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Moralia Blog

Il diritto a essere accolti

Credo sia accaduto a tutti. Prima un sentimento di condivisione, di compassione per i migranti, a piedi nelle pianure ungheresi o sui gommoni di Kos o sulle carrette del mare a Lampedusa.

Poi la televisione che mostra il flusso che non finisce mai, anzi s’incrementa, e l’inevitabile fase di riflessione: ma dove la mettiamo tutta questa gente? Che possiamo farle fare? Sono disposti a fare i lavori che noi “vecchi” europei non vogliamo più fare? Ma dopo queste centinaia di migliaia, ne verranno altri, a milioni? Passiamo cioè dalla fase dei sentimenti individuali, umani e necessari alla comunicazione, all’altra fase, quella collettiva, cioè politica.

In realtà siamo tutti spiazzati interiormente: a memoria d’uomo non c’è mai stato un fenomeno così ampio e documentato. Forse nel secondo dopoguerra, con gli spostamenti di milioni di persone al centro Europa, si è vissuto qualche cosa di simile; ma non era certamente spontaneo, né è stato documentato immediatamente dai mezzi di comunicazione, come ora.

L’Europa dei diritti

È dall’Europa dei diritti umani che possiamo partire, per elaborare una struttura concettuale che permetta di affrontare il problema a livello di corretta comprensione. È questo che dobbiamo fare per poter agire seriamente, oltre il legittimo sentimento immediato. Anche gli Stati Uniti sono sotto la pressione dell’immigrazione clandestina, dal sud al nord, ma è in Europa che è cresciuto il fenomeno storico dei diritti umani e dove la popolazione è sensibile, perché ha subito gli orrori della seconda guerra mondiale, del nazismo e dello stalinismo.

Chiediamoci, quindi, se questa fiumana, che attraversa i Balcani e il Mediterraneo, abbia qualche diritto da rivendicare di fronte ai nostri stati europei. Oppure se debba essere solo oggetto di compassione, dipendente dal nostro buon cuore e dai sentimenti del momento.

Tutti sappiamo che coloro che fuggono dalla guerra hanno il diritto a essere ricevuti, secondo la Convenzione di Ginevra del 1951 e tutti i successivi sviluppi. Si tratta del diritto di asilo garantito in Italia anche dall’art. 10 della Costituzione. E già a questo livello la massa dei migranti è tragicamente enorme. Pensiamo solo all’Africa: popolata 50 anni fa da 200 milioni di abitanti, oggi supera abbondantemente il miliardo. Questo fa sì che le guerre, le rivoluzioni, i rivolgimenti politici coinvolgano oramai masse enormi di esseri umani, con milioni di morti e milioni in fuga: è avvenuto – lo ricordiamo – nel Burundi degli anni ’90 e avviene nel Sudan attuale.

Ma c’è di più. I cosiddetti migranti economici, coloro che cercano una migliore condizione di vita hanno il diritto - internazionalmente riconosciuto - di farlo. Rileggiamo l’art. 22 e l’art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948:

“Articolo 22. Ogni individuo in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale nonchè alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l'organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità”.

“Articolo 25. Ogni individuo ha il diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà”.

Queste sono le basi dei loro diritti inalienabili e quindi legittimamente perseguibili. La solidarietà non è basata solo su un principio morale ma anche su uno di diritto internazionale codificato.

Un percorso a tappe

Questo significa che le nostre società opulente dell’Europa occidentale e del Nord America non possono più continuare a esistere pacificamente. Paesi con un PIL pro capite uguale o superiore ai 30.000 dollari annuali (come l’Italia) sono confrontati con la maggioranza degli altri (gli altri 6 miliardi di uomini e donne), ben lontani da simili livelli di benessere e sicurezza sociale.

Non è quindi catastrofismo prevedere a medio termine la fine della civiltà del benessere, nella forma alla quale è abituata l’attuale generazione. Essa si basa solo sulla differenza sociale a livello internazionale (e in parte anche all’interno degli stessi paesi ricchi: si pensi alle minoranze etniche negli USA).

La via di uscita è duplice: o si continua sulla via della violenza economica strutturale (protetta anche dalle armi) oppure si comincia, più realisticamente, a pensare alle tappe della condivisione. Dovrebbe realizzarsi, infatti, quanto già successo negli stati europei dalla fine dell’800 e per tutto il ‘900: la condivisione del benessere tra classi “superiori” e classi contadine e operaie. Ora si tratta di farlo a livello internazionale. Con i ragazzi che fuggono dall’Eritrea, con i loro fratelli e sorelle, restati laggiù, ma che oramai non si accontentano più.

Tale processo di giustizia in Europa è costato sangue e dolori infiniti. Per il futuro sarà possibile ridurre – prevedendoli – quelli che ci attendono di fronte ai milioni di migranti? A coloro che, basandosi sul loro diritto a una divisione di beni, premono dal Sud al Nord dell’Europa e dell’America?

Commenti

  • 27/09/2015 salernochiara@libero.it
    Necessaria l'inversione di rotta verso la condivisione, l'apertura, la 'comprensione'-E' questo, in fondo, il senso ultimo e profondo dell'essere cristiani. Imparare a vedere Gesù nell'altro, nel migrante in fuga dalla sua terra, negli occhi smarriti dei bambini scalzi e senza casa. Avranno il diritto alla speranza? La vera civiltà è proprio nella cultura dell'accoglienza, nel superamento della paura, nella reale condivisione e nell'ospitalità, la cultura crea forza contro l'incertezza, le difficoltà e il dolore.

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