto con l’altro. Qui la riflessione teologica e la pratica delle Chiese può dare un contributo importante, e in questa direzione guarda il prossimo convegno annuale, promosso dall’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia per il 15 marzo 2018 (il programma qui).

Commenti

  • 01/03/2018 vallesanmartino@gmail.com

    Mi fermo sul passaggio: "l’ospitalità non è solo una pratica, ma prima di tutto un pensiero". Direi che l’ospitalità sia prima di tutto una pratica. Non voglio dire che il pensiero segua come un cagnolino la pratica, certo che no, ma l’ospitalità riguarda i corpi (tutto il corpo dell’ospite) e i corpi vogliono sguardi, cibo e acqua, voci, calore (o frescura), riparo. Sono gesti che rimarrebbero quasi allo stato istintivo senza il pensiero; e del resto l’istinto è ambivalente per natura: può essere di protezione - intuitivamente un adulto, più la donna che l’uomo, nei confronti di un bambino -, ma può essere di difesa ed attacco. Ci vuole il pensiero, o per meglio dire, è necessario “pensare”. Senza dimenticare che il pensiero riflesso, più potente del corpo e dei corpi, certe volte pensa di farne a meno ed agisce di conseguenza massacrandoli, i corpi. Terrei insieme, e avrei cura di mantenerli insieme, pensiero e pratica, entrambi ospitanti.

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