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Moralia Blog

La crisi della democrazia americana come crisi religiosa

Non è più mera retorica parlare di un possibile collasso della democrazia negli Stati Uniti d’America. Questi ultimi quattro anni di presidenza Trump hanno significato un progressivo degrado dello stato di diritto: un’anticipazione di quello che potrebbe succedere con un secondo mandato, viste le dichiarazioni e gli atti degli ultimi mesi durante la campagna elettorale, non solo da parte del presidente, ma anche del suo partito e delle forze che lo sostengono.

Questione cattolica…

Questa crisi americana ha un lato ecclesiale. È un problema di per sé l’allineamento delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche a un partito politico in un sistema a due partiti come negli Stati Uniti.

Lo è ancora di più quando il Partito repubblicano di Trump è diventato quello del risentimento razziale, delle teorie cospirazioniste, dell’isolazionismo suprematista, dell’anti-scienza. A leggere gli scritti degli ideologi del cattolicesimo vicino a Trump negli USA è evidente, nel furore della propaganda, anche un allineamento alla piattaforma del trumpismo.

Anche perché c’è un secondo allineamento, di un ecumenismo «culture war», di cui aveva scritto tre anni fa La Civiltà cattolica, tra cattolicesimo e evangelicalismo bianco negli Stati Uniti: questo comporta un’accentuazione delle venature nazionaliste da sempre presenti nel cattolicesimo americano, ma anche un impoverimento del livello intellettuale in una Chiesa che ha nel proprio DNA un certo anti-intellettualismo, come già notava negli anni Cinquanta uno dei maggiori storici della Chiesa (J.T. Ellis, «American Catholics and the intellectual life», in Thought 30[1955] 3, 351-388).

… e questione cristiana

Fin qui la questione cattolica nell’America di Trump. Ma c’è anche una questione teologica e religiosa più profonda e generale, che va oltre la Chiesa cattolica e che attraversa tutto il cristianesimo negli USA.

Come spiegò Tocqueville quasi due secoli fa, la vita della democrazia in America è inseparabile dal tessuto sociale e civile costituito dalle Chiese. Non si tratta di un tessuto nel senso di un sistema di coalizioni tattiche tra fedi diverse, costituzionalmente garantito come in alcuni stati contemporanei. Quella americana è una democrazia che nasce come arco di fedi religiose e umanistiche illuministiche diverse ma capaci di coesistere, un’alleanza o covenant con un sostrato teologico intenzionalmente vago e imprecisato dal punto di vista dottrinale, ma concorde nel sostegno o almeno indifferente rispetto al progetto democratico.

Si tratta di un progetto democratico che è stato capace di correggersi nel tempo, anche grazie all’evoluzione di quell’alleanza di fedi religiose e umanistiche: dalla guerra civile del 1861-1865, che porta all’abolizione della schiavitù come sistema legale, al movimento per i diritti civili degli anni Sessanta, che inizia a smantellare la segregazione razziale ancora imperante in molti stati e in tutti i settori della vita in America.

C’è da decenni un’innegabile polarizzazione e radicalizzazione delle posizioni su questioni morali ed etiche tra i due partiti, che sono lo specchio della polarizzazione e radicalizzazione all’interno del mondo religioso americano: sulle questioni di etica sessuale, familiare e matrimoniale, di identità sessuale; sull’immigrazione; sulla libertà religiosa.

Ma oggi ci troviamo in una fase diversa e successiva a quella iniziata negli anni Settanta-Ottanta. La delegittimazione, da parte del trumpismo, delle traiettorie di quei due eventi genetici non è solo storica e politica, ma mina anche le radici religiose della guerra civile e del movimento per i diritti civili. La crisi americana esacerbata dalla presidenza Trump è infatti anche una crisi religiosa e teologica.

Gli zombie e gli esclusi

La distopia politica dell’America di oggi è infatti inseparabile dal ritorno di convinzioni religiose che minano quel consenso morale-religioso alla base della democrazia in America. Il fattore nuovo è il riaffacciarsi nella cultura mainstream di convinzioni religiose che la teologia accademica di formazione euro-atlantica aveva dato per morte e sepolte: idee zombie, come morti che tornano ad aggrapparsi ai vivi, o che forse non sono morte ma continuano a vivere in quella zona di «global south» religioso che sono gli USA.

La pandemia ha messo in evidenza alcuni di questi istinti. C’è il tentativo di tornare a un modello integralista dei rapporti tra stato e Chiesa, con la Chiesa (cattolica o evangelicale, in entrambi i casi concepita come Chiesa dei bianchi) incaricata di conferire legittimità ai poteri pubblici. C’è un istinto anti-scientifico che vede, per esempio, anche noti e rispettati teologi asserire in pubblico che Galileo aveva torto e Bellarmino aveva ragione. C’è una cultura millenarista e apocalittica ben radicata nel paese, ben oltre le mire di Hollywood di sbancare il botteghino con l’ultimo film catastrofista.

Alla base della crisi americana c’è una crisi sociale ed economica, il grido degli esclusi dal «sogno americano», che il trumpismo sfrutta cinicamente. Ma c’è anche il ritorno, in versione postmoderna, di visioni religiose che puntano non a una dialettica battagliera ma ordinata tra religione e secolarità: puntano invece a un’eversione del sistema costituzionale democratico in nome di un’ideologia religiosa con chiari accenti etno-nazionalisti ed esclusivisti. Non è un caso il ritorno di popolarità di Carl Schmitt tra i più importanti giuristi cattolici negli USA.

La capacità delle Chiese di conciliarsi con la democrazia pluralista e di nutrire la «religione civile» americana potrebbe essersi esaurita. Il risultato delle elezioni presidenziali del 3 novembre è cruciale, ma dal punto di vista del lungo periodo delle idee e mentalità religiose non risolutivo.

Potremmo trovarci di fronte a una mutazione genetica degli Stati Uniti: forse l’inizio della fine dell’esperimento americano in quanto tale, e non soltanto la fine dell’esperimento che è, da due secoli a questa parte, il cattolicesimo «made in USA».

 

Massimo Faggioli è storico della Chiesa e insegna teologia e studi religiosi alla Villanova University di Philadelphia (USA).

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