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Moralia Blog

Leggere i segni dei tempi… digitali

«Pietro alla Giornata mondiale della gioventù di Panama ci sarà», disse papa Francesco congedando i giovani alla GMG di Cracovia, sottolineando che forse il papa regnante non sarebbe stato lui, ma che ci sarebbe stato comunque un papa, il papa.

Non pochi commentatori hanno sottolineato come tra le ragioni che hanno spinto Benedetto XVI alle storiche dimissioni ci fosse anche la constatazione di non poter essere presente alla GMG in Brasile dopo le fatiche di Madrid.

Perché questi particolari ci interessano? Perché un papa, ogni papa della modernità soprattutto, ha ben compreso che la Chiesa deve essere tra i giovani, la Chiesa che è perennemente giovane della giovinezza stessa di Cristo.

Il linguaggio di Francesco: tra Vangelo e metafore digitali

Il discorso che il santo padre ha offerto ai 600.000 di Panama non è che l’ultimo tassello di un mosaico che ci fornisce un’immagine chiara non solo di un pontificato, ma di uno stile e di un’intuizione che non è semplice strategia, ma indicazione di un metodo nell’annuncio ai giovani e di etica della comunicazione.

Papa Francesco ha usato modalità espressive che attingono a piene mani nella terminologia della rivoluzione digitale soprattutto legata ai social media, laddove dice che «la vita di Cristo non è una salvezza appesa “nella nuvola in attesa di venire scaricata, né una nuova “applicazione” da scoprire. Neppure la vita che Dio ci offre è un tutorial con cui apprendere l’ultima novità». E ancora:

«La giovane di Nazaret non compariva nelle “reti sociali” dell’epoca, lei non era un’influencer, però senza volerlo né cercarlo è diventata la donna che ha avuto la maggiore influenza nella storia. E le possiamo dire, con fiducia di figli: Maria, la influencer di Dio».

Papa Francesco ci ricorda che per annunciare a questa generazione la buona novella è necessario inculturarla, non solo adottando un linguaggio, ma soprattutto comprendendo le categorie culturali con cui oggi viene percepita e agita la realtà dai nostri contemporanei, categorie e schemi legati alla rivoluzione tecnologica.

Non si tratta di una semplice adesione o di una mimesi linguistica, di una vestizione culturale e culturalista di un nucleo immutabile, si tratta a ben vedere di entrare pienamente nel tempo per darvi luce e portarvi una luce. Il compito della Chiesa e della Tradizione è quello di dialogare con il mondo contemporaneo portando quel granello nascosto che possa far lievitare la pasta, dilatando le categorie dell’umano e le visioni del tempo verso l’orizzonte illimitato di Dio passando dalla guarigione dell’umano alla cristificazione della persona.

Quando Francesco si riferisce al mondo digitale, in modo diretto come nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, o indiretto come a Panama, si adopera per mantenere il linguaggio e la sua significanza ma, nello stesso tempo, innervarlo di rivelazione così da farlo più ampio.

Il papa usa il codice della rivoluzione digitale ma in esso, incarnando il messaggio del Vangelo, fa deflagrare la potenza della risurrezione. Nel dire, ad esempio, che la vergine Maria è fuori dai giri degli influencer ma di fatto diventa l’influencer di Dio, la più influente tra tutte, invita senza dirlo a seguire le sue orme per diventare veramente influenti nella vita e nella storia, a porsi nell’agorà digitale con quello sguardo e quei sentimenti, a testimoniare Cristo in certe modalità.

Se il digitale incontra la teologia: un nuovo stile comunicativo

L’uso e la conoscenza della dimensione digitale, se incontra la teologia, permette rapidamente di diventare «diegetici», di veicolare in modo esistenziale un messaggio senza porsi in modo giudicante e direttivo – atteggiamento che i nativi digitali non amano e non sanno codificare come amore –.

Lo stile del papa, e di chi lo aiuta a dialogare con la contemporaneità, rappresenta un esempio incoraggiante d’incarnazione digitale, a cui soprattutto la teologia oggi è chiamata. Da un punto di vista di etica della comunicazione diviene qui evidente come porre la Parola tra le parole ricalibra immediatamente la comunicazione sulle corde di una corretta antropologia. Come ebbe a scrivere profeticamente il card. Martini:

«La comunicazione va per canali otturati, bloccati o distorti, non solo per canali liberi. Se non ne teniamo conto finiamo per l’ottenere risultati diversi da quelli che pensavamo, soprattutto a livello etico. Dovremmo ragionevolmente attenderci, dall’attuale pervasione mediale, che oltre a non esserci blocchi, ci fosse un incremento totale del tessuto connettivo generale; dovremmo ritrovarci, teoricamente, in un universo molto comprensivo e molto comunicativo, perché ricchissimo di informazioni. In realtà, siamo in presenza di patologie o di blocchi comunicativi e dobbiamo allora chiederci quali sono le ragioni che ostacolano l’autentica comunicazione favorendo le chiusure difensive dentro il proprio “habitat” psico-affettivo» (C.M. Martini, Etica e comunicazione, Logo Fausto Lupetti, 2013).

Riportando le parole significative della rivoluzione digitale nell’alveo della Parola, il papa aiuta questo tempo a decidere al di là delle emozioni e delle sensazioni, esplorando la contemporaneità nelle valenze positive che essa certamente ha, anche se in buona parte deve essere liberata dalla vischiosità di un io autocentrato e dalle storture di un’economia talora predatoria.

 

Luca Peyron è prete dell’arcidiocesi di Torino, è autore di Vangelo per matricole (Effatà, Cantalupa [TO] 2015) e Elogio della generosità (Elledici, Torino 2018).

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