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Moralia Blog

Chiedere e concedere il perdono nel cammino ecumenico

Dopo il vivace dibattito seguìto al Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi, «Moralia» ha chiesto un intervento sul tema del perdono al teologo valdese Fulvio Ferrario, che ringraziamo per la disponibilità.

 

«Con profondo rispetto, e non senza commozione»: così il Sinodo delle Chiese evangeliche valdesi e metodiste risponde all’ormai celebre richiesta di perdono, formulata a Torino, in giugno, dal pontefice romano: essa contribuisce ad aprire una pagina nuova, da scrivere insieme, nei rapporti tra le due Chiese. Francesco ha tenuto un discorso intenso e spiritualmente impegnativo: il Sinodo ha inteso porsi sulla stessa lunghezza d’onda e lo ha fatto in un dibattito molto bene impostato dalla Commissione d’esame, sulla base di un testo da essa presentato, che è stato approvato a larghissima maggioranza, con leggerissimi ritocchi, che non ne hanno toccato la sostanza.

«Questa nuova situazione non ci autorizza a sostituirci a quanti hanno pagato col sangue o con altri patimenti la loro testimonianza alla fede evangelica e perdonare al posto loro»: così recita un passaggio del documento. Alcuni giornali hanno voluto costruire su questa frase la trama di una specie di western all’italiana, che avrebbe potuto avere come titolo: «Dio perdona, il Sinodo no».

Chi legge senza pregiudizi il testo non può avere dubbi sul reale significato: il Sinodo non ha l’autorità del martire, non siede su uno scranno di giudice, dall’alto del quale far cadere parole a buon mercato sul sangue delle vittime e sull’umiltà di chi chiede perdono. Se il papa chiede perdono, in termini diretti e con grande coraggio, a nome della sua Chiesa, i valdesi e i metodisti di oggi non possono identificarsi meccanicamente con i perseguitati. Accogliere la richiesta di perdono significa, invece, aprire una nuova pagina, ponendoci insieme alle altre Chiese nel segno della grazia di Dio. Tra gli altri, l’Avvenire, Enzo Bianchi su Repubblica, ma soprattutto il vescovo di Pinerolo, Piergiorgio De Bernardi, sull’Osservatore romano, hanno colto con precisione l’intenzione del Sinodo.

I titoli che «sparavano» l’equivoco, però, hanno richiesto precisazioni, il che, di solito, non è indice di una comunicazione chiara e incisiva. Per diverse ragioni, chi scrive non è il più adatto a valutare se il punto indicato richiedesse una formulazione diversa. Una cosa è certa: l’assemblea di Torre Pellice ha inteso in primo luogo parlare al fratello Francesco, di fronte a Dio, e su questo ha investito la propria attenzione. Non è detto che, se per un attimo ci si è dimenticati di possibili strumentalizzazioni giornalistiche, ciò sia solo un male. Potrebbe anche essere dipeso dalla concentrazione su ciò che conta realmente.

Qualcuno ha ipotizzato che l’equivoco non sia stato del tutto disinteressato. In mancanza di elementi precisi che suffraghino tale sgradevolissima ipotesi, preferirei lasciarla da parte. È possibile, questo sì, che in alcuni settori delle due Chiese coinvolte la novità di Torino determini un certo sconcerto, perché richiede il deciso abbandono di schemi polemici ai quali tutti eravamo, in fondo, abituati.

È una sfida, però, che da molto tempo desideravamo ardentemente poter affrontare.

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